Realizzate in cemento eco-compatibile, le barriere coralline stampate in 3D favoriscono il ripopolamento ittico e la colonizzazione della posidonia. Aiutando il mare a rigenerarsi e rendendo più attrattive per le immersioni le aree di intervento.
Barriere coralline stampate in 3D per aiutare il mare a rigenerarsi e, di riflesso, aiutare il pianeta a contrastare gli effetti del riscaldamento globale e il carico di pesca. È la missione del progetto Posidonia Green Tech promosso da D-Shape, tecnologia e marchio di stampa in tre dimensioni, che produce moduli di corallo sintetico da depositare sui fondali marini per favorire il ripopolamento ittico e la colonizzazione della posidonia, pianta acquatica che forma praterie sottomarine di notevole importanza ecologica. I moduli sono bio-attrattivi, prodotti con sostanze chimiche che, a differenza del calcestruzzo solitamente usato per la realizzazione di progetti marini, supportano attivamente la vita marina; la loro forma è ispirata alla natura, con cavità e propaggini realizzate grazie ad algoritmi di geometria generativa. La prima barriera artificiale è stata stampata in Italia, ma D-Shape collabora alla realizzazione di diversi progetti in Olanda, Danimarca, Canarie, Principato di Monaco, Hong-Kong. Ne abbiamo parlato con Enrico Dini, inventore della tecnologia D-Shape e Amministratore delegato dell’azienda.
Dini, quali progetti avete in corso per l’installazione di barriere coralline?
“Nel 2023 forniremo circa 300 moduli destinati a un parco sottomarino a Tenerife. Altri 150 verranno mandati in Israele, Norvegia e Svezia, presso vari siti sottomarini con differenti condizioni ambientali; anche le forme saranno, quindi, diverse. C’è in ballo anche la fornitura di 75 barriere coralline artificiali da mettere nel parco dell’Asinara, per un progetto di compensazione del danno ambientale nell’ambito della costruzione di opere portuali ad Alghero”.
I moduli sono fatti sempre con lo stesso materiale?
“La base comune è rappresentata da cementi ecocompatibili, a base pozzolanica, che hanno proprietà di resistenza all’attacco dei cloruri e la cui fabbricazione produce poca CO2. Questa tipologia di cementi l’hanno inventata gli antichi romani, per fare i porti. La base del legante è fatta, sostanzialmente, da ceneri vulcaniche. A me piacerebbe realizzare i moduli con un’altra base chimica, magnesiaca, che è quella adoperata nelle nostre prime realizzazioni. Tuttavia, per ragioni di costo e di maturazione del materiale, quando siamo entrati in scala di produzione para-industriale abbiamo dovuto optare per il tipo di legame cementizio ecologico più utilizzato. I pezzi realizzati con i leganti magnesiaci, infatti, vanno stagionati per alcuni mesi, all’aria aperta, prima di essere pronti per l’utilizzo. Un processo piuttosto lungo e laborioso”.
In che modo il vostro eco-conglomerato favorisce l’attecchimento della posidonia?
“Il progetto si chiama Posidonia Green Tech perché la posidonia è la pianta regina del nostro mare. I moduli ecosistemici hanno la funzione di attrarre pesci e fornire un substrato che permetta l’attecchimento di varie forme di biomasse. La posidonia attecchisce sulla sabbia, ma i moduli costituiscono un elemento di difesa della prateria, che la aiuta a rimanere fissata nelle sue prime fasi di vita. Con l’Università di Palermo lavoriamo alla realizzazione di piccoli manufatti che facilitino la crescita delle piantine in acquacultura, per poi metterle a dimora sul fondale sabbioso”.
Realizzare barriere coralline in 3D è anche un’attività redditizia?
“L’Italia è un Paese che ha costruito tanto e a volte male, ha migliaia di chilometri di coste, con problemi di erosione, spopolamento del patrimonio ittico, arrivo di specie aliene. Il mare è un luogo da curare. Finora gli interventi realizzati sono stati soprattutto a protezione dei porti; realizzare manufatti in conglomerato concepiti per essere bio-attrattivi per i pesci e attrattivi per le attività di immersione rappresenta un investimento in direzione di un modello economico più sostenibile”.