La foresta pluviale dell’Amazzonia è, con ogni probabilità, la più sofisticata espressione di vita sulla Terra. Ciò sembra però importare abbastanza poco a chi fa business in America Latina. La deforestazione, sul versante brasiliano della macchia ma non solo, prosegue senza sosta. Anche dal satellite è facilmente osservabile: gli appezzamenti marroni causati dall’abbattimento di piante ad alto fusto sono ben visibili nonostante la distanza così elevata. La situazione è migliorata dopo la fine del governo, tutt’altro che sensibile alla tematica ambientale, di Jair Bolsonaro e il ritorno al potere di Lula, amico e difensore delle tribù dell’Amazzonia. Il potere del governo resta però limitato.
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Una storia di distruzione e devastazione
A partire dagli anni ’80 è iniziata una sistematica distruzione del polmone verde della Terra. Naturalmente, gli alberi in Amazzonia si tagliavano anche prima, ma non lo si faceva con una finalità industriale, di sistema, come avviene da 40 anni a questa parte. Nel 2004 la distruzione raggiunse livelli inenarrabili: si disboscavano 27mila chilometri quadrati di foresta, ogni anno, nel solo Brasile. Poi lo sfregio è diminuito, ma questa è una magra consolazione. Nonostante i ritmi siano meno incalzanti, infatti, la devastazione dell’ecosistema amazzonico prosegue senza soluzione di continuità.
C’è però un confine oltre il quale, finora, la becera opera dell’uomo non si è spinta. Il fiume Xingu, che scorre nelle profondità del polmone verde del pianeta, rappresenta una sorta di barriera, oltre la quale non si svalica. Si tratta dell’unica delimitazione fisica dei territori appartenenti, da tempo immemore, alle tribù indigene. Questa isola verde, incastonata nella sanguinante Amazzonia, si compone di 10 territori, legalmente ratificati, appartenenti a uomini e donne che hanno il diritto riconosciuto di risiedere su un appezzamento di terra ampio 14 milioni di ettari.
Qui sono stanziate dieci popolazioni indigene, appartenenti a 15 gruppi diversi della nazione indiana. I più numerosi sono i kayapo, forti di 7.000 membri tra uomini, donne e bambini. Ma com’è possibile che una manciata di persone possa tenere testa a bulldozer e sorveglianti armati stipendiati da alcune delle principali imprese mondiali?
Il Wild West delle tribù dell’Amazzonia
Le tribù dell’Amazzonia possono contare su alcune tutele e protezioni legali che danno loro il diritto di risiedere in questo settore della foresta che chiamano casa. Allevatori, taglialegna e cercatori d’oro giungono sulle sponde dello Xingu e qui si fermano (non tutti naturalmente, ma molti) intimoriti da quel che potrebbe attenderli se si avvicinassero con fare minaccioso alle aree più recondite dell’Amazzonia.
In quest’angolo di mondo non esiste il buon governo, dal momento che non vi è alcun governo. Dilaga la corruzione e si firmano, giorno dopo giorno, accordi fraudolenti e privi di valenza legale. Il disboscamento procede anche a questi latitudini, previo accordo sottobanco con i nativi.
Resistenza organizzata
Alcune delle tribù dell’Amazzonia che risiedono nel bacino hanno organizzato proteste, riprese e filmate da cineoperatori amici. Altre hanno fatto pressione sul governo, e combattuto sul campo, per ottenere i loro diritti. C’è chi ha optato per stringere alleanze con associazioni ambientaliste, così da fornire sostegno esterno a gruppi che non escono mai dalla foresta amazzonica. Grazie a questi accordi, sono iniziate negli ultimi anni perlustrazioni aeree del territorio Kayapo, interamente finanziate da ONG esterne, allo scopo di verificare se si svolgano attività illegali. I partners esterni hanno anche equipaggiato una spedizione Kayapo con barche, motori, carburante, GPS e radio.
Diverse dozzine di guerrieri tribali hanno percorso più di 200 chilometri in barca, e a piedi, al fine di colpire i campi minerari illegali, distruggendo l’equipaggiamento minerario e chiedendo al governo di inviare elicotteri per prendere in custodia gli illegali. Diverse ONG hanno sostenuto iniziative proprie, aiutando Kayapo e altre tribù a rendersi economicamente autosufficienti. È stato avviato un programma per raccogliere e vendere centinaia di migliaia di dollari di noci macadamia, garantendo alle famiglie un reddito di base, così da scoraggiare le pressioni e la corruzione con cui bracconieri e illegali comprano, di fatto, la complicità dei popoli indigeni.
Nuove minacce per le tribù dell’Amazzonia
La foresta pluviale sudamericana ospita circa un terzo delle forme di vita terrestri del nostro pianeta, nonché un quarto delle acque dolci della Terra. Svolge un ruolo chiave nell’assorbimento del carbonio e nella moderazione del cambiamento climatico. L’elevato numero di risorse situate a queste latitudini attira molti fuorilegge, incuranti del rispetto ambientale e interessati ad arricchirsi con risorse che appartengono a tutti, non solo a loro. Per proteggere questo bioma vulnerabile è necessario rimanere costantemente vigili. La distruzione della foresta pluviale continua infatti imperterrita.
Lobby agricole, minatori di frodo e aziende che smerciano legname stanno proponendo emendamenti alla costituzione del 1988, i quali mirano esclusivamente alla rimozione delle protezioni legali sulle terre indigene. Le tribù dell’Amazzonia sono minacciate da attori che desiderano mettere le mani sui loro santuari, ricchi di risorse sfruttabili che potrebbero rimpinguare i portafogli di molti.
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