La transizione ecologica passa anche dalla produzione. In un’epoca come quella che stiamo vivendo, dove la sensibilità alla crisi ambientale è molto elevata, non deve stupire il fatto che la ricerca sui materiali del futuro, innovativi e sostenibili, proceda a ritmo spedito.
Ciò vale per quasi tutti i settori produttivi. L’edilizia e la moda stanno sviluppando materiali riciclabili che possano durare nel tempo e non impattare sull’ambiente; il mondo del packaging è pronto a diffondere imballaggi in canna da zucchero e confezioni eco-friendly; esponenti autorevoli dell’automotive hanno più volte affermato di voler sostituire i materiali nocivi impiegati nei loro processi e i laboratori di biotecnologia stanno studiando come ci si possa liberare della plastica. In questo approfondimento, esploriamo alcune delle ultime frontiere relative ai materiali del futuro, svelando quali potrebbero essere le soluzioni migliori per i prossimi anni.
La produzione: un reparto poco aperto alle novità
Tipicamente, in linea di produzione si preferiscono materiali noti, ben conosciuti e che siano già stati usati innumerevoli volte. Si tratta di una scelta pratica ed economica. In questa maniera si riducono i rischi produttivi legati a difetti, o comportamenti inaspettati, durante il processo realizzativo, e le conseguenti perdite economiche. Un imprenditore illuminato, però, è ben conscio che l’utilizzo di materiali migliori può condurre a una maggiore redditività, nonché a un più elevato status della sua azienda. Per tal motivo le imprese non lesinano sulla ricerca, sostenendo spesso università e centri di ricerca.
In un momento come quello attuale, le tendenze sono tutte mirate a sviluppare materiali competitivi che rendano quanto quelli che abitualmente utilizziamo in produzione, ma siano anche ecosostenibili e rispettosi del pianeta. Ne abbiamo selezionati alcuni tra quelli che, più probabilmente, caratterizzeranno il prossimo futuro industriale.
Cellulosa nanofibrillata: elasticità e leggerezza
Una nanofibra è una fibra contraddistinta da un diametro di pochissimi millimetri. La cellulosa nanofibrillata è un tipo di microplastica impiegata nelle applicazioni di misura più ridotta. Dal momento che deriva dalla polpa delle piante, presenta un impatto ambientale molto più contenuto rispetto a quello del polimero. Il materiale ha numerose caratteristiche invidiabili, che lo rendono adatto a svariate produzioni: si presenta infatti come leggero ed elastico, nonché estremamente resistente, anche quando sottoposto a temperature molto elevate. Se consideriamo che 100 nanometri corrispondono, nell’equivalenza, a 0,0001 millimetri, capiamo bene quanto siano sottili queste fibre.
Il calcestruzzo di carbonio nell’edilizia di domani
La scienza dei materiali applicata all’edilizia persegue, da sempre, l’obiettivo di rinforzare gli edifici e renderli più stabili, sicuri e duraturi nel tempo. Per andare in questa direzione si sta sperimentando una versione migliorata del calcestruzzo, rinforzato con fibre di carbonio.
Tra i materiali del futuro, questo tipo di componente edile merita sicuramente un posto di primo piano. Esso è infatti già disponibile, sebbene non sia ancora così facile da reperire, e si compone di fibre che non arrugginiscono. In questa caratteristica sta la sua principale forza. Il problema del cemento armato, infatti, è che tende ad arrugginirsi e, così facendo, degrada le strutture per le quali viene scelto. Certo, questa sua caratteristica può essere limitata aumentando lo spessore del cemento e minimizzando il contatto tra aria e metallo. Ciò comporta però un intervento più invasivo. Duraturo e resistente com’è, invece, il carbonio non presenta questo problema.
Per quale motivo allora il calcestruzzo di carbonio non è già materiale privilegiato nell’uso edile? A causa del suo elevato costo. Se un chilo di calcestruzzo armato costa circa 1 euro all’impresa che ne fa uso, il prezzo della stessa quantità del suo più robusto sostituto, rinforzato con carbonio, può tranquillamente raggiungere i 20 euro.
Materiali del futuro monouso: la bioplastica shrilk
Quando si parla di sostenibilità, tutto l’universo dei prodotti monouso appare come una terribile chimera, da debellare al più presto. L’idea è condivisibile: se un oggetto viene usato soltanto una volta e poi cestinato, diventa immediatamente un rifiuto e il suo utilizzo rappresenta una via veloce verso la discarica. Perciò, meglio evitare di impiegarlo e sostituirlo con qualcosa di più duraturo. Tutto vero, naturalmente. Eppure, esistono delle applicazioni che non possono rinunciare al monouso.
Pensiamo ai prodotti sanitari, agli strumenti medici oppure quelli igienici. Non è possibile riutilizzarli perché potrebbero essere contaminati. Essi rappresentano una continua fonte di rifiuti in plastica, il materiale più ampiamente usato per realizzarli, al giorno d’oggi. Proprio per sopperire a questo annoso problema, l’Università di Harvard ha sviluppato una bioplastica non impattante, ottenuta dal chitosano (un polisaccaride derivato dal carapace del gamberetto, detto in inglese shrimp) e dalle proteine della seta (definita in inglese silk). Dall’unione dei due termini è stata formata la parola shrilk, per descrivere un materiale sostenibile e forte come il guscio di un insetto.
L’idea da cui è partito il team che lo ha realizzato è stata quella di imitare l’esoscheletro degli esapodi e dare vita a schiume, pellicole e strumenti medici monouso ma dal basso impatto ambientale. Questo materiale rispetta tale condizione, in quanto è capace di degradare rapidamente in compostiera, producendo utili fertilizzanti ricchi di azoto.