Chiudi
Cerca nel sito:

Pochi passi avanti sulla tutela della biodiversità

biodiversità
Condividi l'articolo

La Conferenza sulla tutela della biodiversità di Ginevra ha registrato pochi passi avanti rispetto alle complesse questioni da affrontare. Primo obiettivo: istituire misure di protezione per il 30% delle aree terrestri e il 30% di quelle marine entro il 2030.

Una “mission 2030” e non soltanto una “vision 2050”. Il migliore dei risultati usciti fuori dalla Conferenza di Ginevra per la biodiversità è quasi un messaggio in codice. La Convention on biological diversity, che si è conclusa a fine marzo dopo quindici giorni di fitti dibattiti scientifici e negoziali, era un appuntamento importante per il Pianeta. Almeno nelle intenzioni. L’obiettivo era di perfezionare un testo di accordo globale da avere pronto per la XV sessione della Conferenza delle Parti della Convenzione Onu per la diversità biologica che si terrà a Kunming in Cina, quest’anno. Scopo dell’accordo: arrestare e invertire il declino della biodiversità e vivere in armonia con la natura.

Passi avanti, ma incerti e confusi

Molta strada rimane ancora da fare. Tanto che è stato annunciato un altro round negoziale pre-Kunming, a giugno a Nairobi, per dare forma al testo finale. Nonostante le aspettative riposte nell’incontro, i passi compiuti sono ancora troppo incerti e confusi. La bozza di framework è un coacervo di testi e opzioni. E tutti concordano sulla necessità di proseguire il dibattito e lavorare sulla condivisione. Il disordine del testo uscito da Ginevra, per il vice segretario esecutivo della Convention on biological diversity (Cbd) David Cooper, è “una parte essenziale del processo e un segno di progresso”. “Il lato positivo – ha sottolineato Cooper – è che ci sono tutti gli elementi che le diverse parti vorrebbero vedere in questi obiettivi e traguardi. E dobbiamo riconoscere che i Paesi hanno interessi diversi, anche se hanno tutti un interesse comune nell’affrontare la sfida della crisi della biodiversità. Quindi, in generale, sono stati abbastanza costruttivi nel cercare di conciliare le loro differenze”. Sulla stessa linea Basile van Havre, copresidente del Global Biodiversity Framework negotiations working group, secondo il quale “rispetto alla prima versione di framework, che include obiettivi, traguardi e mezzi di attuazione, i Governi hanno aggiunto molti altri elementi che richiedono ulteriori negoziati”. Più guardinga An Lambrechts di Greenpeace International, che teme la prospettiva di un accordo annacquato. “Ci aspettavamo – ha commentato Lambrechts – che sarebbe stato complesso, ma è stato deludente vedere che non ci sono stati molti progressi”. Ciononostante, “il testo disordinato contiene ancora una formulazione promettente su alcune delle questioni che Greenpeace considera critiche, inclusi i popoli indigeni e i diritti delle comunità”.

Le questioni sul tavolo

Nel suo intervento di chiusura, la segretaria esecutiva della Cbd, Elizabeth Maruma Mrema ha invece sottolineato che “i Governi hanno dimostrato il potere del multilateralismo e la volontà di cercare un terreno comune”. Sullo sfondo il conflitto in Ucraina. L’Unione europea mantiene un profilo basso. La Cina, che ha la presidenza, secondo gli ambientalisti non fa abbastanza. Brasile e Argentina remano contro. E sul tavolo questioni giganti. Come la condivisione aperta del sequenziamento genetico, componente fondamentale dell’accordo, sulla quale la Bolivia si mette di traverso. Lo scopo della Convenzione Onu sulla biodiversità è triplice: conservare la biodiversità genetica, di specie e di ecosistema; fare un uso sostenibile della biodiversità; condividere in modo equo e giusto i benefici che la biodiversità offre all’umanità. L’obiettivo dell’accordo da portare a Kunming è di conseguire questo triplice scopo entro il 2050 e, prima, entro il 2030, di arrestare e invertire il declino dell’integrità biologica attraverso una serie di 21 target. In particolare, per ridurre le minacce alla biodiversità, si intende garantire l’istituzione di un sistema di aree protette e misure di conservazione per il 30% delle aree terrestri e il 30% delle aree marine entro il 2030. Questo implica la necessità di dare attuazione ai diritti delle popolazioni indigene e delle comunità locali. Secondo la rappresentante di Greenpeace è necessario definire subito un solido quadro di attuazione: “proteggere almeno il 30% del mare e della terra a livello globale è il minimo e questo non può essere fatto senza le popolazioni indigene, le comunità locali e il fronte che mette al centro i diritti alla terra”. Tra gli ostacoli, non piccoli, che rimangono da superare per la finalizzazione dell’accordo, ci sono le modalità di finanziamento delle azioni di tutela della biodiversità globale e quelle con cui verrà misurato il conseguimento degli obiettivi. Tutti i Paesi riconoscono che sono necessari più soldi per far fronte alla perdita di biodiversità, stimata in 100-150 miliardi di dollari in più ogni anno, ma non c’è accordo sulla provenienza di questi fondi. E la fine dei sussidi alle attività che distruggono la natura è un’altra questione spinosa.

Ultime Notizie

Cerca nel sito