Durante una stagione calda e asciutta come quest’estate, che con ogni probabilità sarà di nuovo la più calda di sempre, ci siamo accorti di quanto sia davvero preziosa l’acqua. Intere comunità, in Sicilia, stanno vivendo un periodo nel quale riescono a bere, lavarsi e irrigare soltanto grazie alle autobotti. Contemporaneamente, nella nostra indifferenza, sempre più Stati potenti si appropriano di risorse idriche non di loro pertinenza, collocate su territori confinanti e che attraversano situazioni di povertà o instabilità politico-sociale. Questo fenomeno, noto come water grabbing, ha dato vita a numerosi conflitti in Medio Oriente, Africa, Asia e America Latina.
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Diritto all’acqua e water grabbing
L’acqua è diventata oggigiorno un diritto per pochi. Una risorsa fragile, limitata e troppo spesso sprecata senza alcuna cautela è diventata un lusso concesso a pochi. Con ogni probabilità, si tratta dell’asset più importante in assoluto nel nostro tempo e, non a caso, è molto spesso causa di guerre anche se raramente se ne parla. La Terra è ricoperta da 1.390 milioni di chilometri cubici di acqua, una massa in continuo aumento a causa del dissolvimento dei ghiacciai. Soltanto il 2,5% di questa quantità è però acqua dolce. La gran parte di questa è stipata, sotto forma di ghiaccio, nelle calotte polari. Proprio quelle che si stanno riducendo a velocità sempre maggiore, secondo quanto ci dicono gli scienziati.
Il restante 97,5% è acqua salata, non potabile. Gli esseri umani, di fatto, hanno a disposizione solo 93.000 chilometri cubici di questa risorsa, pari a circa lo 0,5% del totale. Questo dato è causa fondamentale del fenomeno del water grabbing. Con tale termine, che traduciamo in italiano come accaparramento dell’acqua, ci riferiamo a situazioni in cui attori potenti prendono il controllo di risose idriche preziose o deviano i corsi d’acqua a proprio favore. Così facendo, sottraiamo il fluido a comunità locali, o talvolta a intere nazioni, la cui sussistenza si basa proprio su quelle stesse risorse.
Un consumo impari
Nel mondo occidentale il consumo è cresciuto a dismisura. Si pensi che un cittadino americano consuma 1.280 metri cubi l’anno e uno europeo circa 700. Nei Paesi in via di sviluppo la situazione è diversa. Un africano consuma in media appena 185 metri cubi l’anno. Nella regione africana del Sahel le famiglie consumano anche meno di 10 litri di acqua al giorno. Per chiarire ancor meglio: ci sono 1 miliardo di persone che non hanno accesso all’acqua potabile, nel mondo.
L’aumento dei consumi idrici e della popolazione ha portato la disponibilità pro-capite a 7.800 metri cubi nella prima decade del 2000. Si prevede che nel 2025 questo dato scenderà ancora, fino a poco più di 5.000 metri cubi. Durante gli anni ’90 dello scorso secolo, ogni abitante della Terra aveva a disposizione 9.000 metri cubi d’acqua potabile. Alla luce di questi calcoli, ha preso vita una corsa all’accaparramento delle risorse idriche.
Le conseguenze del water grabbing
Le possibili conseguenze del water grabbing, come ben spiega il libro Water grabbing. Nuove guerre per l’accaparramento dell’acqua, di Emanuele Bompan e Marirosa Iannelli, edito da EMI, sono devastanti. Esse comprendono migrazioni forzate, privatizzazione delle fonti idriche, imposizioni e controlli su progetti di agrobusiness di larga scala, inquinamento dell’acqua per scopi industriali – di cui naturalmente beneficiano in pochi – nonché controllo delle fonti idriche da parte di forze militari, una misura che inevitabilmente limita lo sviluppo.
Per regolare il preoccupante fenomeno, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha approvato il Trattato sulle acque transfrontaliere, per mitigare i rischi di conflitto legati all’acqua. Questo documento è stato ratificato, ad oggi, da soli 39 Stati. Tra i grandi assenti troviamo Stati Uniti d’America e Cina.
Combattere per l’acqua
Le zone più interessate dal water grabbing sono Medioriente, America Latina, Africa, Asia e Australia. Secondo numerosi esperti, l’acqua sarà presto più importante del petrolio. Forse già lo è. Attorno a questo nuovo oro si combattono e si combatteranno sempre più guerre, in un futuro abbastanza prossimo. Una delle water wars, come si definiscono, più celebri è quella che si sta combattendo in Siria, di cui non parliamo più dopo Israele e Ucraina. Secondo alcuni studi geopolitici, la siccità avrebbe contribuito all’innesco del conflitto.
Non dimentichiamo poi lo scontro, meno noto, tra Etiopia e Kenya. La guerra è scoppiata perché le comunità che vivevano nella valle dell’Omo, in Etiopia, sono state costrette a migrare a sud, verso il Kenya, alla ricerca di un’altra fonte d’acqua. Anche sul bacino dell’Eufrate e del Tigri, suddiviso tra Turchia, Siria e Iraq, ci sono scontri. In questo caso la condivisione dei bacini dei fiumi, unita alle tensioni geopolitiche già in atto tra questi Paesi, li ha portati sull’orlo di uno scontro militare. Dobbiamo poi citare il Sudan. E come scordare la situazione della faglia del fiume Indo, che crea continue tensioni fra Pakistan e India?
Guerre calde per il controllo dell’acqua sono già in corso, in diversi quadranti del mondo. Il water grabbing non potrà che inasprire ancor più questa situazione e innescare altre situazioni di simile criticità.
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