Tutti conosciamo, almeno a grandi linee, i principi di funzionamento dell’idroelettrico. Si ha una centrale collocata nei pressi di una cascata, o di un altro corso d’acqua di portata considerevole, e si ottiene energia dalla forza del fluido. Questi stabilimenti fanno spesso uso di grandi dighe, per recintare il loro bacino, e sono facilmente riconoscibili anche da distanza considerevole. Accanto a impianti di simili dimensioni si possono trovare, anche se la loro diffusione è più ridotta, centrali che traggono energia dal mini elettrico (talvolta detto anche micro). Perché un impianto possa definirsi tale deve avere una potenza contingentata, inferiore ai 100 kW.
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Come funziona il mini idroelettrico
Il principio alla base del mini idroelettrico è lo stesso che contraddistingue l’azione del suo fratello maggiore, per così dire. Si sfrutta il dislivello dei corsi d’acqua per alimentare turbine in grado di produrre energia. La tecnologia è poco sofisticata rispetto ad altre, più moderne, ma è comunque molto efficace e assolutamente green, sebbene, quando fu inventata, della questione ambientale non interessava granché. Questo modo di produrre energia è utilizzatissimo nel nostro Paese, fin dagli inizi del secolo scorso. La tecnologia del mini idroelettrico sfrutta l’azione di portate d’acqua contenute e trasforma il loro moto in elettricità, tramite l’azione di microturbine elettriche.
Accanto al mini troviamo il più ridotto pico idroelettrico, che comprende impianti di potenza inferiore a 5 kW. Esso riguarda salti di pochi metri d’acqua, con una portata minima di 0,5 litri al secondo. La peculiarità di questa tipologia di generatore idroelettrico è che soddisfa il fabbisogno di edifici privi di un collegamento alla rete. Rappresenta dunque una soluzione interessante per le aree più isolate. Lo si utilizza talvolta come impianto idroelettrico domestico. Il mini idroelettrico, dal canto suo, soddisfa in genere le necessità di piccole comunità, fattorie, singole famiglie, o piccole imprese.
Una semplice conversione
Il funzionamento di un impianto mini idroelettrico non è complicato. L’energia posseduta dalla corrente di un corso d’acqua aziona una turbina idraulica. Questa trasforma l’energia potenziale, o cinetica, del fluido in meccanica. Quest’ultima alimenta un alternatore che la trasforma in energia elettrica. Nel caso di impianti di dimensioni molto ridotte (2-3kW), la turbina, componente principale dell’impianto come si è visto, può alloggiare direttamente nel corso d’acqua, mentre per gli impianti di dimensioni più grosse si utilizzano apposite opere civili. Tramite esse si preleva parte dell’acqua dalla corrente del corso, restituendola in un punto più a valle, una volta completato l’attraversamento della turbina.
Una tecnologia di questo tipo comporta numerosi vantaggi per chi la sfrutta. Anzitutto non prevede investimenti cospicui, consentendo dunque un veloce ritorno dalla spesa iniziale, e, in secondo luogo, gode di notevoli benefici derivanti degli incentivi legati alla produzione da fonti rinnovabili. In aggiunta, la realizzazione di una centrale mini idroelettrica porta avanzamenti anche a livello ambientale. Permette, generalmente, un miglioramento delle condizioni idrogeologiche del territorio e, soprattutto potremmo scrivere, produce energia senza inquinare.
Le turbine e il mini idroelettrico
Il fulcro centrale di un impianto mini idroelettrico (ma anche di uno dalle dimensioni più imponenti) è la turbina idraulica. Si tratta infatti dell’elemento che favorisce il passaggio da energia potenziale a energia meccanica. Essa si compone di un organo fisso che svolge due funzioni: quella di distributore della regolazione della portata in arrivo e quella, idraulica, di trasformazione in energia cinetica. C’è poi l’organo mobile, detto girante, che viene messo in movimento dall’acqua in uscita dal distributore e ha la funzione di convogliare l’energia meccanica all’albero su cui è montato.
La turbina Pelton
Una delle turbine utilizzate più di consueto all’interno di un impianto mini idroelettrico è la Pelton. Si tratta di una turbina ad azione, come si suol dire, adatta a impianti con salto fino a qualche centinaio di metri. Molto simile a quelle utilizzate negli impianti di taglia maggiore, può essere ad asse orizzontale o verticale. La turbina Pelton è dotata di un numero di getti fino a 6 e pale a doppio cucchiaio. Lavora a pressione atmosferica e, dunque, non presenterà mai problemi di tenuta o cavitazione. Il rendimento è ottimo e l’ingombro ridottissimo. La sua costruzione è semplice e robusta e il numero di giri è relativamente basso.
La turbina Banki a flusso radiale o incrociato
Adatta per installazioni a basso e medio salto, da pochi metri in su, e portate da 20 a 1000 litri al secondo, è utilizzata esclusivamente in impianti di piccola potenza. Attualmente i modelli più diffusi sono quelli detti Michell Banki, dal nome dell’inventore. È una macchina a ingresso radiale dell’acqua, caratterizzata da una doppia azione del fluido sulle pale. La regolazione della portata è garantita da un particolare tegolo e la trasmissione del moto al generatore dipende da una cinghia dentata. Presenta un rendimento minore rispetto alla Pelton ma è più facile da costruire e si adatta a salti più bassi.
La turbina Francis
La Francis è una turbina a reazione. Si può utilizzare in caso di potenze con limite inferiore intorno ai 100 kW. Per tal motivo la si definisce miniturbina. L’applicazione di turbine a reazione in piccoli impianti è più problematica di quelle ad azione. Nonostante ciò, nelle applicazioni su piccola scala vengono utilizzate turbine tipo Francis, adatte a medi salti, ovvero da una decina a qualche centinaio di metri. Sono molto simili alle turbine per impianti di taglia maggiore.
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