L’oasi di Noale, a Venezia, dopo la conclusione dei lavori finanziati dalla Regione Veneto è diventata un vero e proprio bacino di fitodepurazione per l’abbattimento degli inquinanti che finirebbero in laguna e un ruolo importante nel contenimento del rischio idraulico.
Cava di argilla attiva fino alla metà del ‘900, oggi oasi del WWF. Grazie ai lavori finanziati dalla Regione Veneto e realizzati in due tranche successive dal Consorzio di Bonifica “Acque Risorgive” oggi l’oasi di Noale (Venezia) svolge un’importante azione di fitodepurazione riducendo l’afflusso di inquinanti come fosforo e azoto nella laguna veneta. “La Regione Veneto scommette sull’ambiente e adotta interventi mirati per la sua salvaguardia”, ha affermato ieri l’assessore regionale veneto per la Legge Speciale per Venezia, Roberto Marcato, a margine dell’inaugurazione del secondo stralcio dell’opera. “Parlo di un intervento importantissimo a favore del nostro territorio, perché è finalizzato a non inquinare la laguna di Venezia, che sappiamo essere patrimonio dell’Umanità. Un intervento su cui, come Regione Veneto, abbiamo creduto immediatamente investendo oltre 4 milioni di euro con la Legge Speciale di Venezia che, da 11 anni ormai, non è finanziata a livello nazionale”.
La storia dell’oasi di Noale
La storia dell’oasi – spiega il WWF, che gestisce l’area di proprietà del Comune di Noale, a pochi passi dal centro cittadino – inizia nel secondo dopoguerra, quando il terreno (circa 40 ettari di superficie) era stato destinato all’estrazione dell’argilla per la vicina fornace Cavasin. A seguito dell’abbandono delle pratiche di scavo nei primi anni ‘70, le cave, alimentate dall’acqua piovana, da quella di falda e da quella proveniente dal rio Draganziolo, si sono trasformate in stagni di profondità variabile, da alcuni decimetri a qualche metro. La vegetazione è cresciuta rigogliosa, con un vasto canneto di cannuccia di palude, carici, tife e la sempre più rara nymphaea alba. In primavera fiorisce il giglio d’acqua. Ma ci sono anche salici, pioppo nero, pioppo bianco e ontano nero. All’interno dell’oasi nidificano l’airone rosso, il tarabusino, la garzetta, l’airone cenerino, l’airone guardabuoi e il marangone minore. Negli stagni meno profondi si possono avvistare il piro piro boschereccio, il corriere piccolo, il cavaliere d’Italia. Degna di nota è la presenza della testuggine palustre. L’oasi fa parte oggi della rete delle Zone di Protezione Speciale (ZPS) e dei Siti di importanza comunitaria (SIC).
Oasi di Noale: bacino di fitodepurazione per l’abbattimento degli inquinanti
L’intervento finanziato dalla Regione e portato a termine dal Consorzio di bonifica è consistito in due stralci: il primo, ultimato nel 2007, per un valore di 2 milioni di euro; il secondo, terminato nel 2022, per un importo di 2 milioni e 300 mila euro. Fondi che, secondo quanto ha spiegato il Consorzio, sono stati stanziati nell’ambito della pianificazione regionale finalizzata all’abbattimento dei nutrienti sversati dal bacino in laguna. “Abbiamo realizzato – ha dichiarato il direttore di Acque Risorgive, Carlo Bendoricchio – un bacino di fitodepurazione che, attraverso piante e microrganismi, assimila i nutrienti presenti nelle acque, come azoto e fosforo, che altrimenti finirebbero in laguna. Non solo: grazie a questo intervento possiamo realizzare il taglio del picco di piena del rio Draganziolo, sfruttando i circa 320 mila metri cubi di invaso, riducendo in modo sensibile il rischio idraulico del territorio circostante”. A oggi il Consorzio di bonifica ha realizzato 190 ettari di aree umide, 68 ettari di boschi igrofili e 27 chilometri di fasce tampone. A questi si aggiunge una riqualificazione di 53 chilometri di canali di bonifica. “L’oasi di Noale – ricorda il presidente dell’Anbi Veneto e di Acque Risorgive Francesco Cazzaro – si inserisce in questo grande sforzo compiuto per riqualificare aree, a volte degradate, riutilizzandole per nuovi scopi e offrendole alla fruibilità dei cittadini, in un’ottica di sostenibilità e rigenerazione”.