Nel 2021 in Italia abbiamo prodotto 11 milioni di tonnellate di rifiuti speciali pericolosi, ovvero generati da attività produttive e contenenti un’elevata quantità di sostanze inquinanti. Come vengono gestiti? Una lunga intervista in tre puntate per raccogliere l’esperienza di Edison Next.
Dove vanno a finire i nostri rifiuti speciali pericolosi, tra cui quelli rimossi durante le operazioni di bonifica del territorio? Quali e quanti sono e a quanto ammontano per l’Italia le spese per smaltirli o metterli in sicurezza? Ne abbiamo parlato con Gianfranco Giolitti, direttore Circular Economy di Edison Next, in una lunga intervista che vi restituiamo in tre puntate. A cominciare da questa chiacchierata che intende fare chiarezza, in linea generale, sulla gestione dei rifiuti speciali pericolosi.
Gianfranco Giolitti, Edison Next è uno degli operatori che gestiscono i rifiuti speciali e pericolosi in Italia. Chi sono gli altri e quanti siete?
“Ci sono soggetti di natura pubblica e altri di natura privata. Soggetti di dimensioni solitamente rilevanti, tra cui spiccano società come Eni, A2A; le grandi municipalizzate Hera, Iren, Acea, grossi gruppi con partecipazione pubblica, piuttosto che importanti strutture comunali e provinciali. Ci sono anche operatori privati – come noi, Greenthesis, EcoEridania – che rappresentano una seconda tipologia di soggetti: possiedono impianti o comunque gestiscono abitualmente questo tipo di rifiuti in Italia. Sono in gioco, inoltre, soggetti più piccoli, che operano per trasporti e depositi, ma non gestiscono in maniera finale il rifiuto”.
Quanti addetti ha e quanto fattura il settore dei rifiuti?
“È un mercato che contempla più di 500 aziende, numero da cui si evince quante piccole aziende ci siano nella catena del valore. Gli addetti sono più di 100 mila e il fatturato è molto rilevante, nel 2021 superava i 18 miliardi di euro ed è in costante crescita, negli anni. Di questo totale circa il 25% è rappresentato dal comparto dei rifiuti industriali e dei rifiuti oggetto di bonifica e pericolosi”.
Perché il fatturato annuo cresce?
“Perché tendono a crescere sia il settore dei rifiuti che il prezzo medio di smaltimento. Mentre il mercato di destino è, invece, un mercato ristretto. Trovare la possibilità di trattare il rifiuto pericoloso è difficile, per cui il bilanciamento tra domanda e offerta fa salire i prezzi. Non esistono termovalorizzatori o discariche a sufficienza per i rifiuti prodotti correntemente”.
Quanti rifiuti pericolosi produciamo ogni anno in Italia?
“Secondo il Rapporto Ispra 2023, la produzione in Italia di rifiuti speciali pericolosi, nel 2021, è di quasi 11 milioni di tonnellate all’anno (di cui 1,5 milioni di tonnellate di veicoli fuori uso, pari al 14% circa del dato complessivo). Riusciamo a trasferire al mercato interno di incenerimento e trasformazione in termodistruzione solo una piccola fetta di questi rifiuti. Il resto trova sbocco sui mercati esteri: secondo Ispra i rifiuti pericolosi avviati all’incenerimento nel nostro Paese sono 430 mila tonnellate all’anno, di cui circa 100 mila tonnellate ospedalieri, mentre i rifiuti industriali pericolosi e non pericolosi esportati per l’incenerimento ammontano a circa 500 mila tonnellate. Un trasferimento di economia verso l’estero dovuto alla mancanza di impianti in Italia”.
Perché paga chi conferisce i rifiuti e non chi ritira?
“Sì, è un mercato al contrario: lo smaltimento del rifiuto ha un costo e il ricavo è per chi ritira. E il problema del conferimento all’estero tocca anche i rifiuti non pericolosi, perché il deficit impiantistico riguarda anche loro, sebbene per i pericolosi sia più rilevante”.
Quanti rifiuti speciali pericolosi mandiamo annualmente all’estero per essere trattati o conferiti in discariche speciali?
“Secondo gli ultimi dati Ispra, abbiamo esportato nel 2021 circa 1,3 milioni di tonnellate di rifiuti pericolosi. Quasi 60 mila tonnellate in più (+5% circa) rispetto all’anno precedente”.
L’amianto è un rifiuto speciale o un rifiuto speciale pericoloso?
“Dipende. Non è l’amianto in sé a determinare la classificazione tra pericoloso e non pericoloso, ma la concentrazione di fibre contenuta nella tonnellata di rifiuto. L’amianto viene classificato a seconda dell’analisi puntuale della conformazione fisica del rifiuto che lo contiene; di solito è infatti presente all’interno di un altro materiale che ha un volume nettamente superiore. Se la presenza di fibre è inferiore a 1.000 parti per milione il rifiuto è classificato come non pericoloso, se è superiore come pericoloso, con l’obbligo di confezionamento in Big Bag, grandi sacchi omologati per il trasporto”.
Ci sono rifiuti pericolosi che vanno messi in sicurezza “tal quali”, cioè senza previo sistema di trattamento?
“Sì, sono i cosiddetti rifiuti ultimi. Principalmente rientrano in tre categorie: residui dei processi di combustione, cioè la quota di scorie pesanti che possono essere riutilizzate per la produzione di clinker e le ceneri leggere; l’amianto per il quale la vetrificazione con torcia al plasma a 4.000 °C è un processo troppo energivoro e oneroso e viene quindi conferito in discarica; e il mercurio”.