La normativa italiana che ha istituito i valori limite che assicurano la sicurezza delle acque potabili sotto il profilo della presenza di sostanze radioattive e i controlli in materia è relativamente recente. Sebbene il Trattato Euratom del 1957 già prevedesse misura a tutela della salute.
Che cosa sanno i cittadini della radioattività nelle acque potabili? Probabilmente poco, nonostante il tema riguardi tutti da vicino. Stiamo parlando, infatti, sia dell’acqua del rubinetto che di quella in bottiglia: dell’acqua che beviamo tutti i giorni. I Piani di controllo della radioattività nelle acque potabili sono stati implementati nel nostro Paese circa quattro anni fa e coinvolgono le amministrazioni regionali, i gestori idrici, le Agenzie regionali per la protezione dell’ambiente e le Aziende sanitarie locali.
Perché l’acqua può essere radioattiva?
I radionuclidi che si possono trovare nelle acque sono sia naturali che artificiali. L’acqua scioglie i minerali contenuti nelle rocce e, tra questi, si trovano anche atomi radioattivi: uranio, torio, e i loro discendenti radio, radon, piombo e polonio 210. Si trova anche il potassio 40. I radionuclidi artificiali sono il Cesio 137, lo Stronzio 90, lo Iodio 131, il Cobalto 60 e il Plutonio239. Possono essere presenti in seguito a incidenti o rilasci da centrali nucleari, depositi di rifiuti nucleari e radioattivi, in seguito a uso medico o applicazioni industriali. Il decadimento radioattivo è il fenomeno mediate il quale i nuclei atomici energeticamente instabili (radionuclidi) si trasformano in nuclei energeticamente più stabili, mediante l’emissione di particelle alfa, elettroni, fotoni gamma. Il numero di decadimenti che avvengono nell’unità di tempo, per una data quantità di sostanza radioattiva, si misura in Becquerel (1 Bq è una disintegrazione al secondo). Differenti tipi di decadimento hanno un diverso potere di penetrazione nella materia e sono associati dunque ad uno specifico rischio di esposizione: mentre i raggi alfa sono trattenuti da un semplice foglio di carta, i raggi beta vengono bloccati dall’alluminio e i raggi gamma, molto più penetranti, vengono assorbiti solo da uno spesso schermo di piombo. Quando gli atomi vengono introdotti nell’organismo per inalazione e ingestione, il maggior rischio è rappresentato dalle radiazioni alfa e beta. Questi atomi emettitori (alfa e beta) si diffondono negli organi e nei tessuti rilasciando la propria energia, con una produzione di danni tanto più elevata quanto più è piccolo il volume dell’organismo. Nel caso delle acque potabili l’esposizione non avviene in un unico momento ma è distribuita nel tempo, perché i radionuclidi, una volta entrati nell’organismo, permangono per un certo tempo e rilasciano le radiazioni ionizzanti.
La normativa italiana
La normativa italiana in materia è costituita dal Decreto legislativo n.28 del 2016, che attua la Direttiva 2013/51/Euratom. Il Trattato Euratom istituisce la Comunità europea dell’energia atomica ed è stato firmato a Roma nel 1957 insieme al trattato che istituisce la Comunità economica europea. È volto alla promozione dell’utilizzo pacifico e sicuro dell’energia atomica, ma si occupa anche della tutela della salute della popolazione dai pericoli derivanti dalle radiazioni ionizzanti. La Direttiva 51, firmata nell’ambito del Trattato, è il primo provvedimento Euratom a carattere cogente dedicato esclusivamente alle acque destinate al consumo umano, con l’obiettivo di tutelare la salute della popolazione dalle sostanze radioattive presenti. In Italia è il Decreto del Ministro della Salute del 2 agosto 2017 che prevede le indicazioni a carattere tecnico scientifico per l’applicazione uniforme e coerente su tutto il territorio nazionale del D.lgs. 28/2016.
I controlli delle acque
Il Decreto legislativo 28/2016 prevede il controllo del contenuto di radioattività nelle acque destinate al consumo umano. Prevede inoltre misure che finora, fortunatamente, non è stato necessario attuare: la valutazione del rischio sanitario quando i livelli di radioattività siano superiori a quanto stabilito nel decreto stesso, l’adozione di provvedimenti correttivi e misure cautelative e l’informazione alla popolazione interessata. Gli obblighi spettano a Regioni, Province Autonome e gestori idrici. In caso di superamento dei parametri indicatori, la non conformità viene appurata dalla Asl, che deve procedere alla valutazione del rischio per la popolazione e all’individuazione dei provvedimenti correttivi e delle misure cautelative. La normativa introduce due tipi di controllo. Quello esterno, effettuato dagli enti pubblici (Regioni e Province autonome, che si avvalgono delle Arpa e delle Asl), con lo scopo di verificare che l’acqua destinata al consumo umano sia conforme ai requisiti stabiliti nel Decreto legislativo. E i controlli interni, a carico dei gestori, che hanno anche il compito di comunicare all’Asl ogni superamento dei valori di parametro riscontrato in un dato campione; conservare i dati delle misure per almeno 5 anni; inviare alla Regione i risultati delle misure entro 30 giorni; attuare i provvedimenti correttivi; informare la popolazione circa un’eventuale non conformità e i relativi provvedimenti correttivi adottati. Controlli interni ed esterni vanno eseguiti in maniera coordinata ma indipendente. Il numero di campionamenti annui è ugualmente suddiviso in controlli interni e controlli esterni. I campionamenti riguardano sia l’acqua fornita mediante reti idriche, cisterne o utilizzate nelle industrie alimentari, sia l’acqua distribuita in bottiglia. Le frequenze di campionamento, su base annua, sono calcolate in relazione ai consumi d’acqua giornalieri.