Decarbonizzare il settore siderurgico è possibile, grazie alle cosiddette tecnologie DRI H2 based e al potenziamento dell’acciaio da riciclo. Ma bisogna investire nell’innovazione tecnologica e nella produzione di energia rinnovabile.
Acciaio a impatto zero. Un traguardo possibile? In linea di massima sì. Le tecnologie per decarbonizzare la siderurgia esistono. Dipende se, quando e quanto verranno adottate. Serve il potenziamento della tecnologia ad arco elettrico, per l’acciaio da riciclo. Mentre, per limitare i gas serra emessi dalla produzione dell’acciaio primario, serve il passaggio alla tecnologia Direct Reduced Iron (DRI) H2 based: impianti che consentono di ottenere la riduzione dei materiali ferrosi senza l’impiego del carbone (il cosiddetto preridotto), evitando il passaggio tradizionale dell’altoforno e della cokeria altamente inquinanti e climalteranti. Una cosa che si può fare e che in parte già si fa, ma non in Italia. A Taranto, sede dell’unico stabilimento siderurgico italiano che produce acciaio primario, dell’avvio della decarbonizzazione non c’è traccia, mentre si progetta di ricostruire AFO5, un altoforno tradizionale dalla capacità produttiva di circa 4 milioni di tonnellate (Mt) annue.
L’Italia è prima in Europa per acciaio da riciclo
Attualmente l’Italia, con oltre 21 Mt nel 2022, è il secondo Paese europeo, dopo la Germania, per produzione siderurgica. Il settore impiega complessivamente circa 70 mila addetti per una produzione composta all’80% di acciaio secondario, prodotto cioè dalla fusione di rottami ferrosi nei forni elettrici e 20% di acciaio primario, di cui Taranto è l’unico impianto. Garantire l’acciaio primario è di fondamentale importanza, sia perché è l’unico materiale utilizzabile per determinate applicazioni (automotive, costruzioni e alimentari) sia per assicurare la disponibilità di rottami per le aziende che lavorano l’acciaio da riciclo, che per il 73% dipendono dal mercato nazionale. Ma la sua produzione è quella più inquinante, dato che si realizza tramite il ciclo integrale con altoforno, utilizzando minerale ferroso e carbone come materie prime, responsabile di gravissimi impatti ambientali e sanitari.
I risultati ottenuti sul fronte dell’acciaio da riciclo sono stati recentemente messi in evidenza da I’m steel here, una campagna di comunicazione sulla sostenibilità delle costruzioni in acciaio organizzata da Fondazione Promozione Acciaio, con il patrocinio di Enea, Federacciai, Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica e Regione Lombardia. Secondo i dati diffusi, il 35% degli investimenti del comparto è rivolto al miglioramento delle performance ambientali, della salute e sicurezza sul lavoro. La Fondazione Promozione Acciaio sottolinea che, con un target dell’85%, l’Italia fa registrare il più alto tasso di acciaio da riciclo tra i Paesi dell’Unione Europea. Risultato raggiunto grazie alla diffusione del forno elettrico e degli investimenti che i produttori siderurgici stanno compiendo nell’adozione delle migliori tecniche disponibili (BAT), oltre che con la certificazione ambientale dei loro prodotti, una fra tutte l’EPD, la dichiarazione ambientale di prodotto. Dal 2000 ad oggi, il comparto dell’acciaio secondario, quello prodotto dal riciclo dei rottami, ha fatto registrare una riduzione del 33% dei consumi energetici totali per tonnellata di acciaio prodotto, con un tasso di efficienza energetica superiore alla media europea del 38%; dal 2010 al 2020 si stima una riduzione di circa 3 mc di acqua prelevata per tonnellata di acciaio prodotto. Più del 90% delle acciaierie nazionali è inoltre dotato di un sistema di gestione ambientale certificato ISO 14001. “L’innovazione dei processi produttivi che sta interessando il comparto siderurgico potrebbe portare l’Italia all’orizzonte del 2030 con una elettrosiderurgia e quindi con 20 milioni di tonnellate di acciaio completamente green, su 24 – 25 milioni che produce” ha dichiarato il presidente di Federacciai Antonio Gozzi.
Acciaio green: quali Paesi stanno avviando le produzioni
Rimane aperta la questione della riduzione delle emissioni nella produzione di acciaio primario. Taranto è, di fatto, il principale banco di prova per il Paese. E lì manca un piano industriale che metta nero su bianco tempi e investimenti per la costruzione dei forni elettrici e degli impianti per il DRI o dell’avvio di una sperimentazione sull’uso di idrogeno. Eppure, la rivoluzione dell’acciaio pulito non è un sogno, ma potrebbe essere una prossima realtà. Secondo i dati diffusi da Legambiente, in occasione del convegno internazionale “L’acciaio oltre il carbone”, organizzato per l’appunto a Taranto, la riconversione dell’industria e del settore siderurgico passano, necessariamente, per un incremento e una veloce transizione del settore elettrico verso le rinnovabili sul territorio nazionale.
La tecnologia DRI è già realtà in diverse parti del mondo, come l’India con 28 milioni di tonnellate (Mt) /anno di capacità DRI. In Europa, nuovi impianti sono in costruzione in diversi Stati, impianti DRI h2 ready, pronti cioè alla rivoluzione dell’idrogeno: una tecnologia capace di rendere davvero green la produzione di acciaio, arrivando ad abbattere le emissioni complessive del 95% rispetto ai metodi tradizionali. Sono già quattro gli esempi europei cui è possibile ispirarsi: la Svezia con il modello HYBRIT che, grazie a un impianto DRI a idrogeno verde, punta a produrre dal 2026 più di un milione di tonnellate all’anno di acciaio pulito, per arrivare a quasi 3 Mt nel 2030; e la società H2 Green Steel, che punta invece a produrre 5 Mt di acciaio verde a Boden (avvio della produzione previsto entro la fine del 2025); la Finlandia, dove la Blastr Green Steel vuole investire 4 miliardi di euro per produrre 2,5 Mt di acciaio low carbon dal 2026 utilizzando idrogeno verde; la Germania, che punta a produrre 100mila tonnellate l’anno di acciaio tramite idrogeno grigio ottenuto dal gas, per poi passare all’idrogeno verde grazie ad un progetto avviato nel 2019 ad Amburgo da Arcelor-Mittal; e infine l’Austria, che con il progetto H2FUTURE, finanziato dall’Unione europea, ha costruito a Linz quello che attualmente è il più grande impianto pilota per la produzione di idrogeno per l’industria siderurgica. In Italia, per affrontare il passaggio a un nuovo impianto DRI H2 based, resta da superare il grande gap di una produzione di energia rinnovabile in quantità sufficiente ad alimentarne il funzionamento.