Dopo una lunga storia di inquinamento e smaltimento di rifiuti industriali, l’area Micorosa, nel Sito di interesse nazionale di Brindisi, è stata definitivamente messa in sicurezza. Potrà ora tornare a nuovi usi industriali. Gli interventi di risanamento ambientale, del valore di poco più di 52 milioni di euro, hanno riguardato una superficie di 84 ettari e sono frutto di una sinergia tra pubblico e privato.
Ottantaquattro ettari bonificati e restituiti alle comunità brindisine, dopo una complessa attività di risanamento che ha coinvolto l’impegno pubblico e quello privato. A nove anni dalla gara d’appalto sono terminate le attività di messa in sicurezza e bonifica dell’area Micorosa, all’interno del Sito d’Interesse Nazionale di Brindisi. “Si chiude una pagina di inquinamento e se ne apre una di sviluppo” ha dichiarato il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica Gilberto Pichetto Fratin alla cerimonia di fine lavori a luglio scorso. “Uno dei casi di bonifica ambientale più complessi in Puglia”, ha commentato il Presidente della Regione Michele Emiliano.
La vicenda del sito e della sua bonifica è stata ripercorsa a Remtech, l’hub tecnologico ambientale, specializzato sui temi del risanamento, della rigenerazione e dello sviluppo sostenibile dei territori, con un evento intitolato “Una storia a lieto fine: la bonifica dell’area di Micorosa”. Ma per dirlo, forse, è ancora troppo presto.
Dopo la bonifica, una nuova destinazione
L’area Micorosa, in prossimità delle Saline di Punta della Contessa, può tornare a usi industriali, ma non è stata ancora reimpiegata. La ricerca della nuova destinazione non è cosa da poco conto, ha sottolineato il sindaco di Brindisi Giuseppe Marchionna: “Oggi – ha dichiarato durante l’evento di fine lavori – si conclude la prima fase del recupero di un’ampia porzione di territorio che è stata impraticabile per molti anni. Ora si tratta di restituire rapidamente questi terreni agli usi produttivi più consoni allo sforzo di transizione energetica che tutto il Paese, e Brindisi in particolare, si sta impegnando a perseguire”, ha detto Marchionna. “Parte adesso un nuovo percorso, nel quale è coinvolto il tribunale di Brindisi, che consentirà di determinare la destinazione ultima di questa area, che speriamo torni produttiva” ha aggiunto il sindaco.
Perché la storia sia davvero a lieto fino manca, insomma, ancora un pezzo. Ma l’opera compiuta è davvero una parte non indifferente, se si considera la storia dell’area che, dal 1962 al 1980, è stata utilizzata dall’impianto petrolchimico di Brindisi come discarica dei residui di lavorazione di acetilene, dicloroetano e anidride ftalica, i pesanti livelli di inquinamento che l’hanno caratterizzata, i tempi lunghissimi che hanno preceduto l’avvio di un iter amministrativo, poi quelli trascorsi dal momento della gara d’appalto lavori. Con il primo affido nel 2015, la partenza del cantiere nel 2018 e uno stop in periodo Covid.
Gli interventi di bonifica
Gli interventi di bonifica, del valore di 52 milioni di euro, sono consistiti “nel marginamento fisico dell’area attraverso una barriera idraulica di protezione delle acque sotterranee e l’impermeabilizzazione di oltre 50 ettari di corpo rifiuti”, con “l’emungimento e trattamento delle acque di falda”, come spiegato da Sogesid, la società in house del ministero dell’Ambiente che ha svolto lo studio di fattibilità nell’area, il progetto preliminare e quello definitivo, la direzione dei lavori.
In altre parole, è stata creata una barriera al di sotto dell’area inquinata per impedire ulteriori infiltrazioni nella falda acquifera di veleni trascinati dalle acque piovane. La superficie inquinata è stata incapsulata da un rivestimento impermeabile che va fino a 25 metri di profondità. Mentre la massa di scorie presente sul terreno è stata livellata e rivestita di materiale impermeabile, per limitarne il deterioramento e impedire la diffusione nell’ambiente di materiale inquinante. In superficie sono stati piantati degli arbusti con lo scopo di assorbire in parte le acque piovane e a limitarne le infiltrazioni nel sottosuolo. Il progetto è stato realizzato da un raggruppamento di imprese facente capo a Semataf srl.
La storia industriale dell’area Micorosa
L’area bonificata prende il nome dalla società Micorosa s.r.l. che, nel 1992, l’aveva acquistata dal gruppo Montedison per il recupero dei fanghi precedentemente scaricati e la produzione di calce idrata. Attività svolta tra il 1994 e il 1995, prima della chiusura e del fallimento della società, avvenuto nel 2000. L’area Micorosa ha un’estensione di circa 50 ettari, è ubicata nella zona industriale, a sud del petrolchimico e all’interno del Parco naturale regionale “Saline di Punta della Contessa”.
Tra il 1962 ed il 1980, l’area è stata utilizzata per lo smaltimento dei residui di lavorazione del petrolchimico, con uno strato di materiale compreso tra i 2 e i 7 metri ed un volume di circa 1,5 milioni di metri cubi. Solo nel 2010, su incarico del Comune di Brindisi, è stata effettuata una caratterizzazione ambientale dell’area, in previsione di successivi interventi di messa in sicurezza e bonifica, il cui progetto (Sogesid) è stato presentato a metà 2013. Le indagini hanno evidenziato la presenza di rifiuto costituito in prevalenza da idrossido di calcio, con un diffuso ed elevato inquinamento, sia del suolo che della falda sottostante, con la presenza di idrocarburi, clorobenzeni e metalli pesanti e un’altissima concentrazione di elementi cancerogeni, alcuni dei quali, come i composti alifatici clorurati, superano per milioni di volte i limiti di legge.
Un esempio virtuoso di collaborazione tra pubblico e privato
L’intervento di messa in sicurezza e risanamento ambientale di questa bomba ecologica – di fatto una discarica di rifiuti industriali speciali pericolosi, abbandonata per oltre 30 anni – ha rappresentato un esempio virtuoso di collaborazione tra pubblico e privato, che ha visto coinvolti il Governo attraverso la sua partecipata Sogesid, la Regione, Arpa, il Comune di Brindisi come stazione appaltante e Eni Rewind (già Syndial e ancor prima Enichem).
“Un coordinamento e un risultato armonici con Eni che era proprietaria di una parte di questi ettari, con la collaborazione di tutti gli enti, Comune, Regione, Ministero, autorità che avevano interesse a esprimere pareri”, ha detto l’amministratore delegato di Sogesid Errico Stravato. Parole a cui hanno fatto eco quelle dell’assessora all’Ambiente della Regione Puglia, Serena Triggiani.
“La Regione Puglia ha presieduto la cabina di regia garantendo un’interlocuzione tempestiva e proficua di tutti i soggetti che fanno parte della partnership pubblico privata intorno a questo progetto che ha richiesto plurime decisioni anche di natura tecnica, ad esempio quello relativo all’utilizzo del TAF (impianto di trattamento acque di falda) di Eni per il trattamento delle acque anche di parte pubblica, rendendo possibile sicuramente un risparmio di natura economico finanziaria. Il ruolo della cabina di regia – ha concluso l’assessore – sarà strategico anche nella fase di monitoraggio e gestione dell’opera”.