Gli scienziati del MIT di Boston (USA) hanno dimostrato che la riduzione del buco dell’ozono è merito del Protocollo di Montreal e della messa al bando dei gas clorofluorocarburi (CFC). Un risultato che premia la diplomazia internazionale e dà speranza per il futuro.
Finalmente una buona notizia dal fronte ambientale: la ferita del buco dell’ozono si sta rimarginando, seppure lentamente. Merito, soprattutto, della messa al bando, nel lontano 1987, dei gas clorofluorocarburi, in codice CFC, conosciuti meglio come i peggiori gas ozonolesivi in circolazione. Gas usati in massa, almeno fino a quella data, come refrigeranti economici per i frigoriferi.
Gli scienziati dell’Istituto di Tecnologia del Massachussetts (MIT) sono riusciti a dimostrare, per la prima volta nella storia, che i progressi nella riduzione dell’area erosa di ozonosfera sopra l’Antartide sono strettamente correlati al bando internazionale e non, per esempio, dalla variabilità naturale dell’atmosfera. Risultato straordinario che gli scienziati hanno spiegato in dettaglio, con una corposa documentazione statistica, sulla prestigiosa rivista Nature. È la prima dimostrazione scientifica in tal senso, che riconosce il ruolo attivo della comunità internazionale nel dare risposte concrete ed efficaci a un problema ambientale di portata globale.
Secondo Susan Solomon del Mit, una delle autrici dello studio, sebbene l’atmosfera abbia “una variabilità davvero caotica al suo interno”, lo studio ha comunque permesso di capire con certezza il peso dei vari fattori che influenzano la presenza di ozono e determinare così l’importante impatto avuto nel tempo dalla messa al bando dei Cfc. Un risultato che sarebbe auspicabile in generale nella lotta ai cambiamenti climatici e alla perdita di biodiversità.
L’ozono troposferico e l’ozono stratosferico
L’ozono (simbolo O3) è un gas le cui molecole sono formate da tre atomi di ossigeno, esso è presente in tutta l’atmosfera e viene distinto tra:
- l’ozono troposferico, presente nei bassi strati atmosferici, vicini al suolo, che risulta pericoloso per l’apparato respiratorio e rappresenta il prodotto dell’inquinamento industriale ed urbano
- l’ozono stratosferico che si concentra prevalentemente nella stratosfera all’altezza di circa 25 Km, in una fascia atmosferica chiamata ozonosfera, considerato essenziale alla vita sulla Terra per via della sua capacità di assorbire la radiazione ultravioletta (UV) proveniente dal Sole e di regolare la radiazione netta ricevuta dalla superficie terrestre, raggi che creano danni alle cellule e al Dna
Il deterioramento di quest’ultimo venne rilevato nel 1985 da un gruppo di scienziati impegnato in una campagna di studio in Antartide, che scoprirono l’esistenza di una specie di buco del sottile strato di ozono che avvolge la Terra nella cosiddetta stratosfera, tra i 15 e i 50 chilometri di altezza. Quella scoperta, drammatica, spinse immediatamente tutti i governi a correre ai ripari mettendo al bando bando i Cfc, ritenuti la causa principale della riduzione dell’ozono, grazie ad un accordo siglato nel 1987 a Montreal in Canada.
Il buco dell’ozono e il protocollo di Montreal
Il protocollo rappresenta ancora oggi lo strumento operativo dell’UNEP, il Programma Ambientale delle Nazioni Unite, per l’attuazione della Convenzione di Vienna “a favore della protezione dell’ozono stratosferico”. Entrato in vigore nel gennaio 1989, ad oggi è stato ratificato da 197 Paesi tra i quali l’Italia (dicembre 1988).
Esso stabilisce i termini di scadenza entro cui le Parti firmatarie si impegnano a contenere i livelli di produzione e di consumo delle sostanze dannose per la fascia d’ozono stratosferico (halon, tetracloruro di carbonio, clorofluorocarburi, idroclofluorocarburi, tricloroetano, metilcloroformio, bromuro di metile, bromoclorometano). Il Protocollo, inoltre, disciplina gli scambi commerciali, la comunicazione dei dati di monitoraggio, l’attività di ricerca, lo scambio di informazioni e l’assistenza tecnica ai Paesi in via di sviluppo.
Il Fondo Multilaterale Ozono
Nel 1990, il Protocollo di Montreal ha istituito il Fondo Multilaterale Ozono per aiutare i Paesi in via di Sviluppo a raggiungere i loro impegni di conformità rispetto all’eliminazione della produzione e del consumo di sostanze ozono lesive. Il Fondo finanzia progetti di investimento, assistenza tecnica, formazione, capacity building, trasferimento tecnologico e riconversione industriale in 147 Paesi in Via di Sviluppo (definiti “Paesi Art. 5” ai sensi del Protocollo).
Dalla sua istituzione ad oggi, il Fondo ha erogato finanziamenti per un totale di 3.2 miliardi di dollari eliminando più di 463.000 tonnellate metriche di sostanze ozono lesive attraverso 7000 progetti.
L’Italia dal canto suo ha favorito la cessazione dell’impiego delle sostanze ozono lesive, nonché la disciplina delle fasi di raccolta, riciclo e smaltimento con la legge 549/93, successivamente modificata dalla n. 179 del 1997 e ha stabilito la partecipazione al Fondo multilaterale per il Protocollo di Montreal con la legge n. 409 del 29 dicembre 2000. I successivi decreti ministeriali del 26 marzo 1996 e del 10 marzo 1999 hanno disciplinato il recupero delle sostanze ozono lesive per il loro riciclo, riutilizzo e distruzione.
Bando anche agli idrofluorocarburi (HFC)
Dopo la messa al bando degli CFC, l’attenzione si è rivolta anche ai loro principali sostituti, i gas idrofluorocarburi (HFC) – comunemente note come “F-Gas” –, anch’essi considerati unanimemente dalla scienza comunque pericolosi, pur non essendo sostanze ozono-lesive, sono potenti gas serra che possono avere un impatto sul cambiamento climatico migliaia di volte maggiore rispetto all’anidride carbonica. Non a caso, insieme alla CO2, al metano e all’ossido di azoto, sono inclusi nel gruppo di emissioni oggetto dell’Accordo di Parigi, sottoscritto nell’ambito della convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC), in quanto il loro potenziale di riscaldamento globale, il GWP, può essere fino a 23.000 volte maggiore rispetto a quello dell’anidride carbonica (CO2).
Il 15 ottobre 2016 a Kigali (Ruanda), infatti, alla 28esima Riunione delle Parti, i 197 Paesi, Parti del Protocollo, hanno approvato un emendamento che sancisce la loro eliminazione progressiva. I nuovi obblighi adottati a Kigali sono già rispettati dagli Stati Membri attraverso l’attuazione del Regolamento (UE) n. 517/2014 (cosiddetto Regolamento F-gas) e del Regolamento (UE) di esecuzione n.1191/2014.
La nuova stretta del Regolamento 2024/573 sugli F-Gas
Il cammino verso la graduale abolizione della produzione e consumo anche di questi gas ha portato nel febbraio del 2024 al nuovoRegolamento 2024/573 sui gas fluorurati a effetto serra che sostituisce il Regolamento (UE) n. 517/2014, estremo tentativo di ridurre le emissioni di queste sostanze, considerate sempre di più dalla scienza tra le principali responsabili del riscaldamento globale.
Il Regolamento prevede target più elevati di riduzione sulla presenza di tali sostanze (e controllo d’uso di apparecchiature contenenti o il cui funzionamento dipenda dall’uso di gas fluorurati a effetto serra), promuovendo l’adozione di alternative più sostenibili e riducendo progressivamente la dipendenza da esse. Impegni che si situano nel solco di quanto assunto dall’Ue sul clima, ovvero di ridurre le emissioni di gas a effetto serra di almeno il 55 % entro il 2030 rispetto al 1990 e la neutralità climatica dell’Ue al più tardi entro il 2050.
A differenza di altre emissioni di gas serra che sono con il tempo diminuite, secondo l’Intergovernmental Panel on Cimate Change (IPCC) le emissioni di gas fluorurati sono invece raddoppiate tra il 1990 e il 2014, un trend che andava invertito necessariamente. Nel report AR6 del 2021, l’IPCC aveva già chiesto, infatti, ai paesi di ridurre le emissioni di gas fluorurati a effetto serra su scala mondiale fino al 90% rispetto al 2015 per evitare guai peggiori.