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Fragilità del territorio e consumo di suolo: prevenire un’altra Ischia

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Il 94% dei Comuni italiani è a rischio idrogeologico e il consumo di suolo, legale e illegale, viaggia ormai a ritmi insostenibili. Una miscela esplosiva, acuita dalle conseguenze dei cambiamenti climatici, che rischia di rendere croniche le emergenze. Sono necessari interventi di prevenzione strutturali per evitare altri casi come quello di Ischia.

È nell’estrema fragilità geomorfologica del territorio l’origine della tragedia che tra il 25 e il 26 novembre ha travolto Ischia: il terreno ha ceduto sotto il peso dei detriti che, partiti dal monte Epomeo, sono scesi verso il mare distruggendo case, strade, auto. E provocando 8 vittime. Una fragilità acuita dagli effetti dei cambiamenti climatici: siccità e temperature estreme, che hanno alimentato incendi e perdita di biodiversità. Lo scorso agosto le fiamme hanno divorato la vegetazione lungo i pendii dell’Epomeo, nel versante nord-occidentale, propagandosi poi nella zona di Santa Maria al Monte; solo qualche giorno prima erano andate in fiamme le zone dei Frassitelli e della Falanga, distruggendo una porzione significativa di macchia mediterranea. E col terreno ridotto in cenere, il rischio di smottamenti e alluvioni, sin dalle prime piogge, aumenta in maniera esponenziale.

Il 94% dei Comuni italiani è a rischio dissesto idrogeologico

La fragilità di gran parte del territorio italiano è un tema che dovrebbe essere noto a tutti, non solo dopo l’ennesima tragedia. Nel rapporto Ispra “Dissesto idrogeologico in Italia: pericolosità e indicatori di rischio – 2021” si legge che il 94% dei Comuni italiani è a rischio per frane, alluvioni o erosione costiera; 1,3 milioni di abitanti sono a rischio frane e 6,8 milioni di abitanti a rischio alluvioni. Su un totale di oltre 14,5 milioni di edifici, quelli in aree a rischio frana elevata e molto elevata sono oltre 565mila (4%), quelli in aree inondabili sono più di 1,5 milioni (11%). Le Regioni con i valori più elevati di popolazione a rischio frane e alluvioni sono Emilia-Romagna, Toscana, Campania, Veneto, Lombardia, e Liguria.

Cosa si è fatto per mitigare il consumo di suolo

Cosa si è fatto finora per mitigare questo rischio? Poco o nulla. Dai dati dell’ultimo Rapporto Ispra sul consumo di suolo emerge che nel 2021 l’artificializzazione del suolo supera i 2 mq al secondo, raggiungendo i 70 kmq di nuove coperture in un anno: un ritmo insostenibile. Le conseguenze sono anche economiche, e i “costi nascosti” dovuti alla cementificazione del suolo negli ultimi 15 anni – che impedisce di contrastare la desertificazione, le inondazioni e gli smottamenti, nonché di far diventare le nostre città più sicure e resilienti – ammontano secondo Ispra a 8 miliardi di euro l’anno. A fronte di politiche di consumo di suolo e cementificazione dissennate, di recente lo Stato ha provato a metterci qualche risorsa, ma date le condizioni oramai raggiunte dal dissesto, solo una goccia nell’oceano. Le principali disposizioni della Legge di bilancio 2020 (L. 160/2019) in materia di contrasto al dissesto idrogeologico prevedono l’assegnazione ai Comuni, per ciascuno degli anni dal 2020 al 2024, nel limite complessivo di 500 milioni di euro annui, di contributi per investimenti destinati a varie opere pubbliche, tra cui interventi per l’adeguamento e la messa in sicurezza di scuole, edifici pubblici e patrimonio comunale. Le risorse assegnate ai Comuni per l’anno 2021 sono state incrementate di 500 milioni di euro dall’art. 47 del D.L. 104/2020. Inutile aggiungere, come ammoniscono gli esperti, che serie politiche di prevenzione farebbero risparmiare dieci volte tanto. A ciò va aggiunto il fatto che sin dal Regio Decreto del 1923 sulla mitigazione del dissesto idrogeologico, le sanzioni previste nei casi di inottemperanza sono sempre state poco più che irrisorie. Come raccontano alcuni inquirenti, nei casi di sbancamento o interventi illegali, su questo fronte le armi in possesso della magistratura sono sempre state spuntate. Sia la legislazione nazionale che quella locale non hanno mai mostrato la mano ferma nei confronti dell’uso spregiudicato del territorio, con sanzioni meramente contravvenzionali che hanno consentito di fatto un’urbanizzazione a dir poco rischiosa, in molti casi sviluppatasi fuori dai Piani regolatori vigenti. Oppure all’interno di Piani regolatori dove le ragioni della speculazione edilizia hanno prevalso su quelle dell’ambiente.

La difesa del territorio passa anche dal contrasto all’abusivismo edilizio e al ciclo illegale del cemento

L’abusivismo edilizio è un fenomeno che secondo il Cresme, tra costruzioni ex novo e ampliamenti significativi, produce più di 20mila case ogni anno. Una casa abusiva può costare anche la metà di una costruzione in regola: tutta la filiera ha un prezzo ridotto, dai materiali acquistati in nero, alla manodopera pagata in nero, senza spese per la sicurezza del cantiere. E spesso è una filiera alimentata da materiali che provengono da cave fuorilegge, prodotti da imprese in mano ai clan. Il ciclo illegale del cemento non è fatto solo da edificazioni abusive: significa anche appalti truccati, opere dai costi esorbitanti finalizzate ad alimentare giri di mazzette, corruzione e speculazioni immobiliari con le carte truccate. Dall’ultimo Rapporto Ecomafia di Legambiente (2021), che cura ed elabora i dati provenienti da tutte le forze dell’ordine, si evince che nel 2020 si sono registrati più di 11mila reati legati al ciclo illegale del cemento, di gran lunga la fetta più ampia della torta degli illeciti ambientali (il 33%, mentre il ciclo illegale dei rifiuti si attesta a poco meno del 24%). Il 49% circa dei reati accertati è concentrato nelle Regioni a tradizionale presenza mafiosa: Sicilia (con 1.650 reati), Campania (con quasi 1.500 reati), poi Puglia e Calabria. Napoli è la provincia con il maggior numero di illeciti, ben 368, più di uno al giorno; e ad ogni legislatura, puntualmente, arrivano proposte di condono edilizio a firma di deputati locali. Sempre Legambiente, con lo studio “Abbatti l’abuso, i numeri sulle mancate demolizioni nei Comuni italiani 2021” evidenzia che dal 2004 al 2020 è stato abbattuto solo il 33% degli abusi colpiti da un provvedimento amministrativo, con evidenti differenze tra Lombardia, Friuli-Venezia Giulia, Veneto, Piemonte e Campania, Sicilia, Puglia e Calabria. In queste quattro regioni sono state emesse oltre 14mila ordinanze di demolizione (con la Campania a guidare la classifica nazionale con quasi 7.000 provvedimenti di abbattimento) e ne sono state eseguite appena il 17%; qui l’abusivo ha quasi la certezza di farla franca. Ancor di più se l’immobile è stato costruito sulla costa: se si considerano solo i Comuni litoranei, infatti, la percentuale nazionale di abbattimenti cala al 24%. Ci sono “le Regioni del Sud – si legge nel rapporto – con un territorio pesantemente compromesso, in modo particolare lungo le coste, dove le case illegali non vengono abbattute, e quelle del Nord, dove l’irregolarità edilizia è costituita in larga parte da piccoli abusi e dove si fanno i controlli, si sanziona l’abuso e si demolisce”. Senza interventi strutturali sul fronte della prevenzione, la miscela esplosiva composta da fragilità idrogeologica e cambiamenti climatici, insieme al consumo di suolo (legale e illegale) e all’abusivismo edilizio, rischia di mettere sistematicamente in ginocchio il Paese, rendendo perenni le emergenze. Come in un brutto incubo.

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