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L’industria del riciclo tra buone performance e nodi irrisolti

industria del riciclo
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È una fotografia in chiaroscuro dell’industria del riciclo, quella che emerge dalla nuova edizione de “L’Italia che ricicla 2024” a cura di Ref e Assoambiente, tra aziende e interi settori che continuano a fare da traino verso la circolarità e la permanenza sul campo di nodi che costringono il riciclo ad arrancare

L’industria del riciclo italiano, cioè una fetta importante del Made in Italy che ogni giorno si sporca le mani con la sostenibilità, viaggia ancora con il freno a mano tirato. È questo il messaggio principale, e meno rassicurante, del rapporto “L’Italia che Ricicla 2024”, un lungo lavoro di analisi scritto a quattro mani dal Laboratorio REF Ricerche insieme ad Assoambiente, per fare il punto sull’industria del riciclo nel nostro paese. Una fotografia che si rinnova annualmente, che fa emergere pregi e difetti, punti di forza e di debolezza in un contesto internazionale non facile, e con obiettivi Ue sempre più stringenti e, allo stesso, tempo, difficili da raggiungere.

Provando a sintetizzare un Rapporto che si snoda in oltre 220 pagine, emerge un primo punto fermo dal quale poi si snoda l’intera elaborazione corredata da una fitta trama di dati: nonostante il nostro paese continui a fare bella figura nel mondo, soprattutto nell’Ue, considerato soprattutto che il peso dell’economia circolare sul PIL in Italia è più elevato di quello degli altri grandi Paesi UE e della media europea stessa – con il valore aggiunto settoriale che contribuisce al 2,5% del PIL (2021) –, non sono stati ancora sciolti molti dei nodi che continuano a imbrigliare la transizione ecologica della nostra macchina produttiva. Gli ultimi dati disponibili, infatti, mostrano che se la crescita economica italiana degli anni recenti è stata sostenuta dall’edilizia, dall’industria e dal commercio, il valore aggiunto del settore dell’economia circolare è stagnante.

Segnali critici sul fronte del riciclo

Dopo anni di costante incremento del consumo di materiale circolare utilizzato nei processi produttivi, “la crescita del PIL degli ultimi anni ha attivato nuovo consumo interno di materie prime vergini (MPV), estratte in Italia o all’Estero, a discapito della materia circolare, con un conseguente aumento dell’impatto ambientale dei processi produttivi italiani”.

Una tendenza nettamente contraria al riciclo, testimoniata anche “dall’andamento dell’indicatore di impronta di materia, che misura tutta la materia utilizzata per soddisfare il consumo e gli investimenti nel nostro Paese, in crescita negli anni recenti: nel 2023, per ogni italiano, sono state impiegate 11,1 tonnellate di materia. Rispetto al 2019, l’impronta materiale dell’economia italiana è aumentata del 5,5%, in un contesto europeo nel quale è diminuita del 6,3%, con riduzioni in Francia (-8,4%), in Germania (-14,2%) e in Spagna (-20,9%)”.

Questa tendenza rende chiari, quindi, i motivi del mancato disaccoppiamento tra andamento dell’attività economica e impatti ambientali.

Per riprendere un percorso di circolarità che appare interrotto, precisano i curatori del Rapporto, l’uso circolare della materia dovrebbe essere supportato in modo più incisivo. Servono nuove policy, a partire da nuovi investimenti: secondo gli ultimi monitoraggi, “la quota di PIL investita in economia circolare in Italia è pari allo 0,7%, inferiore sia alla media europea (0,8%) che a quella dei principali Paesi, come Germania (0,9%) e Francia (0,8%). Gli investimenti per addetto nell’economia circolare sono addirittura inferiori al periodo pre-COVID-19”.

Anche se, occorre aggiungere per completare il quadro, il tasso di circolarità dei materiali in Italia (18,7%) registrato nel 2022 continua ad attestarsi su valori superiori a quelli di Germania e Spagna, seppur inferiore a quello della Francia, con punte del 47% nel caso dei minerali metalliferi. Segno inequivocabile delle enormi potenzialità ancora inespresse del nostro paese su questo fronte.

I mercati internazionali delle materie prime seconde (MPS)

Anche l’andamento dei mercati delle materie prime seconde (MPS), cartina di tornasole del corretto funzionamento di un sistema economico circolare, registra esiti non proprio esaltanti. A livello europeo, nel 2023, il valore medio unitario delle MPS importate (647 euro/ton) è nettamente superiore a quello dei flussi esportati (524 euro/ton) e a quello scambiato all’interno dei confini comunitari (573 euro/ton). Questo documenta la dipendenza europea da Stati extra-UE per l’importazione di materie prime ad alto valore unitario, tanto vergini quanto riciclate, quali ad esempio tutte le principali materie prime critiche: “un dato che sottende una carenza impiantistica di riciclaggio nel Vecchio Continente e che suggerisce l’opportunità di un sostegno all’industria del riciclo”.

Secondo i dati raccolti e analizzati nel Rapporto, anche il commercio intraeuropeo di MPS è stagnante: nel 2023, rispetto al 2022, il commercio intra-UE è in calo per i minerali (-9%), per la carta (-8%) e per la plastica (-8%). Inoltre, le importazioni di MPS di origine minerale – ingrediente fondamentale per la transizione green – sono più che quintuplicate tra il 2017 e il 2023. Circa le esportazioni extra-UE, si osserva un aumento dei volumi di MPS esportate, pari all’8% tra il 2022 e il 2023, di cui si rilevano soprattutto gli aumenti per carta (+42%) e plastica (+15%).

L’aumento delle esportazioni ha aiutato gli impianti di riciclaggio in Europa a superare le difficoltà economiche causate dalla stagnazione del mercato interno. Grazie alle esportazioni, le MPS sono state vendute al di fuori dei confini europei, garantendo un sostegno al settore del riciclo. Tuttavia, se da un lato questa opportunità ha permesso di preservare l’industria in un periodo di crisi, dall’altro lato testimonia anche una mancata occasione di utilizzo nei processi produttivi della manifattura europea.

Focus Italia

Per quel che riguarda l’Italia, nel 2023 è risultata “importatrice netta di MPS per circa 8 milioni di tonnellate”, a testimoniare un potenziale di crescita che potrebbe essere sfruttato dall’industria del riciclo, se adeguatamente sostenuta da policy mirate, soprattutto nei settori dell’organico, dei metalli ferrosi e non ferrosi e del vetro. I flussi in entrata provengono principalmente dall’Europa e dal continente americano, mentre i flussi in uscita sono diretti principalmente verso Turchia, India e Cina. A questo proposito, anche l’andamento dei prezzi delle MPS è altalenante, con un calo delle quotazioni per quasi tutte le frazioni rispetto ai valori del 2022. Così, ad esempio, nei primi sei mesi del 2024 le quotazioni per diverse tipologie di R-PET sono inferiori tra il -33% e il -42%, a quelle del 2022: instabilità e incertezza che minano alla base le prospettive di sviluppo dell’industria del riciclo.

L’Agenda 2030 del riciclo

Il Rapporto, come da tradizione, si chiude con una vera “Agenda 2030 per il riciclo”, che rinnova quella della precedente edizione, rafforzando e completando punti già posti all’attenzione, che può essere sintetizzata in cinque punti chiave:

  1. Il completamento del mercato unico europeo per i prodotti riciclati;
  2. Il riconoscimento del contributo del riciclo alla decarbonizzazione;
  3. Un favore fiscale per il riciclo;
  4. Il rafforzamento delle attività complementari al riciclo;
  5. Un ripensamento normativo e amministrativo delle regole per il riciclo.

Per rinforzare il mercato unico dei beni riciclati, diventa dunque fondamentale il varo di Regolamenti UE sull’EoW efficaci, quanto meno per le filiere strategiche e in sofferenza della plastica, della carta, dei metalli e delle terre rare, mutuando eventuali best practices nazionali già pienamente funzionanti.

Considerati i benefici ambientali del recupero di materia, grazie alle minori emissioni rispetto alla produzione di beni con materiali vergini, occorre prevedere l’adozione di strumenti economici incentivanti. Il riconoscimento economico del contributo del riciclo alla decarbonizzazione dovrebbe garantire la continuità ai processi di recupero di materia. In tal senso, è più che mai impellente avviare un’iniziativa nazionale, in coordinamento con la Commissione Europea (CE). Il riciclo va sostenuto dalle politiche economiche e industriali costruendo mercati davvero concorrenziali.

Non serve nemmeno tanta fantasia. La direzione d’intervento più promettente passa dall’estensione al riciclo della strumentazione economica già esistente a supporto degli obiettivi di efficienza energetica e di produzione di energia da fonte rinnovabile, quali i Certificati Bianchi o le Garanzie d’Origine (GO).

La strategicità dell’industria del riciclo

Il mondo del riciclo, insomma, merita una attenzione almeno pari a quella dedicata ad altri comparti industriali, data la strategicità per le politiche ambientali e di sicurezza nazionale negli approvvigionamenti di materie prime e risorse energetiche, di cui il nostro Paese sconta una carenza cronica. Da qui, l’opportunità di un sostegno fiscale alla produzione di beni con contenuto di riciclato, con impatti trascurabili sulle finanze pubbliche, e che ricomprenda i seguenti elementi:

  • L’introduzione estensiva del credito d’imposta per l’economia circolare
  • L’applicazione di un’IVA agevolata alla compravendita di MPS
  • La destinazione di quote di gettito delle imposte ambientali a finalità green
  • La revisione della tassazione ambientale, per correggere i fallimenti di mercato e rendere più conveniente il riciclo

Infine, chiude il Rapporto, cruciale diventa il sostegno al riciclo che può essere assicurato dalla piena applicazione dei CAM (Criteri ambientali minimi) e del Green Public Procurement (GPP), ossia la svolta green imposta alla spesa pubblica, così come obbligo di legge sin dal 2017.

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