L’Onu ha definito Taranto una zona di sacrificio e già nel 2019 la Corte europea dei diritti dell’uomo ha condannato l’Italia per il ritardo nell’affrontare la grave situazione di inquinamento del territorio. Nonostante questo, le bonifiche sono ancora al palo e il nuovo Commissario straordinario non è stato nominato.
Senza troppi giri di parole l’Onu nella Relazione del Consiglio sui diritti umani “The right to a clean, healthy and sustainable environment: non-toxic environment” ha definito Taranto, in buona compagnia con altre aree del mondo, una “zona di sacrificio”. Così definita perché qui, da decenni, “si compromette la salute delle persone e si violano i diritti umani, scaricando enormi volumi di inquinamento atmosferico tossico. I residenti soffrono di livelli elevati di malattie respiratorie, malattie cardiache, cancro, disturbi neurologici debilitanti e mortalità prematura”. Qui, Stato e classe dirigente locale sono stati incapaci di conciliare il modello industriale con la vita e la salute dei cittadini che abitano quel territorio.
Bonifiche posticipate al 2023
Taranto dal 10 gennaio 2000 è diventato uno dei Siti di interesse nazionale di bonifica. Sorge su un’area dichiarata ad “elevato rischio di crisi ambientale” che si estende su 4.383 ettari a terra e oltre 7.000 ettari a mare, prospiciente il golfo di Taranto. Un fazzoletto di terra dove ciminiere, forni e capannoni rendono da decenni la vita impossibile. Già nel 2019 la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo con la sentenza del 24 gennaio (ricorso n. 54414/13 e altri – Causa Cordella contro Italia) ha condannato il nostro Paese, colpevole del “protrarsi di una situazione di inquinamento ambientale che mette in pericolo la salute dei ricorrenti e, più in generale, quella di tutta la popolazione residente nelle zone a rischio, la quale rimane, allo stato attuale, priva di informazioni sull’attuazione del risanamento del territorio interessato, in particolare per quanto riguarda i ritardi nell’esecuzione dei relativi lavori”. Nella zona industriale e produttiva dell’area industriale di Taranto sono state censite circa 200 imprese, quasi tutte ricadenti all’interno del SIN di Taranto: tra queste l’ex Ilva (oggi Acciaierie d’ltalia) il più grande polo siderurgico italiano, la raffineria Eni, l’industria cementiera Cementir e industrie manifatturiere di dimensioni medio-piccole. “Le principali fonti di inquinamento sono rappresentate dalle industrie siderurgiche, petrolifere e cementiere nonché dall’Arsenale Militare” scrive il Mite. Le attività di bonifica – che dovrebbero riguardare le aree industriali, gli specchi marini (Mar Piccolo) e salmastri (Salina grande) – avrebbero dovuto iniziare nel 2012 ma sono state posticipate al 2023, con l’introduzione da parte del Governo di appositi decreti legislativi che consentono all’impianto siderurgico dell’ex Ilva di continuare a funzionare.
Associazioni e comitati contro i ritardi delle bonifiche
Nonostante il livello di inquinamento e decine di milioni di euro stanziati, le bonifiche continuano a non vedere l’inizio. Il Commissario straordinario alle bonifiche di Taranto ha terminato il suo mandato e non è stato ancora sostituito. Al momento in cui si scrive, secondo il Mite, è in corso di realizzazione la bonifica della falda e dei suoli della raffineria Eni di Taranto ed è stata completata la caratterizzazione dell’area ex Ilva, con l’avvio delle misure di messa in sicurezza della falda nell’area dei Parchi Minerari. Contro i colpevoli ritardi delle bonifiche si scagliano, da tempo, le associazioni locali. Dopo il rifiuto della Procura di Taranto di dissequestrare gli impianti del siderurgico perché ritenuti ancora pericolosi, il Comitato cittadino Salute e Ambiente di Taranto ha indetto una manifestazione molto partecipata. La confisca degli impianti è stata disposta a maggio di un anno fa dalla Corte d’Assise, con la sentenza del processo “Ambiente Svenduto” relativo ai gravi reati ambientali contestati alla gestione Riva. Confisca che, però, scatterà solo se confermata dal giudizio in Cassazione. Da un punto di vista produttivo non cambia nulla. Il siderurgico può continuare a lavorare (l’azienda ha ribadito che nel 2022 si punta a 5,7 milioni di tonnellate di acciaio prodotte) e gli impianti, pur restando sequestrati, possono essere utilizzati dal gestore. Ed è appunto contro il funzionamento di un impianto che continua ad inquinare che le associazioni protestano. L’azienda ha chiesto il dissequestro perchè il 90% delle prescrizioni ambientali – sostiene – è stato realizzato e la fabbrica non è più quella del luglio 2012, quando scattò il sequestro, che inizialmente era senza facoltà d’uso. “Con queste politiche le bonifiche continueranno a rimanere al palo e la speranza che in futuro lo stabilimento siderurgico possa produrre senza creare danni alla salute è destinata a restare lettera morta” sottolinea il presidente di Legambiente nazionale Stefano Ciafani. Legambiente aveva già chiesto con urgenza al Governo di tornare a dedicare al risanamento ambientale e alla tutela della salute degli abitanti di Taranto l’attenzione dovuta ad una città che continua a contare i morti causati da anni di inquinamento fuori controllo. “Incomprensibile la richiesta – scrive l’associazione in una nota – rivolta dal Ministero della transizione ecologica al Ministero della Salute di rivedere i parametri epidemiologici con i quali Arpa Puglia, Aress Puglia e Asl Taranto hanno effettuato la valutazione di impatto sanitario relativa ad una produzione dello stabilimento siderurgico ex Ilva pari a 6 milioni di tonnellate annue di acciaio, evidenziando la presenza, in tale scenario, di rischi inaccettabili per la salute”.
Un posto vacante da Commissario straordinario
Per tutte le associazioni locali è altrettanto urgente nominare il nuovo Commissario Straordinario per le bonifiche, imprimendo anche per questa via una decisa accelerazione alla bonifica del territorio e, in particolare, del Mar Piccolo, utilizzando da subito le risorse già stanziate e disponibili. Secondo quanto dichiarato a fine aprile scorso in audizione presso la Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti e su illeciti ambientali ad esse correlati dall’ex Commissario Straordinario Demetrio Martino, il piano di monitoraggio resta solo sulla carta, non essendo mai stato realizzato. “Anche perché – ha spiegato il Commissario ai parlamentari – il piano ha avuto avvio nel 2015, nella sua fase progettuale, e nel frattempo sono subentrate altre priorità. Si è quindi deciso di destinare i fondi previsti per il piano di monitoraggio (20 milioni di euro, di cui 5 milioni e 700 mila risultano già spesi, solo per il primo stralcio funzionale) ad altri interventi. Fra le priorità, spicca la bonifica dell’area industriale di Statte, che ha richiesto un ammontare maggiore di risorse rispetto alla proposta originaria, ritenuta non risolutiva”. Intanto il viceministro dello Sviluppo economico, Alessandra Todde, ha promesso pubblicamente di sottoporre al ministro Giancarlo Giorgetti il “quadro fortemente critico” su Acciaierie d’Italia, ex Ilva, aprendo a un imminente incontro con i sindacati Fim Cisl, Fiom Cgil, Uilm, Usb e Ugl. L’ennesimo atto di una partita che pare non avere mai finire, mentre i cittadini di Taranto continuano a pagarne il prezzo più alto.