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L’Antitrust boccia la gestione pubblica dei rifiuti urbani

L’Antitrust boccia la gestione pubblica dei rifiuti urbani
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Poca trasparenza e poca concorrenza, sono le due critiche principali rilevate dall’Autorità nel primo monitoraggio sullo stato dell’arte della gestione pubblica dei rifiuti urbani, all’indomani della riforma del 2022

L’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM), meglio nota con Autorità Antitrust, ancora una volta ha bacchetto la gestione pubblica dei rifiuti urbani nel nostro paese, cogliendo l’occasione della valutazione sullo stato dei servizi pubblici locali fino al 2022 (in alcuni casi anche per il 2023) chiesta a tutti gli enti, alla luce del riordino complessivo imposto dal Dlgs 201/2022 (Riordino della disciplina dei servizi pubblici locali di rilevanza economica).

Lo ha fatto passando al setaccio le 1.633 Relazioni territoriali sullo stato dei servizi pubblici locali presentate all’ANAC (Autorità nazionale anticorruzione) da 1.576 enti pubblici, per la precisione 1.386 Comuni, 57 Unioni o Consorzi di Comuni, 67 Enti di governo degli ambiti territoriali ottimali, 10 Comunità montane, isolane e di arcipelago, 51 Province e Città metropolitane e 5 Regioni.

Non tutti gli enti, come sarebbe d’obbligo, hanno infatti inviato le Relazioni per fare il punto sullo stato dell’arte, ma poco più della metà, circa il 58%, registrando peraltro una forte disomogeneità territoriale, considerato che al Nord hanno risposto positivamente il 70% degli enti, al Centro il 67%, mentre al Sud (Isole comprese), appena il 36%. Proprio le aree manifestamente in forte criticità, da ogni punto di vista.

Le principali criticità rilevate nella gestione pubblica dei rifiuti urbani

Le critiche manifestate dall’Antitrust nel tentativo di tracciare il filo rosso che unisce tutti gli enti e i vari servizi pubblici svolti con le modalità più disparate, con particolare enfasi al ciclo dei rifiuti, sono state condensate in un Bollettino (n. 25) inviato alla Conferenza Stato-Regioni, all’ANCI (Associazione nazionale comuni italiani) e all’UPI (unione province italiane).

Nel caso specifico dei rifiuti, volendo sintetizzare al massimo, le principali critiche riguardano il fronte della trasparenza e quello della concorrenza.

Sotto il primo aspetto, ovvero il deficit di trasparenza, il realtà l’Antitrust punta il dito in via generale su tutti i servizi pubblici, incluso, ovviamente, quello dei rifiuti urbani insieme al servizio idrico, lamentando una “diffusa mancanza di informazioni”, che include anche la “mancata indicazione”, per molti affidamenti disposti dai Comuni (nei piani di revisione delle partecipazioni adottati ai sensi dell’articolo 20 del Testo Unico in materia di società a partecipazione pubblica – TUSPP) “delle ragioni che, sul piano economico e della qualità dei servizi, giustificassero il mantenimento dell’affidamento del servizio alle società partecipate in house”.

Tra i diversi elementi di criticità rilevati dall’Antitrust si segnala
  • L’andamento economico-finanziario della gestione del servizio;
  • Il rispetto degli obblighi previsti nel contratto di servizio, tenendo conto anche degli indicatori stabiliti dalla regolazione;
  • I livelli qualitativi raggiunti nell’erogazione dei servizi, i costi a carico dell’utenza, gli oneri e i risultati in capo all’ente affidante.

Rispetto alla concorrenza, e con particolare riferimento alla gestione dei rifiuti negli affidamenti in house, la relazione dell’Antitrust denuncia anche le performance sulla raccolta, definita “a tratti allarmanti”, soprattutto alla luce dei nuovi e ambiziosi target fissati dall’Ue. In particolare, si pone l’accento sul fatto che “dalle analisi effettuate, infatti, è emerso che la misura percentuale della raccolta differenziata realizzata nei territori gestiti dalle società oggetto della ricognizione in molti casi – soprattutto nelle Regioni del Sud Italia e nelle Isole – si discosta in negativo dalla media di raccolta differenziata della Regione interessata, delle macro aree geografiche di riferimento, nonché dalla media nazionale (pari, nel 2022, al 65,16%), raggiungendo livelli minimi fino al 15,2%. A volte, le stesse ricognizioni hanno segnalato ulteriori circostanze di disservizio, in spregio della soddisfazione dell’utenza e del benessere della collettività di riferimento”.

In altre parole, le inefficienze sembrano alimentarsi proprio nelle realtà dove non esiste un mercato e la gestione avviene tramite società di scopo (in house), quindi senza gare pubbliche, derogando ciò che in teoria dovrebbe essere la norma.

Considerando che l’Autorità ha riscontrato, quindi, per molti affidamenti disposti dai Comuni la “mancata indicazione delle ragioni che, sul piano economico e della qualità dei servizi, giustificassero il mantenimento dell’affidamento del servizio alle società partecipate in house”, l’auspicio è che tali enti “si adoperino sollecitamente per far fronte alle numerose inefficienze emerse nella concreta gestione dei servizi affidati.”

L’eccessivo protagonismo delle Regioni

Rimarcando, dunque, le forti criticità sul fronte della concorrenza e del mercato, l’Antitrust ha anche sottolineato come nel settore dei rifiuti, così come nel servizio idrico, sia notevolmente diffusa la tendenza a favorire la “commistione tra le funzioni di regolazione, di indirizzo e di controllo, e quelle di gestione dei servizi, in virtù della partecipazione diretta detenuta dall’ente d’ambito nel capitale sociale del soggetto incaricato della gestione del servizio”. Un fenomeno che in diversi casi interessa anche le Regioni e che, sempre secondo l’Autorità, rappresenta una violazione del vincolo di scopo, e in quanto tale “suscettibile di creare una situazione di pericolo idonea a distorcere le dinamiche di mercato “, e rispetto al quale si auspica una presa di posizione immediata da parte degli enti coinvolti.

La violazione del vicolo di scopo nella gestione pubblica dei rifiuti urbani

Sotto quest’ultimo aspetto, viene infatti evidenziato che “in alcuni casi è emersa la partecipazione delle Regioni al capitale delle società affidatarie dei servizi”. In tal senso, l’Autorità ritiene “che la Regione, non rappresentando l’ente competente ad affidare il servizio di volta in volta interessato, non possa costituire o partecipare in una società in house finalizzata alla sua gestione.

Manca, infatti, il requisito di stretta necessarietà (stabilito per legge dal già citato Testo Unico – TUSPP) per il perseguimento delle finalità istituzionali della Regione, alla quale è riservato un ruolo prettamente di programmazione ma non di gestione del servizio (corsivo dell’autore)”. La Regione, insomma, in quanto ente di programmazione e pianificazione non dovrebbe avere un ruolo attivo nelle fasi di gestione, e invece lo ha. Ergo, sia per il servizio idrico integrato e che per il servizio di gestione dei rifiuti per l’Antitrust “è necessario che gli enti si adoperino per risolvere le situazioni di commistione tra funzioni di regolazione, indirizzo e controllo e quelle di gestione dei servizi”.

Nella logica dell’Autorità, provando a tirare le fila, una delle vie per portare efficienza ed efficacia nel ciclo urbano dei rifiuti è quella di garantire maggiore trasparenza nelle scelte e, soprattutto, maggiore concorrenza, lasciando che si il mercato a portare quel livello di stimolo e d’innovazione che finora è mancato, principalmente al Sud e anche in alcune parti del Centro.

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