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Plastisfera: la nuova realtà degli ecosistemi terrestri

Bottiglietta d'acqua in spiaggia
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Uno degli effetti sull’ambiente più preoccupanti strettamente legato alle attività umane è stato l’accumulo, nel corso di decenni, di enormi quantità di rifiuti di plastica, nella misura delle centinaia di migliaia di tonnellate, che anno dopo anno sono finiti nei nostri oceani. Forse non tutti sanno, a questo proposito, che nei mari in giro per il mondo sono presenti delle enormi isole di spazzatura, per la maggior parte materie plastiche che non sono mai state riciclate e che oggi minano la salute degli ecosistemi marini e anche quella di noi esseri umani. Incredibile ma vero, ad ogni modo, proprio intorno a questi scarti oceanici hanno iniziato piano piano a crescere anche dei microorganismi, che oggi vengono chiamati con un neologismo, la “platisfera“.

La platisfera è dunque rappresentata da piccole alghe, batteri e altri organismi unicellulari che piano piano hanno iniziato a colonizzare le superfici di bicchieri, cannucce, bottiglie, t-shirt in plastica e chi più ne ha più ne metta. Analizziamo dunque più nel dettaglio questo fenomeno, cercando di comprenderne i segreti e gli effetti sugli ecosistemi marini in linea generale.

Indice

La formazione della platisfera

La platisfera è un particolare tipo di ecosistema che si raccoglie intorno a rifiuti presenti in mare: scopriamo insieme come si può formare.
Una persona ricicla tappi di plastica

La prima volta in assoluto che si è iniziato ad utilizzare questo termine è stato grazie al contributo della biologa marina e ricercatrice per il Royal Nertherlands Institute for Sea Research Linda Amaral-Zettler, che nel 2013 l’ha coniato.

Ogni oggetto galleggiante nell’oceano tende ad attirare la vita, in modo naturale; si tratta d’altra parte un principio che gli stessi esperti pescatori conoscono molto bene, e proprio da questo punto di vista non è certo un caso se utilizzano boe galleggianti per concentrare i pesci che poi andranno a raccogliere con le loro reti.

I detriti di plastica marina funzionano concettualmente nello stesso identico modo e, su scale microscopiche, i microbi come batteri, alghe e altri organismi unicellulari si raccolgono intorno ad essi e li colonizzano, proprio come con qualunque altro oggetto galleggiante.

I centri di aggregazione per tali organismi non devono nemmeno essere di grandi dimensioni per diventare la casa di questi organismi: anche piccolissimi pezzi di detriti di plastica marina delle dimensioni di un’unghia del mignolo potrebbero agire come efficaci dispositivi di aggregazione microbica. La platisfera è stata chiamata così proprio perché costituisce un sottile strato di vita (o biofilm) idealmente simile allo strato di vita sulla superficie esterna del pianeta Terra chiamato “biosfera.”

I rischi

A prima vista, potrebbe sembrare che la nascita di nuovi organismi e di un nuovo ecosistema sia qualcosa di positivo, ma non è esattamente così. Al di là del fatto che la presenza di plastica in mare contribuisce alla formazione di microplastiche, i cui effetti sul nostro organismo sono ancora tutti da verificare, è importante ricordare che i batteri e gli eventuali virus che si possono formare sulle superfici di queste materie plastiche poi possono finire sulle nostre spiagge, e dunque entrare in contatto con noi esseri umani. Si pensi, giusto per fare un esempio, ai vibrioni, un tipo di microrganismi che generalmente sono portatori di malattie gastroenteriche anche molto gravi come il colera.

Ricerche in corso

Con il progressivo accumulo di plastica in mare stiamo assistendo alla nascita di un nuovo ecosistema, la platisfera: ecco le curiosità a riguardo.
Una bottiglia di plastica nella sabbia

Come riportano gli scienziati dello Smithsonian – National Museum of Natural History di Washington, utilizzando alcuni campioni di plastica raccolti durante le crociere di ricerca degli studenti della Sea Education Association si è cercato di identificare quali sono i tipi di batteri nella plastisfera, come colonizzano le superfici della plastica e come potrebbero influenzare gli ecosistemi marini.

Le micrografie elettroniche a scansione effettuate hanno rivelato una geografia complessa della vita microbica sulle superfici incrinate e butterate dei pezzi di plastica che sono invecchiati e si sono deteriorati nell’oceano. Tracy Mincer, una scienziata che lavora presso il Woods Hole Oceanographic Institution e che analizza da tempo questa nuova comunità l’ha definita un “reef microbico” perché è un ecosistema completo con produttori primari (come le piante), erbivori, predatori e decompositori, proprio come la comunità di organismi più grandi che si trovano sulla complessa superficie di una barriera corallina.

Gli scienziati al lavoro sugli studi riguardanti la platisfera hanno inoltre evidenziato una scoperta in particolare: grazie al loro impegno è infatti emersa la presenza di un tipo di cellule definite “creatrici di cavità,” cellule di forma sferica che sembrano essere integrate nella superficie dei frammenti di plastica. Queste cellule potrebbero in qualche modo aiutare nella decomposizione dei rifiuti di plastica marina, influenzando così il destino della plastica negli oceani a lungo termine.

La stessa Linda Amaral-Zettler ha utilizzato tecniche genetiche che hanno permesso di esaminare il DNA dei microbi qui presenti. Grazie al suo lavoro si è evidenziata una biodiversità sorprendentemente alta, con oltre 1.000 tipi di microbi su un singolo piccolo pezzo di plastica di soli 5 mm o meno di diametro. Uno degli elementi per molti versi più straordinario che è emerso grazie alle sue ricerche è il fatto che alcuni degli organismi riscontrati non si incontrano normalmente nell’oceano aperto, ma riescono a sopravvivere lì solo aggrappandosi ai frammenti di plastica.

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Alberto Muraro

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