Esistono sul mercato molte tipologie di plastica, la maggior parte delle quali impiegate nella produzione di imballaggi usa e getta. La selezione e il riciclaggio di questi materiali è complesso e a livello europeo si fatica a raggiungere gli obiettivi fissati dall’Unione. Ma nel resto del mondo va molto peggio.
Nel 2020 sono state prodotte sul pianeta 367 milioni di tonnellate di plastica (dieci anni prima erano 270 milioni) secondo il sito di statistiche Statista. Che fine fa questa plastica una volta che non ci serve più? Proviamo a fornire qualche dato per avere un’idea più precisa del riciclo della plastica.
Gli imballaggi di plastica sono la principale fonte di rifiuti nel mondo
Innanzitutto, a cosa è servita questa immensa montagna di plastica? Secondo un recente report dell’associazione europea dei produttori Plastics Europe la plastica prodotta nell’Unione europea è servita soprattutto per la produzione di packaging (39%) e poi per farne prodotti per l’edilizia (24%). Minoritari gli usi nell’automotive (8%), per i prodotti elettrici ed elettronici (6%), per agricoltura e giardinaggio (4%), per casalinghi, tempo libero e sport (meno del 4%). Gli imballaggi in plastica rappresentano l’impiego largamente maggioritario e quello dalla vita più breve: lo vediamo tutti i giorni dopo aver fatto la spesa. Per gli altri prodotti in plastica, la durata media varia tra 1 e 50 o più anni: le componenti di un’auto durano circa 13 anni, i prodotti per i pavimenti tra i 20 e i 40 anni, i tubi di plastica anche 100 anni spiega Plastics Europe. Proprio per la diffusione degli imballaggi in plastica e il prevalere dell’usa e getta, l’Unione europea ha fissato degli obiettivi di riciclo del 50% al 2025, per arrivare al 55% entro il 2030. Per gli altri rifiuti da imballaggio l’obiettivo è più ambizioso: il 65% di riciclo entro il 2025 e il 70% entro il 2030. Ma riciclare la plastica è più difficile, per la grande varietà di tipologie esistenti e i limiti del riciclo meccanico.
Tutte le tipologie di plastica che generano rifiuti
Corepla, il consorzio per il riciclo degli imballaggi plastici, fornisce un elenco dettagliato di tutte le tipologie oggi sul mercato:
- polietilene tereftalato o polietilentereftalato (PET), usato per bottiglie, film, vaschette, contenitori, etichette;
- polietilene ad alta densità (HDPE), impiegato per flaconi per detersivi o alimenti, giocattoli, tappi in plastica, tubi per acqua e gas;
- cloruro di polivinile (PVC) con cui si realizzano tubi per edilizia, serramenti, pavimenti, imballaggi;
- polietilene a bassa densità (LDPE) per film e pellicole da cui derivano sacchetti e buste, o prodotti per l’agricoltura;
- polipropilene (PP), impiegato per realizzare casalinghi, giocattoli, imballaggi sia rigidi (barattoli e flaconi) che flessibili (film);
- polistirene, o polistirolo, quello delle stoviglie monouso o degli imballaggi. La versione espansa viene impiegata, oltre che per imballaggi, anche nella realizzazione di manufatti alleggerenti, isolanti, fonoassorbenti per l’edilizia.
Ecco perché è più corretto parlare di plastiche, invece di plastica. E questo ci aiuta a comprendere la complessità del riciclo di questi materiali.
Quanta plastica viene riciclata nel mondo?
Secondo l’OCSE, solo il 9% del totale della plastica prodotta sul pianeta viene riciclato. Il 19% viene incenerito, il 50% finisce in discariche controllate e quello che resta in discariche a cielo aperto, abbandonato nell’ambiente o bruciato. In Europa, stando ancora a Plastics Europe, l’incenerimento è la forma più diffusa di gestione dei rifiuti plastici, con 12,4 milioni di tonnellate, pari al 42% dell’immesso al consumo. Quanto al riciclo, Eurostat ci dice che mediamente nei Paesi dell’Unione europea si ricicla quasi il 41% degli imballaggi in plastica (dati 2019): si va dal 51% della Spagna al 45% italiano, il 43% tedesco e il 27% della Francia. Si tratta di riciclo meccanico, quello ottenuto con macchine che selezionano, per quanto possibile, le diverse tipologie di plastica e ne fanno materia prima seconda per nuovi prodotti. Ma grossi investimenti si stanno facendo anche sul riciclo chimico, che può essere di tre tipi: la depolimerizzazione, che dai polimeri ricava monomeri che possono essere ri-polimerizzati per produrre nuova plastica; la pirolisi e la gassificazione, che creano intermedi chimici riciclati (come olio di pirolisi o syngas) da impiegare in altri processi chimici. Il limite di questo tipo di riciclo, ad oggi, sono gli alti costi, che relegano le esperienze industriali ancora allo stadio di progetti pilota.