Dalla scienza biologica a quella automobilistica. Il motore molecolare, dispositivo biologico capace di convertire l’energia chimica in meccanica, è un apparato fondamentale per regolare il movimento degli esseri viventi. Può avere applicazioni anche nell’industria dell’automotive?
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Che cos’è un motore molecolare?
Quando pensiamo a un motore molecolare non ci riferiamo a un propulsore per autovetture. Perlomeno, non ancora. Questa espressione descrive un apparato biologico che trasforma l’energia. La sua azione converte la potenza chimica in meccanica e rappresenta dunque un agente fondamentale per la vita umana. E lo stesso vale per ogni altro organismo vivente. Pensiamo a una macromolecola proteica che sia in grado di incamerare l’energia chimica rilasciata per idrolisi dall’ATP. Una volta raccolta, il motore molecolare la trasforma, rendendo possibili numerosi azioni cinetiche, dalla divisione cellulare al movimento di cellule e organelli.
I principali motori proteici in azione nell’organizmo umano sono la miosina e la chinesina. Dal canto loro, vengono spesso considerati tali anche la RNA e la DNA polimerasi. Per la chimica, però, i quattro elementi non sono propriamente sovrascrivibili. Che c’entra una macroproteina così sofisticata, e sconosciuta ai più, nell’industria dei motori? Il gancio si deve al principio di trasformazione dell’energia che caratterizza le molecole convertitrici.
Se infatti il principio del motore molecolare non ha più grossi segreti per la chimica, perché non mettere tali conoscenze al servizio dell’automotive, inseguendo un risultato che potrebbe essere definito addirittura rivoluzionario per il settore e tutto il suo indotto? Naturalmente, i tempi saranno tanto lunghi da poter essere definiti biblici.
Sono stati dei ricercatori europei, presso un laboratorio in Olanda, a portare a termine il più importante esperimento di questo tipo finora. Per concluderlo, si sono serviti di in un ambiente la cui temperatura era di -266 gradi.
Progetto LEAPS: la base per un futuro motore molecolare
Anche gli scienziati italiani hanno ottenuto buoni risultati nell’ambito della ricerca molecolare. Naturalmente, ci riferiamo a un setting assolutamente sperimentale e a test portati avanti su monomolecole. La stessa auto olandese era composta da un’unica molecola, per cui teniamo bene a mente le proporzioni: non stiamo parlando di vetture che possono circolare per strada nel giro di pochi anni.
Avanguardia bolognese
All’interno dei laboratori dell’Università di Bologna, l’Alma Mater Studiorum, si è concluso con successo, ormai qualche anno fa, un esperimento davvero pioneristico nel campo dei motori molecolari. Ricercatori e studenti dell’ateneo emiliano hanno infatti messo a punto un prototipo di macromolecola capace di trasformare l’energia in movimento senza necessità di passare per alcun vettore. In parole più semplici, un fotone è stato reso motore meccanico senza necessità di impiegare elettricità. Il progetto si è concluso, nella sua forma primeva e più rudimentale, e ora si stanno portando avanti nuovi studi per migliorarne la resa.
L’esperienza è stata ribattezzata LEAPS, dall’inglese Light Affected Autonomous Molecular Pumps, e lo scopo ultimo è quello di creare un sistema che possa trasportare molecole in maniera controllata grazie allo sfruttamento dell’energia contenuta nella luce. Queste molecole possono essere quelle costituenti di un mezzo di trasporto per oggetti e persone? Dal punto di vista teorico, assolutamente sì, da quello pratico, però, parliamo ancora di nanometri che misurano qualche miliardesimo di metro e vengono studiati sui piani di lavoro dei laboratori di chimica. Se l’applicazione a livello micro è già possibile, quella automobilistica è lontanissima.
Chimici di talento sono in grado di creare macchine molecolari sintetici ormai da decenni, nessuno però è ancora stato in grado di applicarle alla vita reale. Lo studio bolognese raggruppa competenze della chimica, della fisica e della biologia e vorrebbe giungere a produrre muscoli artificiali azionati dalla luce. La loro prima applicazione sarebbe in robot solari, mentre la successiva potrebbe essere nell’automotive.
Il motore molecolare olandese, primo prototipo automobilistico
Orgoglio nostrano a parte, l’esperimento portato avanti in Olanda era molto calzato sull’evoluzione della tecnologia automobilistica. In quel caso i ricercatori realizzarono una vera e propria auto, se così possiamo chiamare un sistema dalle dimensioni enormemente più piccole delle micro-macchinine con cui giocano i bimbi. Essa si componeva di quattro ruote poste attorno a un’unica molecola. Essa era capace di muoversi a comando, avanti e indietro, lungo un corto tragitto disegnato sul vetrino del microscopio.
Questa vettura era totalmente elettrica e il suo funzionamento era a elettroni. L’alimentazione dipendeva dal microscopio a effetto tunnel, il quale trasmetteva alla ultra-micro-car, chiamiamola così, l’energia che le occorreva per i suoi brevissimi spostamenti. Era lo stesso microscopio a comandare il movimento. Avvicinandone la punta alla molecola si poteva provocare lo spostamento, fino a 180 gradi, delle propaggini laterali. Per chiarezza le abbiamo definite ruote ma, in realtà, il loro movimento ricorda molto più quello di una spatola che quello di una circonferenza gommata, come quelle calzate dagli automezzi che vediamo ogni giorno.
Il movimento totale della macromolecole è stato di sei nanometri. Se consideriamo che un nanometro corrisponde a un miliardesimo di metro, ci rendiamo conto di quanto lunga sia ancora la strada da fare prima che questa tecnologia possa cominciare a essere presa in considerazione per la motorizzazione.
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