Il tonno in scatola venduto nei negozi di alimentari, in Italia, può contenere livelli di mercurio che superano i limiti massimi previsti. Il dato è rilevante poiché si tratta di una sostanza tossica per l’organismo. In questo articolo, evidenziamo quel che occorre sapere sui rischi per la salute, sui primi sintomi di avvelenamento e su quanto pesce sia sicuro mangiare, in relazione al rischio di intossicamento. Questo servirà a darci qualche delucidazione in più sui pericoli legati alla presenza di mercurio nel tonno.
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Mercurio nel tonno: c’è da preoccuparsi?
L’allarme sul mercurio nel tonno in scatola è scattato dopo lo svolgimento di alcuni test sulle scatolette di marchi venduti anche nel nostro Paese. Queste verifiche hanno rivelato livelli di mercurio pericolosamente elevati. Ciò sta naturalmente facendo emergere numerose preoccupazioni sulla sicurezza di uno degli alimenti di cui gli italiani sono tra i maggiori consumatori al mondo. L’indagine è stata portata avanti dall’ONG francese Bloom.
I test messi in campo hanno rilevato, in tutti i campioni di tonno in scatola analizzati, la non trascurabile presenza di tracce di mercurio. Non solo. Più di una scatoletta su due (intorno al 57%), tra quelle in vendita in Germania, Regno Unito, Spagna, Francia e, appunto, Italia, supera la soglia di mercurio ammissibile di 0,3 milligrammi per chilogrammo stabilita per alcune specie ittiche, come le alici e il merluzzo. Una confezione su dieci tra quelle messe in vendita nel vecchio continente, Italia compresa dunque, contiene livelli di mercurio che superano anche la tolleranza massima prevista per il tonno (più elevata, pari a 1 mg/kg).
Quali sono i rischi correlati? Il mercurio è altamente dannoso per la salute. L’esposizione ripetuta, principalmente attraverso la dieta, presenta svariati effetti negativi, in particolare sul cervello. Il mercurio può intossicare l’essere umano, inebendone svariate funzioni cognitive e provocando danni alla salute cui prestare una certa attenzione.
A cosa si deve la presenza di mercurio nel tonno
Similmente a quanto avviene per altri predatori marini, come ad esempio il pesce spada, il tonno può contenere alti livelli di mercurio nella forma organica, e più pericolosa, di questa sostanza chimica. Si tratta di quello che definiamo metilmercurio. Esso tende ad accumularsi, nei tessuti di pesci e molluschi, nel corso del tempo. Essendo un predatore in cima alla catena alimentare, nel suo habitat, il tonno accumula metilmercurio anche quando consuma prede contaminate. Dal momento che può vivere fino a 40 anni, è tra i pesci che possono raggiungere concentrazioni più elevate. Talvolta, ne assorbe anche dieci volte di più rispetto alle specie più piccole.
Le preoccupazioni relative all’esposizione al metilmercurio hanno spinto ad azioni volte a cercare di ridurre le attività che ne rilasciano nell’ambiente. È il caso delle operazioni estrattive, principalmente di carbone e oro, della combustione di fonti fossili e del trattamento dei rifiuti. Persino la cremazione dei corpi umani, con otturazioni dentali in amalgama, contribuisce all’inquinamento da mercurio. Quest’ultima attività era enormemente impattante fino a una trentina di anni fa ma oggi, grazie alle restrizioni imposte a questa e altre pratiche impattanti, le emissioni di mercurio sono diminuite di circa il 90%, scendendo in picchiata a partire dal 1990.
Nel tonno, tuttavia, i livelli di metilmercurio non sono diminuiti, anzi, semmai è avvenuto il contrario. Secondo gli esperti, ciò si deve al fatto che la sostanza depositata, per svariate ragioni, nelle profondità dell’oceano, tende comunque a risalire nel corso del tempo, fino alle acque in cui nuotano questi pesci. Ecco la causa principale di accumulo di mercurio nel tonno.
I rischi per la salute umana derivanti dall’esposizione
Il metilmercurio è tossico per la salute umana. La sua ingestione a cadenza regolare, sebbene in piccole quantità, può avere diversi impatti negativi. I più evidenti e severi sono danni ai sistemi nervoso, gastrointestinale, immunitario e cardiocircolatorio. Se ingerito attraverso il consumo di pesce contaminato – come tipicamente accade, dal momento che le specie ittiche sono le principali fonti di esposizione per l’essere umano – è assorbito dall’organismo molto più efficacemente rispetto al mercurio inorganico.
Secondo le precisazioni dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS), il metilmercurio può “introdursi nei follicoli dei capelli, attraversare la barriera placentare, quella ematoencefalica e quella emato-liquorale (tutte difese che proteggono il cervello dall’ingresso di agenti tossici), finendo per accumularsi non solo nel cuoio capelluto, ma soprattutto nel feto e nel cervello”.
L’aspetto più critico del metilmercurio è legato alla sua potente neurotossicità, cioè la sua pericolosità per il sistema nervoso. In particolare, la sostanza crea problemi a nascituri e bambini piccoli, le creature più sensibili ai danni di questa neurotossina. L’esposizione precedente alla nascita, così come durante la prima infanzia attraverso il consumo, da parte della madre, di pesce contaminato da metilmercurio (che passa facilmente nel latte materno) rappresenta un serio rischio per lo sviluppo neurologico dei più piccoli.
Forte di questo dato, l’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare (EFSA) invita le donne in gravidanza a ridurre il consumo, soprattutto durante i nove mesi e nel corso della prima infanzia, di specie ittiche quali tonno, pesce spada, luccio e squaloidi come il pesce palombo.
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