Missione Euridice è il progetto portato avanti da due fratelli di Caltanissetta, Andrea e Marco Spinelli. I due sub hanno iniziato un’azione di recupero delle reti da pesca abbandonate nel Golfo di Cefalù. Ad affiancarli nella loro missione sono giunti prima i ricercatori dell’Istituto Oceanografico di Valencia, poi la Capitaneria di Porto e, infine, il reparto sub della Guardia Costiera affiancato da alcuni pescherecci locali. Approfondiamo, nei paragrafi seguenti, come stia andando questa missione e quale sia la sua importanza ambientale.
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L’idea che ha messo in moto Missione Euridice
“Era l’estate del 2020 e ci immergevamo nelle acque della nostra terra, quelle del Golfo di Cefalù. In quel momento, scoprimmo per caso una zona della Secca dei Campanari. Ci accorgemmo che era completamente ricoperta da reti da pesca abbandonate. Allora documentammo le reti, tutti i pesci intrappolati e le condizioni dell’ecosistema marino, ormai asfissiato. È stato lì che abbiamo iniziato a pensare a un progetto che potesse liberare quel tratto di mare dal pericolo delle reti fantasma. Abbiamo ideato in quel momento Missione Euridice.”
Inizia così il racconto dei due subacquei siciliani. Il loro amore verso il mare, che li accompagna dalla nascita dato il luogo che ha dato loro i natali, è esploso nell’estate in cui tutta Italia faceva i conti con un’altra esplosione, quella dei casi di COVID-19. Andrea ne ha fatto anche un lavoro, dal momento che ora è un biologo marino che documenta il bioma subacqueo. Marco invece resta legato al blu grazie alla missione che ha lanciato assieme a suo fratello. La scintilla fu infatti bruciante per entrambi e la decisione, presa in sintonia, pressoché istantanea. I due scelsero, durante quella immersione, di impegnarsi in prima persona per salvare il mare.
Riscoprire la connessione con la natura
“Sott’acqua sei completamente connesso con la natura. Le tue emozioni sono amplificate e ti trovi in un mondo parallelo, vulnerabile e che devi proteggere. Il mio è un vero bisogno, ho la necessità di raccontare cosa si nasconde là sotto e come l’impatto umano, distruttivo, sia in grado di arrivare anche laggiù, in un mondo all’apparenza lontano ma che in realtà è molto vicino, oltre a essere la culla della vita.”
Marco Spinelli, fotografo e regista di documentari, si porta la fotocamera in immersione e desidera fare sensibilizzazione. In comune con suo fratello ha la voglia di raccontare quel che vede e mettere il suo pubblico a conoscenza del grido d’allarme che il mare e gli oceani ci stanno lanciando. L’attività antropica non è devastante soltanto per la biodiversità terrestre, bensì anche per quella marina. Attraverso la riscoperta di una più profonda connessione con la natura, a suo avviso, possiamo imparare a rispettare di più il pianeta che ci ospita, quello per cui oggi rappresentiamo, come società umana, la prima e più pericolosa minaccia di distruzione.
Missione Euridice e il dramma delle reti fantasma
Il progetto, ideato nell’estate 2020, partì soltanto nella primavera dell’anno successivo, quando i fratelli Spinelli lanciarono un crowdfunding per finanziare la missione. Da quel momento in avanti, iniziò la fase preparatoria e poi quella operativa. L’idea di ripulire il fondale marino dalle reti è nobile, perché desidera rimuovere una criticità che avvelena i nostri mari. Ogni anno si abbandonano 640mila tonnellate di reti da pesca, in tutto il mondo, e secondo la UE, il 20% di queste finisce nel Mar Mediterraneo. Si tratta dunque di ben 11mila tonnellate di materiale artificiale, estraneo all’ecosistema marino e nocivo per la vita subacquea.
Non sono solo le reti a essere abbandonate, bensì anche corde sintetiche e altri oggetti per la pesca (per non considerare plastiche, microplastiche, packaging industriali e vetro, rifiuti che avvelenano i bacini marini ma non sono direttamente coinvolti nella Missione Euridice). In aggiunta a questi dati già allarmanti, consideriamo che l’Italia è tra i maggiori inquinatori marini. Il nostro Paese, assieme a Turchia e Regno Unito, è infatti la nazione che sporca maggiormente i mari europei. Le reti intrappolano i pesci e li spingono ad allontanarsi dai luoghi dove sono abbandonate, causando uno spopolamento che depaupera l’intero ecosistema, uccidendo, di fatto, intere aree di fondale.
La missione tra risultati ottenuti e obiettivi per il futuro
Alla base di Missione Euridice c’è l’intenzione dei fratelli Spinelli, e di coloro i quali hanno deciso di seguirli negli ultimi tre anni, di invertire il trend che porta l’uomo a inquinare e sporcare, rendendolo l’agente che pulisce e riporta alla vita. Come si vede nei documentari girati dai due sub, già un giorno dopo la rimozione delle reti, i pesci tornano a popolare l’area che precedentemente era loro preclusa da quelle che vedono come vere e proprie trappole mortali: le reti abbandonate dai pescatori. Come la ninfa del mito che si incammina verso il mondo dei vivi, anche gli organismi marini si riavvicinano alle zone liberate dagli scarti abbandonati.
Operare in situazioni di scarsa visibilità e in profondità che possono diventare pericolose, inalando sabbia e polveri che si rimescolano ogni qual volta si rimuove una rete, e dovendo far continuamente su e giù (ogni immersione dura un massimo di 35 minuti), non è certo un compito comodo e agevole. Eppure la volontà di fare qualcosa di buono per questo pianeta è più forte delle difficoltà. Chi non può, o non vuole, seguire le orme di Andrea e Marco Spinelli, può avvicinarsi alla loro opera guardando i documentari realizzati, sostenendone se vuole parte delle spese necessarie in vista delle prossime immersioni.
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