Negli Usa si dibatte sull’utilità e i rischi della cosiddetta “traslocazione” delle specie: ossia lo spostamento di una specie minacciata di estinzione dal suo habitat. Una scelta che secondo il Fish and Wildlife Service americano potrebbe essere sempre più necessaria a causa della crisi climatica, dell’eccessivo sfruttamento degli habitat e della perdita di biodiversità
Quando gli ecosistemi sono compromessi e le specie che li abitano rischiano di estinguersi, ha senso traslocarle in aree adatte a soddisfare i loro bisogni ma diverse, e distanti da quelle in cui hanno sempre vissuto? Non è una questione secondaria, soprattutto ora che la crisi climatica si somma alla perdita di biodiversità e alla crescente penetrazione dell’uomo in aree fino a decenni fa incontaminate. Negli Stati Uniti si è acceso il dibattito: traslocare una specie aiuta a metterla in salvo o rischia di creare nuovi pericolosissimi casi di invasioni di specie aliene, minacciando quelle autoctone?
Il 14% delle specie terrestri rischia l’estinzione con un aumento della temperatura di 1,5°C
Zach St. George è un giornalista che si occupa di scienza e ambiente; su Yale Environment 360 (magazine pubblicato dalla Yale School of the Environment) affronta il tema del trasferimento delle specie a rischio partendo dal caso del rallo di Guam, un uccello noto anche come ko’ko’ (ma il nome scientifico è Hypotaenidia owstoni), incapace di volare, una specie endemica dell’isola di Guam. Quando nell’isola l’uomo introdusse i serpenti arboricoli, l’esistenza del ko’ko’ venne messa a repentaglio: nel 1983 erano rimasti meno di 100 esemplari. A metà degli anni ’80, il Fish and Wildlife Service statunitense e un consorzio di zoo portarono in cattività tutti gli uccelli che fu possibile raccogliere. Dopo qualche anno, venne deciso di immetterli di nuovo in natura: non a Guam bensì sull’isola di Rota, a circa 40 miglia di distanza, dove i ko’ko’ non si erano mai visti. Casi del genere rischiano di diventare sempre più frequenti con l’aggravarsi delle crisi ambientali. Il WWF ha di recente ricordato che “la perdita degli habitat, la caccia illegale, la pesca eccessiva e l’agricoltura non sostenibile hanno causato la graduale scomparsa di mammiferi, uccelli, rettili, anfibi e pesci”. Secondo il Living Planet Report realizzato dall’associazione, la popolazione mondiale di vertebrati è diminuita del 60% negli ultimi 50 anni. E la crisi della biodiversità è aggravata da quella climatica: l’Intergovernmental panel on climate change (Ipcc) stima che fino al 14% delle specie terrestri rischia l’estinzione con un aumento della temperatura globale di 1,5 °C rispetto ai livelli preindustriali.
Il Fish and Wildlife Service degli USA ha proposto di adottare la traslocazione delle specie
Generalmente il Fish and Wildlife Service degli Stati Uniti – che, insieme al National Marine Fisheries Service, applica la legga statunitense sulla specie minacciate (Endangered Species Act) – sposta raramente le specie minacciate e in via di estinzione dal loro habitat. Solo di recente il Fish and Wildlife Service ha proposto una revisione dei suoi regolamenti, per spostare le specie oltre il loro areale storico: “un passo necessario e appropriato in risposta alle doppie minacce del cambiamento climatico e delle specie invasive” spiega l’agenzia americana. Questa revisione ha scatenato il dibattito tra chi ricorda i danni prodotti dalle specie aliene – paventando un rischio analogo su larga scala – e chi sostiene che la distruzione degli habitat condanni all’estinzione molte specie, rendendo perciò necessario l’intervento umano. “Con un numero crescente di specie a rischio di estinzione – ha affermato Tim Male, fondatore dell’Environmental Policy Innovation Center – potremmo aver bisogno di questo strumento molto più spesso”. Ben Novak, scienziato che si occupa di tecnologie genetiche nella conservazione, ha analizzato le traslocazioni di oltre 1.000 specie negli Stati Uniti negli ultimi 125 anni: solo in un caso queste avrebbero causato problemi di competizione e rischi per le specie locali.
La traslocazione delle specie è una scelta legittima ma preoccupante
“Si tratta di un dibattito e, nel caso del Fish and Wildlife Service statunitense, di una scelta perfettamente legittima in questo contesto di crisi climatica e perdita di biodiversità”, riflette Antonino Morabito, responsabile Fauna e benessere animale di Legambiente. “Un dibattito sulla conservazione che sembra l’altra faccia della battaglia sulle specie alloctone. E che è un altro Indicatore del fatto che non stiamo affrontando in maniera utile le motivazioni profonde che stanno alla base di questa grandi crisi sul pianeta; non siamo mettendo in discussione il nostro modo di stare al mondo. Il fatto che sia un organo istituzionale a fare questa scelta – aggiunge Morabito – denota che la partita è data per persa, visto che non stiamo mettendo mano alle cause della crisi”.