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Finning: la caccia alla pinna di squalo distrugge interi ecosistemi

Finning: un branco di delfini con le pinne fuori dall'acqua
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Il business delle pinne di squalo, in Europa come nel mondo, è deleterio per gli ecosistemi marini. Il mercato è in costante crescita e ci sono persone disposte a pagare molto per una fresca pinna. Si stima che, ogni anno, si uccida oltre un milione di squali soltanto per le pinne. Il motivo principale di questa mattanza è dovuto alla tradizione che vede queste porzioni di squalo simboleggiare ricchezza e opulenza e, dunque, essere di buon auspicio quando si servono in tavola. Tra il 2021 e il 2022, in tutta Europa, circolò una petizione, ora depositata a Bruxelles, per aggiornare la normativa che punisce lo smercio delle pinne. Si attende ancora una risposta politica alle firme di Stop Finning EU.

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La barbara pratica del finning

Finning: foto subacquea di uno squalo
Il finning è una sentenza di morte tremenda per lo squalo, impossibilitato a nuotare nel suo ambiente naturale

Il termine inglese finning si può tradurre, in italiano, con la parola spinnamento. La pratica consiste nella rimozione delle pinne degli squali che, non di rado, si ributtano poi in acqua ancora vivi, causando all’animale una sofferenza atroce. Lo squalo privo di pinne, infatti, è incapace di nuotare. Il predatore finisce così per sprofondare, lentamente ma inesorabilmente, verso il fondale. In questo modo, muore di asfissia o diventa il pasto di altri predatori. Gli squali vengono spinnati perché, generalmente, la loro carne è considerata uno scarto e il valore economico della pinna supera, di gran lunga, quello della carcassa.

Questi organi sono un imprescindibile ingrediente nella preparazione della zuppa di pinne di squalo e si utilizzano anche nella medicina tradizionale cinese. Attorno al finning ruotano cifre da capogiro. La ricerca State of the global market for shark product della FAO, datata 2015, valutava il commercio mondiale di pinne in 377,9 milioni di dollari. L’incremento nei volumi del prodotto è pari al 42% rispetto al 2000. Oggi il mercato si è probabilmente arricchito ancora. Parte di questo commercio illegale tocca anche l’Europa, Mediterraneo compreso. Nel nostro mare transitano squali per un valore di circa 52 milioni di euro.

Lo IUCN SSC Shark Specialist Group (SSG), istituito nel 1991, fornisce un quadro ancor più agghiacciante. Il gruppo è nato in risposta alla crescente preoccupazione relativa all’impatto della pesca sulle popolazioni marine di squali e razze. Secondo l’SSG, il commercio di carne e pinne di squalo supera decisamente i dati ufficiali. Le stime trascurano infatti, in gran parte, la pesca di razze. In aggiunta, molte delle specie catturate non entrano neppure negli ingranaggi del commercio globale e legale. Il documentario Seaspiracy mette in evidenza molto bene questo aspetto.

La situazione italiana


La nostra cultura gastronomica, a prima vista, sembra essere lontana anni luce dal consumo di carne di squalo. In realtà, però, non è affatto così. Un report WWF su squali e razze, risalente al 2021, riporta che nel decennio 2009-2019 l’Italia è risultata prima nella lista globale degli importatori di carne di squalo. In termini di valore dei prodotti importati il nostro mercato è risultato il primo al mondo, non soltanto in Europa. Se analizziamo invece l’effettivo volume delle pinne smerciate, risultiamo essere il terzo presidio sul pianeta. Nel nostro Paese si consumano ben 10mila tonnellate di carne, tra squalo e razza, ogni anno.

L’impatto del finning sull’ecosistema marino

A causa della pesca intensiva e della sovrappesca a scopo di finning, negli ultimi 50 anni la popolazione mondiale degli squali si è ridotta del 71%. Si tratta di un terrificante impoverimento della fauna, tanto che tre quarti delle specie di squalo che conosciamo, e giocano un ruolo fondamentale negli ecosistemi marini che popolano, sono a rischio estinzione.

L’estinzione degli squali provocherebbe un’ecatombe. Questi animali, com’è noto, sono in cima alla catena alimentare marina e rappresentano dei veri e propri regolatori della vita stessa all’interno di mari e oceani. La diminuzione di questo maestoso pesce porterà inevitabilmente all’aumento dei pesci più piccoli. Questi, avendo pochi predatori sopra di loro, riusciranno a riprodursi e prosperare in modo più efficiente. Ciò non potrà che comportare una diminuzione delle prede di questi esseri viventi. A farne le spese, dunque, saranno principalmente i molluschi, autentici spazzini del mare e instancabili lavoratori, chiamati a eliminare le impurità contenute nell’acqua. Si chiama catena alimentare proprio perché è tutto saldamente collegato.

L’ecosistema, di fatto, può collassare su sé stesso, e mettere a repentaglio la vita sulla Terra, che dipende molto dal mare. Si tratta di una conseguenza estrema, ma la strada imboccata pare essere proprio questa. Nei mari d’Europa, e del mondo, tutte le specie di squali temono la pesca. Sanno infatti che li macellerà senza alcun ritegno. Lo squalo spinarolo e lo smeriglio sono specie vulnerabili, secondo l’attendibile IUCN Red List. Lo squalo angelo è addirittura in pericolo critico, in altre parole, a un passo dall’estinzione.

Per quanto riguarda le specie più pescate in Italia troviamo la razza, il palombo – anch’esso considerato vulnerabile – e il gattuccio, di cui è presente una popolazione stabile, per fortuna.

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Mattia Mezzetti

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