L’operazione Keu della DDA di Firenze ha portato alla luce lo smaltimento abusivo di 8.000 tonnellate di rifiuti speciali ad alta concentrazione di sostanze pericolose, derivanti dal settore conciario e utilizzati per impieghi edilizi come se fossero sottoprodotti.
Nei primi giorni di maggio sono iniziate nel Comune di Peccioli, provincia di Pisa, le attività di messa in sicurezza e bonifica di alcuni terreni di proprietà di un’azienda agricola dove era stato smaltito il cosiddetto Keu, un rifiuto spacciato per innocuo materiale inerte. O almeno, questa è la versione della Direzione Distrettuale Antimafia di Firenze, che esattamente un anno fa presentava al grande pubblico i risultati investigativi di una lunga indagine, iniziata nel 2018 e articolata tra Toscana, Calabria e Umbria. Coinvolti 19 soggetti con capi d’accusa gravissimi, che vanno dall’associazione a delinquere aggravata all’agevolazione mafiosa, al traffico illecito di rifiuti, l’inquinamento ambientale e l’impedimento del controllo da parte degli organi amministrativi e giudiziari. Il nome in codice dato all’operazione è “Keu”, dal nome del materiale derivante dal trattamento termico dei fanghi di depurazione prodotti dalla concia delle pelli, fanghi classificati come rifiuti speciali (con il codice 190112, ceneri pesanti e scorie). Ed è un caso emblematico in tema di gestione dei rifiuti e dei rischi connessi di pratiche illegali.
13 siti regionali da bonificare
A ribadire i rischi ambientali svelati dall’indagine, il Comune di Peccioli, che ha reso noto che il Keu è stato utilizzato nei terreni di un’azienda agricola come materiale riciclato, per la realizzazione di scuderie e attrezzature connesse. Con alte concentrazioni di sostanze pericolose, tra queste, in particolare, il cromo. Una situazione di emergenza che ha portato il Comune a effettuare ulteriori indagini sui terreni che, “fortunatamente, non hanno evidenziato segni evidenti di contaminazioni”. Questo, tuttavia, ha specificato il Comune in una nota stampa “non ha frenato l’Amministrazione comunale nel voler mettere in atto, nel più breve tempo possibile, una serie di attività finalizzate a impedire qualunque tipo di rischio concreto di contaminazione ambientale”. Prima di Peccioli era stato il Comune di Massarosa il primo a muoversi per la bonifica dei terreni contaminati. In totale sono 13 i siti di interesse regionale da bonificare. Per l’assessore all’Ambiente della Regione Toscana, Monia Monni, “l’obiettivo è terminare le operazioni entro il 2025”.
La confusione tra sottoprodotto e rifiuto
Premesso che l’indagine non è ancora chiusa e non è stato ancora emesso alcun rinvio a giudizio, secondo l’accusa sembrerebbe che le miscele di Keu, con altri materiali inerti, venissero qualificate come sottoprodotto e commercializzate da un’impresa locale come materiale di recupero, utilizzabile per vari impieghi. Numerose indagini tecnico-analitiche hanno però dimostrato che il materiale non possiede le caratteristiche per essere considerato un sottoprodotto, bensì un rifiuto speciale (secondo una comunicazione ufficiale di Arpat del 26 aprile 2021). Questi rifiuti speciali sarebbero stati smaltiti abusivamente nei rilevati stradali, per un totale di 8.000 tonnellate di rifiuti, grazie ad alcuni clan di ‘ndrangheta attivi nel movimento terra. L’operazione si è conclusa con il sequestro di due impianti di gestione di rifiuti e beni per oltre 20 milioni di euro. La vicenda è paradigmatica, per molti aspetti. Intanto per la confusione e superficialità che ha accompagnato tutte le fasi procedurali che hanno portato all’utilizzo del Keu. Al di là delle eventuali responsabilità penali, il cui accertamento spetta solo ai giudici, non è ancora chiaro come sia stato possibile (e continui ad esserlo) confondere un sottoprodotto (normato dal Dlgs 152/2006 all’art. 184 bis), ossia una sostanza o un oggetto che non è mai stato un rifiuto (in quanto originato da un processo di produzione il cui scopo primario non è la produzione di tale sostanza od oggetto) con un rifiuto che ad un certo punto ha cessato la qualifica di rifiuto (ai sensi dell’art. 184 ter del Dlgs 152/2006), che dovrebbe essere il caso del Keu. Un rifiuto cesserebbe di essere tale, diventando prodotto da recupero (e non sottoprodotto), solo se ricorrono quattro condizioni specifiche, le più rilevanti delle quali sono:
- la sostanza o l’oggetto soddisfa i requisiti tecnici per gli scopi specifici e rispetta la normativa e gli standard esistenti applicabili ai prodotti;
- l’utilizzo della sostanza o dell’oggetto non porterà a impatti complessivi negativi sull’ambiente o sulla salute umana.
Nel nostro caso queste condizioni non sembra fossero rispettate all’origine, quindi non si capisce come sia stato possibile l’impiego di questo materiale con tanta leggerezza in cantieri pubblici. L’utilizzo del Keu è avvenuto alla luce del sole, tanto che diversi cittadini hanno filmato e documentato lo strano uso di un inerte di colore nero. Una vicenda che dovrebbe far riflette tutti. Soprattutto su quanto sia sottile il confine che separa attività di recupero, quindi di economia circolare, dal vero e proprio traffico illecito di rifiuti (ai sensi del Codice penale, art. 452 quaterdecies). Un confine che viene strappato spesso con dolo, altre volte con semplice colpa, se non quando per semplice ignoranza delle regole.
Ecomafie in agguato
Ultimo elemento chiave riguarda il ruolo dei clan criminali, che a prescindere dai riscontri di questa indagine, in Toscana come altrove si confermano particolarmente abili nel saldare il ciclo illegale dei rifiuti con quello dell’edilizia, grazie all’impiego di un parco mezzi di notevoli dimensioni. I clan, insomma, sanno muoversi agevolmente nella terra di mezzo, nelle tante zone opache delle attività di riciclo, offrendo servizi rozzi ed economici alle imprese senza dare troppo nell’occhio. E sono sempre in agguato, mimetizzandosi alla perfezione con i contesti specifici, come sanno fare bene i coccodrilli nelle pozze d’acqua. È quest’ultimo il tratto tipico dell’ecomafia di oggi, e per questo dovrebbe fare ancora più paura.