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Pioggia artificiale in Italia: il cloud seeding può risolvere il problema della siccità?

Pioggia artificiale: banchi di nuvole
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È allarme siccità nel nostro Paese. Regioni come la Sicilia sono in sofferenza ormai da settimane, aree della Puglia si trovano in una situazione molto simile e tutte le regioni meridionali temono di ritrovarsi con lo stesso problema, a breve. L’acqua potabile diminuisce a causa di consumi aumentati e fattori meteorologici come il surriscaldamento globale, mentre la popolazione mondiale cresce. Tra le soluzioni più immediate per risolvere il problema esiste quella della pioggia artificiale. La possibilità è nota, a livello sperimentale, fin dagli anni ’50 dello scorso secolo, ma rimane un espediente di cui non tutti si fidano poiché permangono dubbi sulla sua effettiva efficacia.

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Che cos’è la pioggia artificiale?

Possiamo tradurre il termine inglese cloud seeding con l’espressione italiana inseminazione delle nuvole. Si tratta di una tecnica di stimolazione meteorologica che si pone l’obiettivo di forzare le precipitazioni e generare una pioggia artificiale. La tecnica si basa sulla diffusione di getti di ioduro d’argento o ghiaccio secco all’interno di determinate nuvole, quelle più minacciose, per così dire. Il ghiaccio secco altro non è che anidride carbonica allo stato solido. Il bombardamento di ioduro si porta avanti servendosi di aerei appositi o cannoni da terra.

La pioggia artificiale si ottiene inseminando nuvole cariche di acqua

Relativamente a questa tecnologia, esistono da tempo dubbi e perplessità. La comunità scientifica non è d’accordo né sulla sua efficacia, né riguardo alla concreta utilità del processo. Non deve dunque stupire che l’utilizzo dell’inseminazione nuvolare sia rimasto un fenomeno di nicchia per 7 decenni. Da qualche tempo però, principalmente a causa dell’intensificazione dei fenomeni associati al cambiamento climatico, l’impiego di pioggia artificiale è tenuto sempre più in considerazione, da un numero sempre maggiore di agenzie governative, agricoltori e imprenditori. A loro avviso, è un modo relativamente abbordabile di mitigare alcuni effetti, a breve termine, dei prolungati periodi di siccità.

Chi fa uso della pioggia artificiale

Vi sono alcuni governi che hanno già iniziato a servirsi di pioggia artificiale. Gli Emirati Arabi Uniti, per esempio, si rivolgono abitualmente ad aziende che offrono servizi di questo tipo. Quel Paese, com’è noto, è molto poco piovoso. Negli ultimi tempi, si sono susseguite richieste anche di altra provenienza; nella fattispecie, da Stati Uniti occidentali e Messico. A quelle latitudini, si vede il cloud seeding come un’alternativa più economica a tecnologie troppo costose o impegnative. È il caso, ad esempio, della desalinizzazione dell’acqua pompata nell’entroterra dall’Oceano Pacifico o dal Golfo del Messico.

In Italia abbiamo portato avanti esperimenti di stimolazione artificiale della pioggia per diversi anni. Dapprima in Puglia, poi in Sicilia, Sardegna e Basilicata. Tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio degli anni Novanta, la sperimentazione procedette di buona lena. A conti fatti, però, diede buoni risultati soltanto nel primo anno. In quella occasione si riscontrò una media del 30 per cento in più di precipitazioni, rispetto alla media cinquantennale nell’area di intervento. Dopo il primo anno, però, una prolungata siccità condizionò i risultati dell’esperimento, riducendo drasticamente la presenza di sistemi nuvolosi adatti a stimolare le precipitazioni. Ciò mise in luce uno dei principali limiti di questa tecnica.

Tutti i limiti della pioggia artificiale

Perché si possa soltanto prendere in considerazione di intervenire con una simile azione di stimolo occorre, innanzitutto, individuare nuvole sufficientemente cariche di umidità e adatte, anche per altre specifiche caratteristiche, a essere colpite dalle sostanze in grado di favorire la condensazione del vapore. È in questo modo che si aumentano le precipitazioni. La metafora più calzante, per descrivere la tecnologia, si deve a Jonathan Jennings, un meteorologo impiegato presso la West Texas Weather Modification Association. Intervistato dal Wall Street Journal riguardo alla pioggia artificiale, Jennings ha dichiarato che l’azione è equiparabile a quella di chi prende tra le mani una spugna gocciolante e la strizza con vigore.

La West Texas Weather Modification Association è un’associazione che, su autorizzazione dello Stato del Texas, si occupa fin dagli anni Novanta di un progetto di induzione delle piogge in sei contee occidentali dello Stato. Secondo i dati condivisi dall’azienda per cui lavora Jennings, il cloud seeding è in grado di aumentare del 15 per cento le piogge annuali in una determinata area, rispetto ai livelli normali. Tale aumento si traduce in circa 50 mm di precipitazioni in più all’anno. Questa acqua può essere utilizzata per irrigare le coltivazioni durante i periodi di siccità o ricaricare le falde acquifere sotterranee, a cui attingono agricoltori, allevatori e residenti nelle zone rurali del Texas occidentale.

I principali utilizzi di questa tecnologia

Altri utilizzi della pioggia artificiale, meno comuni ma in alcuni casi di lunghissima durata, come per esempio nello Stato del Colorado, riguardano l’induzione di nevicate invernali più abbondanti nelle stazioni sciistiche. Altrove, se ne fa uso per aumentare il tasso di umidità. Un’altra ragione dello scetticismo che, da sempre, circola intorno a questa tecnologia, riguarda il fatto che non sia possibile avere alcuna prova definitiva della sua efficacia. Il tempo è imprevedibile e resta tale. Non si possono avere certezze relative al fatto che, nell’area in cui ghiaccio secco o lo ioduro d’argento sono stati diffusi nelle nuvole non avrebbe comunque piovuto o nevicato, indipendentemente dall’inseminazione.

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Mattia Mezzetti

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