L’obsolescenza programmata, o pianificata che dir si voglia, è una strategia commerciale tutt’altro che etica, della quale fa le spese l’intero pianeta. Le aziende immettono volontariamente sul mercato prodotti di bassa qualità, affinché durino poco e debbano essere rapidamente sostituiti. Questo tipo di comportamento è ormai ampiamente diffuso e vi sono grandi marchi che hanno dovuto affrontare dei procedimenti perché accusati di introdurre sul mercato prodotti dall’esistenza troppo breve. Come accadde per esempio ad Apple, nel 2020, quando fu condannata per obsolescenza indotta.
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Obsolescenza programmata: significato e alcuni esempi
Uno schema tipico di obsolescenza programmata è quello che spesso fa seguito all’acquisto di un elettrodomestico.
Tre casi di obsolescenza programmata
Chi legge potrebbe essersi trovato in una situazione molto simile alla seguente. Dopo aver sostituito la lavatrice, e averla usata per un periodo di tempo superiore alla durata della garanzia legale, ma ancora abbastanza stretto, l’apparecchiatura si danneggia. Potrebbe rompersi del tutto e divenire inutilizzabile, o semplicemente mostrare alcuni malfunzionamenti. Che fare? Ci si informa subito sulla riparazione, soltanto per scoprire che i pezzi di ricambio sono irreperibili oppure il costo della manodopera proibitivo. A questo punto, tanto vale sostituire l’intero elettrodomestico, dal momento che i tempi sono più rapidi e si può spendere meno, qualora si sfrutti una buona offerta.
Similmente, possiamo ritrovarci tra le mani uno smartphone non più vecchio di una ventina di mesi eppure già segnato, sullo schermo, da righe di usura. O dotato di una batteria la cui carica massima non duri più di una manciata di ore. O ancora incompatibile con gli ultimi aggiornamenti, dal momento che essi sono stati sviluppati soltanto per le ultime versioni del sistema operativo.
Si segnalano anche numerosi casi di cartucce per la stampante che si consumano troppo velocemente. Non di rado i serbatoi dotati di chip possono indicare l’esaurimento dell’inchiostro anzitempo, ben prima che la cartuccia sia veramente all’asciutto. In questo modo, chi ne fa uso è costretto a sostituirla, anche se potrebbe tranquillamente utilizzarla ancora. Per quanto possa capitare di avere a che fare con un dispositivo difettoso o incappare in una sfortunata casualità, la maggior parte delle volte in cui ci si ritrova in situazioni di questo genere, non è successo niente che gli sviluppatori non abbiano previsto prima di mettere il prodotto sugli scaffali di un negozio.
Agli albori dell’obsolescenza programmata
Il fenomeno interessa principalmente i dispositivi elettronici di cui facciamo uso quotidianamente. Smartphone, computer, lavatrici, lavastoviglie, frigoriferi… questi elettrodomestici sono tra i prodotti più colpiti dall’obsolescenza programmata. L’intento truffaldino di chi ricorre a questa scorrettezza nei confronti del consumatore è aggravato dal fatto che la pratica implichi ricadute ambientali serie e non trascurabili, dal momento che genera un’elevata quantità di rifiuti e causa non poche difficoltà per smaltirli.
Il concetto di obsolescenza programmata è figlio della società dei consumi. La prima volta che si fece uso di questo termine era il 1924. In quell’anno, tutti i produttori di lampadine a incandescenza aderirono al cosiddetto Cartello Phoebus. Esso aveva arbitrariamente deciso di modificare il processo produttivo, per far sì che corpi illuminanti tarati sulla durata di 2500 ore si fulminassero dopo 1000. A questa scelta si ispirarono i produttori di nylon, fino ad allora indistruttibile o quasi, che venne reso ben più delicato. Lo stesso sentiero è poi stato perocrso da una lunga serie di settori e aziende di cui Apple non è che l’ultima in linea temporale.
Combattere l’obsolescenza programmata
Da consumatori, non siamo costretti a subire l’obsolescenza programmata senza fare nulla. Esistono infatti delle strategie che ci permettono di allungare la vita dei nostri dispositivi digitali, vediamole:
- scegliamo soltanto quel che ci serve davvero. Questo consiglio sembrerà banale, ma non lo è affatto. Decidiamo di sostituire il nostro telefono – o qualunque altro dispositivo – soltanto quando non vi sia alternativa e, nel farlo, non scegliamo un modello con numerose funzioni che non ci occorrono. Evitiamo di fiondarci ciecamente sul prodotto più recente se per l’utilizzo che dobbiamo farne ci è sufficiente la versione di qualche anno fa. Diamo una possibilità anche al ricondizionato, un mercato sempre più ricco e popolare.
- Ripariamo e manuteniamo. Evitiamo di ricorrere alla sostituzione quando potremmo semplicemente ripulire i connettori oppure aggiornare il software. Spesso è davvero semplice limitare la produzione di rifiuti.
- Non trascuriamo la sicurezza. L’utente ha una responsabilità verso i propri dispositivi che comunicano con la rete. Facciamo attenzione ai file che apriamo o visualizziamo e installiamo sempre antivirus, disponibili sia su computer che su smartphone con sistema operativo Android.
- Diamo una possibilità all’open source. Sistemi operativi open source, gratuiti e a disposizione di tutti, come ad esempio Linux, sono un vero e proprio elisir di lunga vita per macchine vecchie e obsolete. Questo ambiente è noto per la sua sicurezza ed è molto veloce nell’esecuzione dei compiti più basilari eseguiti quotidianamente da un pc: navigazione sul web, creazione documenti e scambio di e-mail. Quando il sistema operativo nativo non viene più aggiornato, perché il dispositivo è ritenuto troppo vecchio, Linux può – letteralmente – offrire una seconda vita al prodotto.
- Sfruttiamo il vecchio modello per tutto il tempo possibile. Nel momento in cui entriamo in possesso di un nuovo dispositivo, non dobbiamo necessariamente gettare il vecchio. Pensiamo per esempio al vecchio smartphone. Non sarà più l’oggetto che ci accompagna ovunque ma è ancora un valido riproduttore di musica, un hotspot wi-fi per le emergenze, o la seconda casa, nonché un navigatore GPS da tenere in auto.
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