Lo studio dell’Osservatorio sul Riutilizzo analizza le incongruenze dei dati europei secondo i quali l’Italia è tra gli ultimi in Europa per quantità di beni riutilizzati procapite.
Abbiamo finalmente dei dati “ufficiali” sul riutilizzo, uno degli anelli più importanti dell’economia circolare perché permette di ridurre i rifiuti. Una novità importantissima, visto che fino a quest’anno si brancolava nel buio. Eppure questi dati, presentati in un report dall’Agenzia Europea per l’Ambiente, sono inficiati da enormi problemi metodologici. Lo spiega il Rapporto Nazionale sul riutilizzo 2024, curato dall’Osservatorio sul Riutilizzo, col sostegno di Rete Onu (gli operatori dell’usato) e della piattaforma Labelab e patrocinato da ISPRA, l’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale.
L’importanza di avere finalmente dati sul riutilizzo
Il riutilizzo “si colloca al vertice della gerarchia delle soluzioni ambientali proposte dalla normativa europea e italiana”, spiega Mario Sunseri, vicepresidente di Labelab, nel Rapporto. Eppure “fino a poco tempo fa mancava formalmente una quantificazione chiara di questa pratica vitale”. La mancanza di informazione rappresenta un vulnus conoscitivo ma anche operativo: difficile mettere in campo iniziative corrette a favore di un comparto quando non si conoscono le realtà che di queste iniziative dovrebbero essere oggetto. Ecco perché il Rapporto Nazionale sul riutilizzo 2024 si apre proprio con i primi dati ufficiali pubblicati dall’Agenzia Europea per l’Ambiente: “Un momento importante per il settore”, sottolinea Sunseri.
I dati italiani sul riutilizzo
Partiamo dall’Italia. Nel Rapporto Nazionale sul riutilizzo abbiamo una fotografia delle performance del settore nel nostro Paese. Nel 2021, si legge, sono stati riutilizzati 231.714 tonnellate di beni, di cui:
- 13.933 tonnellate di tessili
- 63.434 tonnellate di apparecchi elettrici ed elettronici
- 119.067 tonnellate di mobili
- 35.280 tonnellate di altre frazioni merceologiche.

“Per quanto riguarda l’Italia – spiega il portavoce di Rete ONU, Alessandro Giuliani – i dati sono il risultato di un accurato lavoro di analisi compiuto da ISPRA con l’aiuto di Rete ONU che si è concentrano sul segmento più formalizzato, che è il comparto dei negozi dell’usato conto terzi”
Eppure questa è solo una fetta del riutilizzo nazionale. Che è infatti “una attività affidata oggi in gran parte alla piccola imprenditorialità, in alcuni casi su scala maggiore, ma sempre lontana dai processi industriali del riciclo: questo ne ha fatto una piccola isola, con contorni non facilmente definibili, che sfugge alle analisi tradizionali e che quindi ha una dimensione ancora da esplorare, che abbraccia cooperative sociali, contoterzisti, mercatini storici e di libero scambio, raccolta del tessile e ambulantato, senza soluzione di continuità”, precisa Alessandro Stillo, presidente Rete ONU.
Dunque, se i dati presentati da ISPRA “sono importantissimi, perché offrono per la prima volta a livello ufficiale un dimensionamento del fenomeno che è basato sull’economia reale del settore” commenta il direttore del Comitato Scientifico di Rete ONU Pietro Luppi, curatore del Rapporto in tandem con ISPRA, “tuttavia non è stato ancora possibile procedere alla quantificazione del riutilizzo operato dalle innumerevoli microimprese ambulanti che, spesso in modo informale, contribuiscono in modo decisivo alla prevenzione dei rifiuti nel nostro paese”.
Per questo c’è ancora del lavoro da fare, in prima istanza metodologico: “Con ISPRA – aggiunge Luppi – stiamo già ragionando su questo punto: servono delle metodologie specifiche, che vadano al di là delle stime generali che finora Rete ONU è riuscita a fornire nei suoi rapporti. Quando anche questo segmento emergerà, i numeri del Riutilizzo dell’Italia schizzeranno ancora più in alto superando probabilmente le 500.000 tonnellate annue” (quindi più del doppio delle attuali stime ufficiali).
I dati europei sul riutilizzo
Le informazioni sul riutilizzo che ISPRA e i suoi omologhi di altri Paesi europei sono tenuti a fornire all’Agenzia Europea per l’Ambiente (a partire dell’anno scorso e con riferimento ai risultati del 2022) sono confluite in un report dell’AEA in cui i dati nazionali vengono affiancati e confrontati. Un confronto impietoso per il nostro Paese, che risulterebbe tra gli ultimi in Europa.

A fronte dei 94 chilogrammi procapite di beni riutilizzati in Norvegia nel 2022, degli 88 dell’Estonia o dei 53 del Belgio e i 36 della Germania, ogni italiano riutilizzerebbe solo 4 chilogrammi di beni l’anno, (meglio dei 2 del Portogallo e del chilogrammo degli spagnoli).
“I dati procapite che risultano dai rapporti degli Stati Membri sono molto diversi e a volte incoerenti”, riflette Luppi. Perché “In questa fase incipiente a influire in modo determinante sono le discrepanze metodologiche; difatti per questa reportistica l’Europa ha fornito un formato molto generale ma non indicazioni metodologiche precise”. A contare moltissimo, spiega, è il conteggio degli scarti di costruzione riutilizzati nel settore edile, che l’Italia invece non ha incluso nel conteggio e che in paesi come la Germania e il Belgio rappresenta circa il 50% del volume dichiarato. A cambiare nei dati dei deversi Paesi sono anche i perimetri merceologici o di attività considerati: “I paesi spesso non parlano degli stessi fenomeni, con il risultato che la Francia dichiara solo 1 kg di riutilizzo ad abitante, perché ha scelto di considerare solo le attività formalmente collegate ai sistemi di responsabilità estesa del produttore, mentre la Germania ne dichiara 36”.