Economia circolare, agricoltura biologica e mobilità sono i punti di forza della green economy italiana, secondo la Fondazione per lo sviluppo sostenibile. C’è ancora molto da fare in tema di consumo di suolo, sprechi idrici ed emissioni. Ma nonostante tutto, per la maggioranza delle imprese, la transizione ecologica è un’opportunità da non perdere.
Come sta l’economia verde oggi in Italia e che cosa pensano le nostre imprese della transizione ecologica? Ce lo racconta la Fondazione per lo sviluppo sostenibile nella “Relazione sullo stato della green economy 2022”, che fotografa gli andamenti di dieci settori strategici della green economy (emissioni di gas serra, green city, rinnovabili, risparmio energetico, economia circolare, capitale naturale, consumo di suolo, risorse idriche, agricoltura, mobilità), accompagnata da un’indagine sull’atteggiamento degli imprenditori riguardo alla transizione ecologica, realizzata in collaborazione con la società di consulenza EY. Il sondaggio interroga un campione di 1.000 imprese italiane grandi, medie e piccole, in questo anno difficile che vede il peggioramento della crisi climatica globale, con forti ripercussioni anche in Europa, e una pesante crisi geopolitica ed economica scatenata dall’invasione russa dell’Ucraina, con alti prezzi dell’energia e delle materie prime.
I punti deboli della green economy italiana
Le analisi della Fondazione per lo sviluppo sostenibile restituiscono risultati compositi, con performance d’eccellenza e punti deboli. Tra questi ultimi, il consumo di suolo, che nel 2021 ha raggiunto il livello più alto degli ultimi 10 anni, con circa 19 ettari consumati in più al giorno; e gli sprechi di risorse idriche, decisamente insostenibili: dei circa 10 miliardi di metri cubi all’anno immessi negli acquedotti per usi potabili, 4 miliardi sono dispersi durante il trasporto nelle reti. Male anche per quanto riguarda le emissioni di gas serra, cresciute del 6,8% nel 2021, con la scarsa risposta delle città al conseguimento degli obiettivi di neutralità climatica: sono poche quelle che hanno adottato misure di mitigazione e piani di adattamento al cambiamento climatico. Rimane critica e distante dagli obiettivi fissati anche la tutela del capitale naturale, senza significativi miglioramenti per lo stato di conservazione delle specie e degli habitat; l’Italia tutela il 21,4% del proprio territorio (contro una media europea del 26,4%), ancora poco rispetto al target europeo del 30% al 2030. Scarsi miglioramenti per il risparmio energetico, nonostante gli alti prezzi. Nel 2021 i consumi finali di energia sono cresciuti, riassorbendo il calo avvenuto durante la pandemia e raggiungendo il livello più alto dal 2012: 114,8 milioni di tep. “Il Superbonus del 110% – si legge nella ricerca – è servito a rilanciare alcuni settori produttivi, ma molto poco a ridurre i consumi di energia: a fronte di un investimento complessivo di oltre 16 miliardi di euro e quasi 100mila interventi finanziati, sono stati risparmiati meno di 200mila tep”. Anche le rinnovabili crescono poco e perdono peso nel mix energetico: l’elettricità da fotovoltaico ed eolico è aumentata, ma a causa del forte calo di quella idroelettrica, è diminuita la quota di rinnovabili sul consumo finale di energia. Considerato l’aumento dei consumi di elettricità, la quota di fonti rinnovabili è scesa dal 42% nel 2020 al 36% nel 2021 e i dati del primo semestre del 2022 sono addirittura peggiori.
Economia circolare, agricoltura biologica e mobilità i punti di forza della green economy italiana
Buoni invece i risultati conseguiti dall’economia circolare e dall’agricoltura biologica. Il riciclo ha contribuito a contenere la domanda di materie prime vergini e le difficoltà di approvvigionamento; per esempio, la produzione di acciaio in Italia nel 2021 è cresciuta rispetto all’anno precedente del 20%, con il 78% proveniente dal riciclo del rottame ferroso. La superficie a coltivazione biologica è cresciuta del 4,4% rispetto al 2020: siamo al 17,4% del totale coltivato, un buon livello anche se ancora distante dal target europeo del 25% entro il 2030. Sul fronte della mobilità, nel 2021 sono state immatricolate 136mila auto elettriche (+127%) e 423mila auto ibride (+91%). In totale, sono state immatricolate 468mila auto in meno di quelle vendute nel 2019 (le auto diesel vendute sono state il 29% in meno dell’anno precedente e quelle a benzina il 16%), mentre ha ripreso a crescere la sharing mobility.
Il 62% delle imprese ritiene la transizione ecologica una opportunità strategica
Secondo la ricerca “Le imprese italiane e la transizione ecologica”, il 62% delle imprese vede nell’attuale periodo storico maggiori ragioni per intraprendere un percorso di transizione ecologica, vista come opportunità strategica, e tre aziende su quattro (il 76%) sono convinte che l’Italia dovrebbe essere fra i promotori della transizione ecologica. “Questa indagine documenta un quadro dell’impegno delle imprese italiane per la transizione ecologica più avanzato di quanto diffusamente si ritenga” sottolinea Edo Ronchi, presidente della Fondazione per lo sviluppo sostenibile. Oltre una su due ha già adottato misure per usare in modo più efficiente energia e acqua, il 49% per ridurre e per riciclare i propri rifiuti e il 34% nell’utilizzo di fonti rinnovabili. Il 75% del campione ha un livello di preoccupazione medio o elevato rispetto all’aumento degli eventi atmosferici estremi e solo il 25% dichiara di non esserne preoccupato, ma solo un’impresa su cinque ha attuato al suo interno misure di riduzione delle emissioni di gas serra. “Sono soprattutto le piccole e medie imprese – spiega Irene Pipola, sustainability consulting leader di EY Italia – a sostenere la rilevanza della transizione ecologica, ritenuta un cambiamento necessario dall’83% delle imprese intervistate, evidenziando ancora più il senso di urgenza rispetto alle grandi imprese. Emerge anche quanto sia essenziale un supporto strutturale per le imprese più piccole, che non possono contare solo sul ritorno degli investimenti nel muoversi verso questa trasformazione. Infatti, il 42% delle imprese che hanno avviato un processo di transizione ecologica dichiara di non aver ancora percepito alcun vantaggio, e questo è accaduto più frequentemente nelle imprese di dimensioni minori”. L’ostacolo maggiore per la transizione ecologica è rappresentato dalla burocrazia per il 50% delle imprese. È forte anche la richiesta di maggiore informazione: solo il 35% del campione pensa di avere un buon livello di conoscenza.