Il pesce leone, arrivato nel Mediterraneo attraverso il Canale di Suez nel 1991, è stato in grado di invadere il nostro mare anche grazie al surriscaldamento dell’acqua dato dai cambiamenti climatici. Ritrovato in Calabria nel 2023, questa specie preoccupa molto perché velenoso per l’uomo.
Recentemente, nella rivista NeoBiota, è uscito un articolo sulla rapida diffusione nel Mar Mediterraneo di una specie appartenente alla Famiglia degli Scorpenidi, Pterois miles, chiamata volgarmente pesce leone (lion fish), evidenziandone anche i potenziali impatti ecologici.
Le origini del pesce leone
Originaria della regione indo-pacifica questa specie è collocata fra i pesci invasivi di grande successo negli ecosistemi marini, grazie alla notevole capacità di penetrare nelle comunità ittiche locali e alterare la biodiversità nelle aree invase. Il pesce leone, spesso confuso con la specie Pterois volitans (pesce scorpione), anch’essa invasiva e già avvistata nel Mediterraneo, è un pesce tropicale comparso nel Mediterraneo nel 1991.
Studi sulla genetica di questa specie hanno rivelato che gli esemplari trovati nel Mediterraneo provengono dal Mar Rosso e che molto probabilmente sono entrati nel loro nuovo areale durante molteplici eventi di invasione attraverso il Canale di Suez. Giunti attraverso il Canale di Suez si sono diffuse nel Mediterraneo orientale grazie al riscaldamento delle acque legato al cambiamento climatico. La sua capacità di invasione è legata anche al fatto di non avere predatori e di riprodursi durante tutto l’anno; una femmina matura rilascia circa 2 milioni di uova ogni anno.
Dal Canale di Suez al Mediterraneo
La presenza e la diffusione nel Mediterraneo di specie aliene è ormai ben nota e poiché si tratta del più grande mare chiuso della Terra, un bacino ad alta biodiversità che ospita più di 500 specie autoctone di pesci il 9% delle quali sono endemiche, l’invasione di nuove specie può alterare il suo equilibrio ecologico. Si tratta probabilmente del mare più invaso al mondo e questo fenomeno si è accelerato negli ultimi anni anche a causa del cambiamento climatico con il conseguente aumento della temperatura delle acque.
L’invasione delle specie esotiche è in gran parte dovuto all’apertura del Canale di Suez che fu costruito nel 1869 per collegare il Mediterraneo con il Mar Rosso per scopi commerciali. Inizialmente le invasioni erano limitate anche a causa delle piccole dimensioni del Canale e dalla presenza dei due Laghi Amari, che creavano una barriera ipersalina. L’ampliamento del Canale di Suez ha aumentato la sua capacità di trasportare propaguli e ha ridotto la salinità dei Laghi Amari determinando l’entrata di nuove specie nel Mediterraneo. Oggi il Canale di Suez è considerato la fonte di due terzi delle specie esotiche presenti nel bacino.
Il pesce leone nel Mediterraneo dal 1991
Il primo pesce leone ritrovato nel Mediterraneo fu catturato da un peschereccio al largo delle coste di Israele nel 1991; da quel momento non furono più segnalati esemplari di questa specie fino al 2012, quando ne furono catturati due in Libano. Subito dopo, pesci leone sono stati segnalati in Turchia, Cipro, Grecia e Italia. I pesci leone sono stati definiti come specie invasiva nel Mediterraneo nel 2016, quando è stata segnalata una popolazione consistente a Cipro; sempre nel 2016 è avvenuta la prima segnalazioni di questa specie nei nostri mari. Da allora i pesci leone si sono stabiliti e si sono diffusi con successo in gran parte del Mediterraneo orientale e continuano ad espandere il loro areale verso Ovest e verso Nord. Oggi ci sono evidenze della sua diffusione anche sulle coste italiane, e questo fenomeno è sicuramente favorito dall’aumento della temperatura delle acque.
La pericolosità delle spine
Oltre che essere in grado di determinare un cambiamento significativo della biodiversità del Mediterraneo, il pesce leone è anche una specie considerata pericolosa per l’uomo in quanto un contatto con le sue spine provoca una puntura velenosa che può causare dolore estremo per molti giorni, sudorazione, difficoltà respiratoria, tachicardia e persino paralisi pungendosi anche fino a 48 ore dalla morte dell’animale.
Le ghiandole che producono il veleno del pesce leone si trovano all’interno di due solchi della colonna vertebrale. Il veleno è una combinazione di proteine ad azione tossica, una neurotossina (tossina neuromuscolare) e un neurotrasmettitore, l’acetilcolina. I pesci leone o pesci scorpione (P. volitans e P. miles) di solito hanno 18 spine velenose, 13 più lunghe nella pinna dorsale, 1 spina corta in ciascuna delle pinne pelviche e 3 spine corte nel bordo anteriore della pinna anale. Dopo che la spina ha perforato la pelle, il veleno entra nella ferita e provoca un dolore intenso che può durare diverse ore e diminuire lentamente nel corso di 24 ore e potrebbero essere necessari giorni per scomparire completamente.
La gravità e la durata dei sintomi possono essere direttamente correlate alla quantità di veleno assunto, alla profondità della perforazione da parte della spina e alla quantità di proteine presenti nel veleno stesso.
L’allarme in Italia
Un allarme ambientale è stato emesso nel giugno 2023 per le coste della Calabria dall’Ispra (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale), a seguito del ritrovamento di due individui di Pterois miles; il primo è stato catturato in località Le Castella da pescatori professionisti alla profondità di circa 24 metri, il secondo durante un’immersione ricreativa lungo le coste di Marina di Gioiosa Ionica, a circa 12 metri di profondità. Il 2024 ci darà indicazioni sulla sua diffusione nei nostri mari.