L’Organizzazione marittima internazionale ha firmato una nuova strategia per azzerare i gas a effetto serra del trasporto marittimo entro il 2050. Un obiettivo sfidante, perché sono necessari investimenti sulle flotte ma anche per le infrastrutture di produzione e distribuzione dei carburanti.
.Cambio al vertice dell’Organizzazione marittima internazionale (IMO): dal primo gennaio il nuovo segretario generale è Arsenio Dominguez Velasco e tra i suoi compiti più urgenti c’è quello, cruciale, di definire i nuovi standard dei carburanti per la marineria mondiale e identificare un meccanismo di tariffazione delle emissioni delle navi. Si tratta di concretizzare la nuova strategia per la riduzione delle emissioni climalteranti della marina mercantile, adottata dall’IMO a luglio scorso. Non è un compito facile. Non solo perché il trasporto marittimo è attualmente sotto attacco degli Houti nel Mar Rosso (e decidere di cambiare rotta significa circumnavigare l’Africa), generando nuove, forti tensioni geopolitiche dopo quelle provocate dall’attacco russo all’Ucraina, a sottolineare la criticità per le nostre vite quotidiane delle rotte e dei traffici marittimi internazionali. Ma soprattutto perché non vi è chiarezza sui combustibili alternativi puliti e perché, generalmente, le navi sono sempre più vecchie: secondo i dati della Conferenza delle Nazioni Unite per il Commercio e lo Sviluppo (UNCTAD), più della metà della flotta mondiale ha oltre 20 anni.
Gli obiettivi della nuova strategia di riduzione delle emissioni del trasporto marittimo
La strategia di gestione dei gas a effetto serra fissa per il settore l’obiettivo di azzerare le emissioni entro il 2050. Un passo importante, considerando che l’80% del commercio mondiale si muove via mare e che il trasporto marittimo è responsabile di circa il 3% delle emissioni mondiali di CO2, sebbene sia escluso dall’Accordo di Parigi.
Nel 2018 l’IMO si poneva come obiettivo al 2050 il dimezzamento delle emissioni – un target assolutamente non allineato con quelli sottoscritti dai vari Paesi nell’ambito dell’Accordo di Parigi e insufficiente rispetto alle proiezioni scientifiche – e, nel corso dell’ultimo decennio, le emissioni totali del trasporto marittimo internazionale sono progressivamente aumentate.
Ora, non solo è stato raggiunto un consenso su obiettivi nettamente più rigorosi, ma è anche stato fissato un percorso che stabilisce obiettivi di decarbonizzazione intermedi: per il 2030 una riduzione delle emissioni di almeno il 20% rispetto ai livelli del 2008, con l’obiettivo di raggiungere il 30%; per il 2040 una riduzione minima del 70%, con l’obiettivo di raggiungere l’80%. Gli obiettivi vanno oltre le emissioni di CO2 derivanti dalla sola combustione a bordo delle navi e comprendono tutte le emissioni dell’intero ciclo di vita del combustibile.
Prima che queste misure possano essere attuate, dovrà tuttavia essere effettuato uno studio complessivo del loro impatto sugli Stati. L’IMO ha, inoltre, concordato lo sviluppo di un pacchetto di politiche da realizzare nei prossimi due anni per raggiungere questi obiettivi. Una rotta difficile da navigare.
Quali sono le criticità nel decarbonizzare il trasporto marittimo
Secondo il Rapporto 2023 sul trasporto marittimo dell’UNCTAD, che analizza tutte le criticità del necessario percorso di decarbonizzazione, gli attori del settore devono ammodernare e rinnovare le flotte obsolete e passare a combustibili a basse emissioni senza sapere con certezza quali siano i combustibili alternativi migliori e quali le tecnologie verdi più efficaci. A complicare le cose l’età media delle navi, che all’inizio del 2023 superava i 20 anni; le navi hanno una durata di vita lunga e alcune sono troppo vecchie per essere ammodernate, ma non ancora abbastanza per essere demolite.
Gli armatori si trovano di fronte a un dilemma: rinnovare la propria flotta ora, quando ancora mancano informazioni sui carburanti alternativi, sulle tecnologie verdi e sulle normative, oppure no. L’incertezza sui tempi di rinnovo della flotta, i vincoli legati alla limitata capacità produttiva dei cantieri navali e l’aumento dei prezzi di costruzione complicano le decisioni di investimento; i gestori di porti e terminali si trovano ad affrontare difficoltà simili nel decidere se investire o meno in nuove attrezzature.
L’uso diffuso di carburanti sostitutivi di quelli fossili, che emettano poche o nessuna emissione di gas serra durante il loro intero ciclo di vita, presuppone una trasformazione radicale delle catene di produzione e distribuzione dei carburanti e il coordinamento di una moltitudine di soggetti nei settori del trasporto marittimo, dei porti, dell’energia e della finanza. “Le autorità pubbliche devono mettere rapidamente in atto politiche e regolamenti per stimolare la domanda di carburanti alternativi, tecnologie verdi e flotte pulite, e per incoraggiare il settore a investire” esorta l’UNCTAD.
Cosa è necessario fare per arrivare alla decarbonizzazione del trasporto marittimo
La decarbonizzazione del trasporto marittimo entro il 2050 richiederà ingenti investimenti: tra gli 8 e i 28 miliardi di dollari all’anno, secondo le stime del gestore del rischio norvegese DNV. Mentre l’investimento infrastrutturale per la transizione ai combustibili puliti sarà probabilmente maggiore dell’investimento a bordo: la costruzione delle infrastrutture di produzione, distribuzione e bunkeraggio costerà tra i 28 e i 90 miliardi di dollari all’anno. La completa decarbonizzazione potrebbe aumentare i costi annuali del carburante del 70 – 100% rispetto ai livelli attuali.
“Il settore del trasporto marittimo non può decarbonizzarsi da solo” scrive l’UNCTAD. Tutte le parti interessate devono contribuire allo sforzo: vettori, autorità portuali, costruttori navali, spedizionieri, investitori, produttori e distributori di energia.
Tutte le navi coinvolte nel trasporto internazionale di merci dovranno essere soggette alle stesse regole multilaterali per la riduzione delle emissioni di gas serra. Questo è fondamentale nel determinare il successo del processo di decarbonizzazione, sottolinea UNCTAD, dato che la maggior parte delle navi batte bandiera diversa da quella dei loro proprietari e il commercio internazionale avviene necessariamente tra due o più Paesi. Soluzioni frammentate ed esenzioni rischiano di vanificare ogni risultato; per evitare una transizione a due velocità e garantire condizioni di parità, è essenziale che la decarbonizzazione del trasporto marittimo avvenga all’interno di un quadro normativo universale che si applichi a tutte le navi, indipendentemente dalla loro bandiera di registrazione, dal Paese di origine o dall’area in cui operano.