Viviamo un tempo complesso. La crisi delle materie prime, il sempre più difficile contesto internazionale, il complicato reperimento e la difficile gestione dell’energia, l’allarme climatico e una transizione fatta soltanto a parole sono soltanto alcune delle sfide più impellenti a cui dobbiamo far fronte. Per superarle occorrono nuovi modelli economici, basati su tecnologie innovative e processi produttivi circolari. Quante volte abbiamo sentito questa frase? Ebbene, in queste righe vogliamo descrivere una soluzione concreta, non rilanciare parole vuote. Parleremo di urban mining, perché dai rifiuti delle nostre città è possibile estrarre risorse utili al ciclo produttivo.
Urban mining: un’estrazione urbana
Le parole inglesi urban mining si traducono in italiano con estrazione urbana. Si tratta di un processo virtuoso, capace di trasformare i rifiuti in metalli e materiali preziosi. Attraverso esso possiamo ricavare materie prime secondarie, figlie predilette di quell’economia circolare di cui spesso parliamo ma che difficilmente implementiamo nelle nostre comunità. Eppure, basterebbe estrarre, per così dire, materiali e componenti dagli smartphone che cambiamo per procurarci rame, argento, oro e platino. La batteria agli ioni di litio, poi, contiene cobalto e terre rare, i metalli delle nuove tecnologie per antonomasia.
Lo smartphone come miniera
Quando si parla di urban mining ci si riferisce principalmente ai RAEE. I rifiuti elettronici sono una vera e propria miniera di metalli rari e preziosi. Il Global E-Waste Monitor 2020 riporta, senza stupire nessuno, come questi siano in costante crescita. Nel 2030, secondo le stime, arriveremo a circa 75 milioni di tonnellate, ossia 9 chilogrammi pro capite prodotti ogni anno. Nel 2050, le tonnellate saranno ben 120 milioni.
Ogni anno finiscono in discarica oltre 40 milioni di tonnellate di rifiuti elettronici. Solo il 20% viene riciclato, a livello globale. A fronte di questi dati, appare fondamentale l’importanza di recuperare i metalli contenuti all’interno di smartphone, televisori, schede elettroniche e microprocessori. Procedendo così, si potrebbe ridurre la necessità dell’estrazione dalle profondità della terra o degli oceani. Tra i rifiuti delle nostre città, le concentrazioni di metalli preziosi e rari sono superiori rispetto a quelle nei giacimenti minerari.
Da una tonnellata di schede elettroniche comuni, reperibili negli elettrodomestici di utilizzo quotidiano, si possono ricavare più di 2 quintali di rame, oltre 46 chilogrammi di ferro, 28 di stagno e alluminio e 18 di piombo. In quantità minori, è possibile reperire argento, platino e palladio. Ma non ci sono soltanto gli scarti da apparecchiature elettriche ed elettroniche. È possibile reperire materie prime secondarie anche da rifiuti urbani, scarti da costruzione e demolizione, discariche o veicoli fuori uso. Una vettura a fine vita si può riciclare per l’85% dei suoi materiali.
L’urban mining che valorizza i rifiuti
Dobbiamo imparare a sfruttare le risorse che gettiamo via, come suggerisce di fare anche l’agenda 2030 dell’ONU. Al fine di ridurre l’impatto ambientale negativo delle città, in particolare riguardo alla qualità dell’aria e alla gestione dei rifiuti, faremmo bene a donare una seconda vita alle parti di cui ci liberiamo. Dobbiamo fare meglio con meno. È possibile aumentare lo sviluppo economico – e il benessere umano, più importante – diminuendo l’uso delle risorse e il degrado ambientale?
Estrarre per riutilizzare
L’urban mining rappresenta l’alternativa sostenibile allo sfruttamento delle risorse non rinnovabili. Siamo molto lontani da un’economia pienamente circolare, sebbene tanto l’Italia quanto l’Europa abbiano intrapreso la giusta strada, a quanto sembra, e il riuso delle materie prime è in costante aumento. Per innalzarne ancora di più i livelli si potrebbe puntare sull’estrazione. Il processo inizia con la raccolta e la catalogazione. Poi ci si deve occupare del trattamento, del controllo di qualità e, solo nell’ultima fase, dell’effettivo riciclo che porta a ottenere le materie prime secondarie richieste.
Tutte queste fasi dipendono da molteplici fattori esterni. Numerosi prodotti vanno ripensati in chiave sostenibile. Sarebbe utile aumentare la durabilità dei dispositivi elettronici e renderli facilmente scomponibili, riparabili e riciclabili. Similmente, andrebbero informati correttamente i cittadini, cosicché si attivino e spingano per adottare politiche diverse sulla gestione e il recupero dei rifiuti.
La necessità di reperire materie prime non riguarda soltanto il futuro, bensì anche il presente. Il nostro paese, come buona parte della UE, dipende in larga parte dall’estero. La Cina, da sola, detiene oltre il 62% della produzione globale mineraria di terre rare. Il 36,6% delle riserve mondiali sono infatti sul suo territorio. Seguono gli Stati Uniti, con il 12,3%, il Myanmar, con il 10,5%, e l’Australia, con il 10%. Russia e Sudafrica forniscono gran parte dei metalli del gruppo del platino mentre gli Stati Uniti hanno il monopolio del berillio e il Brasile del niobio.
Il piano di Bruxelles
Allo scopo di superare questa dipendenza, l’Europa si è interessata al riciclo delle materie prime. Si sta valutando di recuperare e riciclare gli scarti delle discariche minerarie abbandonate, sfruttando le nuove tecnologie. Servirebbe a trasformare poli dismessi in nuovi giacimenti da cui estrarre risorse preziose. C’è però una particolarità, la quale rende questa pratica più difficilmente attuabile dell’urban mining. I giacimenti minerari sono collocati in specifiche aree, quelle più ricche di metallo o minerale. Le miniere urbane, invece, sono diffuse, in quantità enorme, in tutto il mondo.
Si stima che, nel 2050, 6 miliardi di persone vivranno in città. La crescita sarà esponenziale nei Paesi emergenti, così come in quelli in via di sviluppo, ad esempio in Asia e Africa. Si tratta del 70% della popolazione mondiale di quel prossimo futuro. Ciò significa che le risorse a disposizione dell’urban mining sono destinate ad aumentare. Secondo uno studio, denominato What a Waste 2.0, dal 2015 al 2025 si avrà un incremento della produzione annuale di rifiuti urbani per persona pari al 18%. Avremo dunque una potenziale miniera d’oro in ogni città.