La riparazione degli oggetti ha profonde implicazioni economiche, ambientali e sociali. E grazie al proliferare delle iniziative popolari sta entrando nelle agende della politica. I repair cafè sono uno dei primi esempi di successo.
Riparare un oggetto è un diritto. Un diritto che fa bene all’ambiente perché allunga la vita dei prodotti, limitando il prelievo di materie prime e i consumi energetici che sarebbero legati all’acquisto di nuovi oggetti, e riduce la produzione di rifiuti.
Il diritto alla riparazione è entrato nelle agende della politica
Il diritto alla riparazione è al centro di movimenti e iniziative popolari sempre più partecipati: dai repair café ai restart party, dalla campagna statunitense Right to Repair che punta a rendere pubblici i manuali di manutenzione, all’omonima europea, che raccoglie una trentina di organizzazioni di 12 diversi Paesi, che chiedono l’eco-design per gli oggetti, progettati per essere riparabili; da iFixit, che offre manuali e tutorial per la riparazione, fino a festival come Fixfest. Questa popolarità ha fatto sì che il tema stia entrando anche nelle agende della politica: circa un anno fa il Parlamento dello Stato di New York ha approvato il Fair Repair Act e il Presidente statunitense Biden ha emesso un ordine esecutivo a riguardo, richiamandone l’importanza con un tweet che ha alimentato il dibattito sul tema. In Italia, in Parlamento giacciono alcune proposte di legge sulla riparazione ed è in arrivo entro l’anno una proposta della Commissione europea sul diritto alla riparazione, in vista della quale l’Europarlamento ha evidenziato quali dovranno essere le priorità (incentivi alla riparazione, obbligo per i produttori di dare informazioni sulla riparazione e di rilasciare aggiornamenti per i software, estensione delle garanzie).
Cosa sono i repair café e dove sono in Italia
Una delle prime iniziative che ha risvegliato l’attenzione – a livello globale – sul tema della riparazione e delle sue implicazioni economiche, ambientali e sociali è quella dei repair cafè. I repair cafè sono locali, o eventi itineranti, in cui alcuni volontari dedicano le proprie capacità di aggiustatutto a chi ne ha bisogno. Altro aspetto essenziale è la socialità: i caffè permettono l’incontro delle persone e il rafforzamento della comunità, attraverso la partecipazione alla cura delle cose. I volontari non si comportano come i tecnici di un laboratorio che riparano e riconsegnano il bene, ma affiancano il proprietario mostrando dov’è il guasto e cosa è necessario fare per ripararlo. A volte vengono organizzati corsi di riparazioni elettriche, idrauliche, ciclistiche.
Il primo repair cafè è nato nel 2009 ad Amsterdam grazie alla giornalista Martine Postma: dopo aver riflettuto sull’automatismo consumistico che ci porta a cambiare un prodotto rotto con uno nuovo senza neanche verificare se possa essere aggiustato (o aggiornato, nel caso dei prodotti digitali), il 18 ottobre di quell’anno Martine ha raccolto nel Fijnhout Theatre della sua città diversi volontari che mettessero le loro competenze a disposizione di chi chiedeva di riparare una bici, un ferro da stiro, un cappotto. Fu un successo. E spalancò la strada a decine di altre iniziative, attirando l’attenzione dei governanti e ottenendo finanziamenti per l’iniziativa. Oggi la Repair Café Foundation, in Olanda, accompagna chi vuole portare un repair café nella propria comunità.Ad oggi, questo format di successo è stato replicato in circa 2000 altri repair café in tutto il mondo. Il primo aperto in Italia è Aggiustotutto Repair Café Roma, aperto nel 2015. Oggi, secondo EconomiaCircolare.com, nel nostro Paese sono 19: da quello di Perugia, al Lab Barona di Milano al Rusko di Bologna. Per orientarsi si può usare la pagina Facebook di Repair Café Italia, rete di repair cafè tricolori, oppure la mappa di Restarters Italia.
La riparazione favorisce un cambio di paradigma economico e mentale
Per chi, dagli anni ‘80 ad oggi, è cresciuto in un ambiente sociale permeato dalle regole del consumismo e dell’economia lineare (compra – usa – butta – ricompra) un approccio ai prodotti che contempli la riparazione è un vero cambio di paradigma: economico, sociale ma, potremmo dire, anche filosofico. Avere la riparazione nella propria cassetta degli attrezzi del pensiero non ha solo effetti pratici: ci rende meno passivi rispetto alle cose, più protagonisti. Per dirla con il filosofo Byung-chul Han, le cose, i beni, non vengono solo consumati, ma usati e vissuti, con un maggiore grado di empatia che giustifica anche gli sforzi per tenerle in vita più a lungo. “L’attuale iperinflazione degli oggetti, che conduce alla loro esplosiva proliferazione – scrive Byung-chul Han in “Le non cose” – è sintomo di una crescente indifferenza nei loro confronti”.