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Green marketing e greenwashing: che differenza c’è?

Green marketing: grafici e computer
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La prima volta che si è usata l’espressione green marketing era il 1975. In quell’anno, l’American Marketing Association tenne il suo primo workshop sulla tematica dell’ecological marketing, ovvero il marketing ecologico. Erano anni in cui la sensibilità ambientale era ben più bassa rispetto a quella di oggi e il concetto non era certo di tendenza. Sono passati quasi 50 anni da quell’iniziativa e l’attenzione in merito alla questione è molto aumentata. Nel 2024, quando parliamo di green marketing, intendiamo il gruppo di attività e strategie di comunicazione legate a ideazione, commercializzazione e promozione di prodotti e servizi che generano minore impatto ambientale rispetto alla concorrenza.

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Il green marketing sostenibile

Green marketing: due colleghi di fronte a una tabella di marketing
Il green marketing coinvolge tanto la produzione quanto gli standard di progettazione.

Una comunicazione sostenibile si rivolge tanto agli standard di prodotto quanto all’intero processo produttivo. Tutto deve avvenire in un’ottica di sostenibilità sociale, etica, economica e- soprattutto, potremmo dire – a ridotto impatto ambientale. Generalmente, le attività interessate da questa forma di marketing sono tutte tra loro eterogenee. Questo tipo di promozione deve essere in linea con i valori aziendali, i quali, se fossero totalmente in disaccordo con una vocazione alla sostenibilità, non si limiterebbero a rendere soltanto incoerente l’intera strategia, bensì minerebbero anche la credibilità del brand in toto.

Il purpose di un’azienda che sceglie di operare tramite green marketing deve essere rivolto alla trasmissione dei benefici che i suoi prodotti apportano, principalmente a sociale e ambiente. L’attenzione verso questa comunicazione, intesa come impegno di mettere l’ambiente al centro della propria vision, è sorto proprio in seguito al cambiamento della sensibilità da parte del consumatore che abbiamo evidenziato nel paragrafo introduttivo. L’utente finale, infatti, è piuttosto arrabbiato e intollerante di fronte all’immobilismo dell’industria nei confronti del surriscaldamento globale. Non è raro, per il cittadino comune, vedere nelle multinazionali le principali fautrici dell’inquinamento ambientale.

Coerenza, correttezza e trasparenza

Operando secondo i dettami del green marketing è importante mantenersi sempre coerenti, corretti e trasparenti. Non solo perché, altrimenti, i nostri potenziali clienti, che sciocchi non sono, individueranno subito l’intento truffaldino della nostra comunicazione, bensì anche perché corriamo il rischio di venire sanzionati dall’Antitrust. Esistono numerosi modi per predicare e razzolare bene, in questo ambito.

Ad esempio, è possibile puntare su un packaging sostenibile e riciclabile; aderire a progetti di riforestazione certificati, che coprano le emissioni di anidride carbonica; divulgare contenuti che educhino i clienti sulle tematiche ambientali, magari sfruttando i canali social, o ricorrere a una produzione che sia sostenibile al 100%. Quest’ultimo step potrebbe non essere semplice o, nel caso di alcuni settori, proprio impossibile con la tecnologia di oggi. Qualunque strada si decida di intraprendere, è essenziale percorrerla per intero, senza cercare scorciatoie. Nella comunicazione promozionale, le cose vanno dette come stanno. Mentendo, si rischia infatti l’autogol commerciale.

Green marketing e greenwashing

Attraverso i principi cardine del green marketing, ovvero restituzione e responsabilità, le aziende vanno in controtendenza rispetto a quanto sia stato fatto finora e adottano comportamenti produttivi più etici. Questo è il modo di ottimizzare dispendio energetico, consumo di risorse e utilizzo di materie prime. Il prodotto promosso come sostenibile deve però esserlo davvero. Qualora fosse soltanto millantato come tale, e il consumatore si accorgesse della scorrettezza, si sentirebbe ingannato e avrebbe ragione di scagliarsi contro l’azienda in tutte le sedi che ritiene opportune: dal gruppo Whatsapp o la recensione online all’aula di tribunale, in caso di class action.

Il passaparola negativo, reale o virtuale che sia, finirà per causare una perdita massiccia di clienti. Esagerare il proprio impegno ambientale per costruire un’immagine ingannevolmente positiva è una pratica altamente scorretta. Intavolare strategie di comunicazione positive per conquistare clientela mentendole in merito a questioni di questo tipo è fare greenwashing. Il consumatore può verificare la bontà delle intenzioni di un’azienda ricercandone le certificazioni EMAS o ISO 14001. Queste attestano che l’azienda aderisce a standard internazionali legati a impegno sociale e sviluppo sostenibile.

Alla ricerca di un cambiamento

Il green marketing si pone un obiettivo a lungo termine: vuole indurre i consumatori a modificare il loro stile di vita e ridurre i consumi, dando loro una mano fornendo prodotti che non impattino sull’ambiente. Il desiderio di chi lo applica è quello di normalizzare l’alternativa più sostenibile e rendere preferibile l’offerta di prodotti e servizi green. Dietro il greenwashing non c’è invece alcun intento nobile. Si mente affermando che le attività dell’impresa siano ecologiche, quando in realtà inquinano esattamente come hanno sempre fatto. L’unico scopo è farsi pubblicità e autopromuoversi, senza alcuna volontà di fare concretamente qualcosa per l’ambiente.

Per il consumatore di oggi quella ambientale è la vera nuova frontiera. Limitare inquinamento e degrado sono due priorità e molti preferiscono pagare qualcosa di più pur di avere un prodotto a basso impatto ambientale, tanto a livello di packaging quanto allo stadio produttivo. In un mondo come quello di oggi, la brand reputation è la chiave per strappare clienti alla concorrenza. Rifuggiamo dunque dal greenwashing e ricorriamo a buone pratiche di green marketing. Non ne guadagneremo soltanto noi, bensì anche l’intero pianeta.

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Mattia Mezzetti

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