La COP16 bis sulla biodiversità, riannodando il dialogo tra i paesi che a novembre si erano divisi, ha raggiunto un risultato importante: una strategia di mobilitazione delle risorse per proteggere le persone e il pianeta. Ha lanciato, inoltre, un nuovo meccanismo finanziario un meccanismo finanziario di contribuzione obbligatoria per le imprese che sfruttano commercialmente le risorse genetiche digitalizzate: il Fondo di Cali che sarà operativo dal 2026.
Non è riuscita a contenere l’emozione Susana Muhamad, la presidente della COP 16, alla chiusura dei lavori di questa Conferenza delle Nazioni Unite sulla biodiversità, svoltasi a Roma dal 25 al 28 febbraio. Un secondo round, necessario, dell’appuntamento di novembre scorso a Cali, in Colombia, sospeso senza accordo sui punti chiave. All’alba del 28 febbraio, dopo oltre tre giorni di negoziati partiti in sordina presso la FAO (Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura) in una settimana di tesissimi equilibri internazionali, i governi sono giunti a un risultato non scontato, concordando finalmente una strategia di mobilitazione delle risorse per la biodiversità.
Hanno, inoltre, potenziato i meccanismi di pianificazione, monitoraggio, rendicontazione e revisione necessari per misurare l’attuazione del Quadro globale per la biodiversità di Kunming-Montreal (KMGBF -Kunming Montreal Global Biodiversity Framework) firmato alla COP 15 del 2022. Ed è stato lanciato il Fondo di Cali sulla condivisione dei benefici derivanti dalle informazioni sulle sequenze digitali delle risorse genetiche. Aver trovato un accordo sulla strada da seguire per raccogliere i fondi necessari a proteggere la biodiversità non significa che il denaro sia sul piatto.
La convenzione sulla diversità biologica
Secondo Astrid Schomaker, segretario esecutivo della Convenzione sulla diversità biologica (istituita nel 1992 e sottoscritta da 196 Parti, la Convenzione sulla diversità biologica (CBD) è un trattato internazionale per la conservazione della biodiversità, l’uso sostenibile delle componenti della biodiversità e l’equa condivisione dei benefici derivanti dall’uso delle risorse genetiche), “i risultati dell’incontro dimostrano che il multilateralismo funziona ed è il veicolo per costruire le partnership necessarie a proteggere la biodiversità e a portarci verso la pace con la natura”. Si tratta ora di “implementare gli altri elementi di supporto per la mobilitazione delle risorse” e “se lo faremo – dice Schomaker – il mondo si doterà dei mezzi per colmare il divario finanziario della biodiversità”.
Una strategia di mobilitazione delle risorse
L’obiettivo è di mobilitare almeno 200 miliardi di dollari all’anno entro il 2030, di cui 20 miliardi di dollari all’anno in flussi internazionali entro il 2025, da portare a 30 miliardi di dollari all’anno entro il 2030. Cifre ambiziose, se si considera che nel 2022 i fondi effettivamente stanziati ammontavano a circa 15 miliardi di dollari. Il percorso concordato prevede l’impegno di stabilire accordi permanenti per il meccanismo finanziario della Convenzione sulla diversità biologica in conformità con gli articoli 21 e 39 della Convenzione sulla Diversità Biologica, lavorando contemporaneamente al miglioramento degli strumenti finanziari esistenti e alla creazione eventuale di strumenti nuovi. Il documento firmato a Roma include anche una tabella di marcia delle attività e delle tappe decisionali fino al 2030, che comprende le 17esime, 18esime e 19esime riunioni della Conferenza delle Parti della Convenzione sulla diversità biologica.
Il potenziamento dei meccanismi per misurare i progressi del KMGBF
Le Parti della Convenzione sulla Diversità Biologica hanno potenziato i meccanismi di pianificazione, monitoraggio, rendicontazione e revisione necessari per misurare l’attuazione del Quadro globale per la biodiversità di Kunming-Montreal (KMGBF), adottato durante la quindicesima riunione della Conferenza delle Parti (COP 15), che sostiene il raggiungimento degli Obiettivi di sviluppo sostenibile e definisce un percorso per raggiungere una convivenza armonica con la natura entro il 2050 (con quattro obiettivi al 2050 e 23 target al 2030 tra cui quello di proteggere almeno il 30% delle terre e dei mari del pianeta entro questa data).
Il quadro di monitoraggio è essenziale per l’attuazione del Quadro perché fornisce i parametri comuni che le Parti utilizzeranno per misurare i progressi rispetto ai 23 obiettivi e ai 4 target. Alla COP16, le Parti hanno concordato le modalità di misurazione e l’utilizzo degli indicatori. Hanno inoltre deciso come i progressi nell’attuazione del KMGBF saranno esaminati alla COP17; stabilito il modo in cui gli impegni di attori diversi dai governi nazionali (popolazioni indigene e comunità locali, società civile, settore privato e governi subnazionali) possono essere inclusi nel Meccanismo di pianificazione, monitoraggio, rendicontazione e revisione (PMRR); concordato le modalità di rendicontazione dei progressi a livello nazionale. Rafforzando così i meccanismi di responsabilità e trasparenza.
Il lancio del Fondo di Cali
A margine della ripresa della sessione della COP16, il 26 febbraio è stato inoltre adottato all’unanimità dalle 196 Parti il Fondo di Cali per la giusta ed equa condivisione dei benefici derivanti dall’uso delle informazioni sulle sequenze digitali delle risorse genetiche (DSI). Un meccanismo che introduce obblighi contributivi vincolanti per le imprese che sfruttano commercialmente le risorse genetiche digitalizzate. Secondo la nota della Convenzione di chiusura lavori della COP, “il Fondo inaugura una nuova era per la finanza della biodiversità”. Il meccanismo ha carattere obbligatorio per tutte le entità commerciali che utilizzano DSI a scopo di lucro; prevede l’automaticità dei versamenti tramite piattaforma blockchain tracciabile e sanzioni commerciali per i soggetti inadempienti.
L’obbligo si applica all’industria farmaceutica, alle biotecnologie agricole, alla cosmesi e alla nutraceutica e alla bioinformatica, mentre ne sono esclusi le piccole e medie imprese con fatturato inferiore a un milione dollari l’anno, gli enti di ricerca no-profit e i progetti con finalità di conservazione. Due le opzioni: versare l’1% dei profitti lordi annui derivanti da prodotti o servizi basati sulle DSI o, per le aziende con ricavi superiori a 10 milioni di dollari l’anno, versare il 3% del fatturato. I contributi saranno destinati all’attuazione della Convenzione sulla diversità biologica, sostenendo anche l’attuazione del Kunming-Montreal Global Biodiversity Framework (KMGBF). Almeno il 50% delle risorse del Fondo di Cali sarà destinato alle popolazioni indigene e alle comunità locali, riconoscendo il loro ruolo di custodi della biodiversità. L’avvio operativo del Fondo Cali è previsto per il primo trimestre 2026.
Ora rispettare gli impegni
“Ci congratuliamo per aver raggiunto questi risultati in un contesto politico globale difficile. C’è consenso su come procedere per mettere in atto gli accordi finanziari necessari per fermare la perdita di biodiversità e ripristinare la natura. Tuttavia, questo accordo non è sufficiente. Ora inizia il vero lavoro” ha dichiarato Efraim Gomez, Global Policy Director del WWF Internazionale, secondo cui le risorse restano insufficienti, e che insiste sui rischi elevatissimi rappresentati dalla perdita di biodiversità in atto. “Oltre il 50% del PIL globale è direttamente collegato ad attività dipendenti dalla biodiversità, la cui perdita ha pesantissime ripercussioni sulla possibilità di tutti gli abitanti del Pianeta di accedere ad aria pulita, acqua pulita, suolo pulito e cibo sano”.
Anche Greenpeace ha accolto con favore l’accordo raggiunto, sottolineando però che le promesse per garantire i finanziamenti necessari devono concretizzarsi con urgenza, dando priorità all’accesso diretto ai fondi per i popoli indigeni e le comunità locali. “Questo accordo aiuta a mantenere la fiducia sulla possibilità di colmare il divario tra le promesse fatte e i finanziamenti da stanziare per proteggere la natura, ma adesso serve mettere i soldi sul tavolo”, ha commentato An Lambrechts, responsabile della delegazione di Greenpeace alla COP16. Per invertire la perdita di biodiversità e sviluppare un’architettura finanziaria efficace per gestire strumenti esistenti e futuri entro il 2030, c’è da colmare un gap di 700 miliardi di dollari all’anno di finanziamenti necessari.
Le stime dei costi secondo l’Onu
Numeri in linea con quelli del rapporto Transformative Change Report dell’IPBES, l’Intergovernmental Science-Policy Platform on Biodiversity and Ecosystem Services, approvato a dicembre scorso da scienziati e rappresentanti dei governi di 196 Paesi delle Nazioni Unite, che stima che per fermare la perdita di biodiversità e arrestare il declino irreversibile delle funzioni chiave dell’ecosistema, servirebbe poco meno di un miliardo di dollari all’anno, circa l’1% del PIL mondiale, se agissimo ora. Mentre sarebbero molto più elevati, secondo le stime, i costi relativi ai danni derivanti da un ritardo nell’agire: tra i 10 e 25 mila miliardi di dollari all’anno.
Se la COP16 di Roma ha ottenuto un risultato importante, rilanciando il dialogo tra i paesi del Nord e del Sud del mondo che a Cali si erano divisi, la governance globale sul tema della biodiversità rimane tuttavia fragile. In particolare se si considera che gli Stati Uniti non hanno aderito alla Convenzione Onu sulla biodiversità e che il Quadro per la Biodiversità di Kunming-Montrealnon è riconosciuto da Russia, Turchia, Slovenia, Emirati Arabi Uniti, Egitto e Azerbaijan.