È arrivato in Senato il Disegno di legge per promuovere, sotto una regia nazionale, la rigenerazione urbana di centri cittadini, aree industriali e “tessuti edilizi disorganici o incompiuti”. Previsti incentivi fiscali e anche un Fondo nazionale per finanziare i singoli progetti territoriali.
È giunto finalmente all’esame del Senato il Disegno di legge unificato sulla rigenerazione urbana (DDL 29/S), un tema su cui urbanisti e decisori politici si esercitano tra tempo, un’occasione per togliere la polvere da una normativa per ampi tratti risalente agli anni Quaranta del Novecento.
Ciò che è proposto ai senatori è un testo unificato perché rappresenta la crasi di ben otto disegni di legge precedentemente in discussione, nell’arduo tentativo di fare della rigenerazione urbana un asset della stessa transizione ecologica, contribuendo a trasformare “le città italiane in luoghi più sostenibili, vivibili e moderni”, come recitano in coro i vari preamboli dei diversi disegni di legge. Una sfida lanciata anche dall’Agenda 2030 dell’ONU, dove al goal 11 si pone l’obiettivo, appunto, di rendere “le città e gli insediamenti umani inclusivi, sicuri, duraturi e sostenibili”.
Il testo unificato per la rigenerazione urbana
Il provvedimento all’esame si articola complessivamente in 27 articoli nel tentativo di coprire l’intero spettro dei temi che riguardano la riqualificazione degli spazi urbani, in sintesi:
- Favorire il riuso edilizio di aree già urbanizzate e di aree produttive [..];
- Favorire la sostenibilità ecologica, la presenza di aree verdi e alberature e l’incremento della biodiversità negli ambiti urbani oggetto di rigenerazione urbana;
- Contribuire al contenimento del consumo di suolo e migliorare la permeabilità dei suoli nel tessuto urbano;
- Ridurre i consumi idrici ed energetici mediante l’efficientamento delle reti pubbliche e la riqualificazione del patrimonio edilizio;
- Favorire l’integrazione sociale, culturale e funzionale mediante la formazione di nuove centralità urbane [..];
- Tutelare i centri storici dalle distorsioni causate dalla pressione turistica e dalla diminuzione dei residenti;
- Tutelare i centri urbani dal degrado causato dai processi di desertificazione delle attività produttive e commerciali;
- Favorire l’innalzamento del livello della qualità della vita per i residenti e i fruitori, valorizzando e rivitalizzando gli spazi verdi pubblici, allo scopo di migliorarne la fruibilità, la qualità ambientale, la sostenibilità e la biodiversità.
Queste finalità si dovranno comunque muovere di pari passo con l’obiettivo europeo di azzeramento del consumo di suolo entro il 2050.
La rigenerazione urbana come strumento di politica sociale
Da sottolineare pure che le aree territoriali ricomprese nei Piani comunali di rigenerazione urbana [..] sono dichiarate “aree di interesse pubblico”, nel tentativo, evidentemente, di fare della rigenerazione uno strumento di politica sociale, attenuando anche per questa via il consumo di suolo. Consumo che nel 2022 – ultimo dato aggiornato da Ispra (2023) – ha accelerato ulteriormente la sua corsa, arrivando alla velocità di 2,4 metri quadrati al secondo e avanzando, in soli dodici mesi, di altri 77 km2, oltre il 10% in più rispetto al 2021.
Non a caso, il Ddl prevede all’art.13 una serie di modifiche al Testo Unico Edilizia con particolare riferimento a temi quali demolizione, ricostruzione e cambio di destinazione d’uso.
La cabina di regia
La base programmatica del provvedimento è ricavabile già dall’art.1, che definisce i princìpi fondamentali in materia di rigenerazione urbana e individua i compiti affidati ai diversi livelli istituzionali nonché le risorse e gli incentivi per gli interventi da realizzare negli ambiti urbani caratterizzati da un elevato degrado urbanistico edilizio, ambientale e socio-economico.
Al fine di prefigurare un coordinamento e una visione nazionale alla selva di progetti e iniziative che saranno adottate lungo tutto lo stivale, l’art. 3 codifica una vera e propria cabina di regia, istituita presso la Presidenza del Consiglio dei ministri. Alla cabina di regia partecipano i rappresentanti del Ministero dell’Ambiente (MASE), del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, del Ministero della cultura, del Ministero dell’economia e delle finanze (il testo in realtà riporta le vecchie diciture ministeriali, che sono state qui attualizzate, nda), delle Regioni, delle Province autonome di Trento e di Bolzano e dei Comuni.
Il Piano nazionale e le misure economiche e fiscali
Per rendere operativa la riforma, l’art. 4 prevede che entro due mesi dall’entrata in vigore della legge sia adottato un Piano nazionale per la rigenerazione urbana, che annualmente sarà inserito in apposito allegato al Documento di economia e finanza (DEF) con la descrizione degli obiettivi e l’elenco degli interventi programmati del Piano stesso, insieme ai costi stimati, le risorse disponibili e le relative fonti di finanziamento.
Per quanto riguarda la copertura finanziaria, viene prevista (art. 5) la costituzione di un Fondo nazionale per la rigenerazione urbana con una dotazione pari a 50 milioni di euro a decorrere dall’anno 2024 e fino all’anno 2043. Inoltre, al fine di accelerare l’attuazione degli interventi di rigenerazione urbana, i comuni che hanno ottenuto l’assegnazione di un finanziamento per la rigenerazione urbana possono avviare e realizzare le attività progettate con il sostegno della Cassa depositi e prestiti Spa e dei fondi immobiliari privati o mediante la costituzione di fondi comuni di investimento (art. 13).
In più, sono previste degli incentivi fiscali per gli immobili oggetto di interventi di rigenerazione urbana, che, almeno fino alla conclusione degli interventi previsti nel Piano comunale di rigenerazione urbana, non sono soggetti né all’imposta municipale (legge 27 dicembre 2019, n. 160), né alla tassa sui rifiuti (TARI).
Una spinta verso la semplificazione normativa
Al fine di ridurre la complessità degli apparati normativi dei piani e l’eccessiva diversificazione delle disposizioni operanti in campo urbanistico, il legislatore chiede a tutti gli enti coinvolti nei processi urbanistici di evitare duplicazioni, incoerenze e appesantimenti normativi, in modo da facilitare l’attuazione delle politiche di sviluppo e gestione del territorio. Quello che si chiede, in sostanza, è non solo di ridurre il carico normativo, ma promuovere anche una maggiore coerenza tra i vari livelli di governo, evitando che la burocrazia diventa il vero ostacolo alla rigenerazione.
In particolare, l’obiettivo è ridurre la complessità degli apparati normativi che regolano i piani urbanistici, evitando una eccessiva diversificazione delle norme. Questo viene realizzato attraverso una focalizzazione delle previsioni degli strumenti di pianificazione, che devono concentrarsi esclusivamente sulle funzioni di governo del territorio specifiche per ciascun livello di pianificazione (regionale, provinciale e comunale).
Rigenerazione che deve riguardare anche gli edifici sottoposti a tutela culturale e paesaggistica e i centri storici, fermo restando il rispetto dei precetti previsti dal Codice dei beni culturali.
Una nuova governance
Il testo suddivide le competenze tra Il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, le Regioni ed i Comuni. Al Ministero il compito di coordinare e aggiornare il Programma Innovativo nazionale per la Qualità dell’Abitare PinQua. Alle Regioni, invece, il compito di identificare le priorità di intervento e le risorse necessarie sulla base del PinQua. Ai Comuni entro 12 mesi dalla data di entrata in vigore della legge individuano sulla cartografia le aree per la rigenerazione urbana e programmano gli interventi.