Chiudi
Cerca nel sito:

Fast fashion e inquinamento, l’impatto sul pianeta

Fast fashion: vestiti in esposizione
Condividi l'articolo

L’economia della moda passa ormai principalmente dal binario della fast fashion. È il mondo in cui viviamo. Desideriamo abiti nuovi e vari per le occasioni sociali o per il semplice gusto di indossare qualcosa di sgargiante? Si. Siamo lieti di spendere il meno possibile per rimpinguare il nostro guardaroba? Certo. Ecco allora i giganti della moda low cost venirci incontro. Su SHEIN basta poter spendere 3 euro per acquistare una maglietta semplice, in tinta unita, da abbinare a un’infinità di outfit casual. Navigando sul concorrente Temu, invece, possiamo acquistare un abito lungo nero, a 10 euro, adatto per una serata più formale, o nella quale desideriamo mostrarci eleganti.

In quest’industria la competizione è agguerrita, ma i clienti non mancano mai. I due colossi cinesi nominati, e i loro numerosi emuli, sono in grado di offrire capi di tendenza a prezzi più che competitivi. In aggiunta, spediscono in tutto il mondo. La moda non corre veloce, ma velocissima. La Cina è maestra nell’esportazione di detta merce. Gli incassi di questi sconfinati e-commerce lo dimostrano e la tigre asiatica è leader mondiale nel settore. Eppure, una buona fetta della clientela occidentale comincia a domandarsi quanto impatti questo modello e fino a che punto sia effettivamente sostenibile per il pianeta che ci ospita.

Leggi anche: “Fast fashion: una fonte di microplastiche nell’ambiente

Indice dei contenuti

Il modello fast fashion

Quello che ha reso SHEIN la macchina per guadagni che è, e che Temu sta cercando di replicare, è la capacità di intercettare i gusti, le mode e le tendenze di abbigliamento del momento. Se questa capacità è però comune a gran parte degli imprenditori che operano nel mercato del fashion, non tutti possono vantare la stessa possibilità del gigante cinese di sfornare capi a una velocità vertiginosa.

Si consideri la seguente rilevazione di Bloomberg Second Measure per capire l’impatto recente di SHEIN sul mercato statunitense della moda. L’azienda, nel 2020, occupava una quota di mercato pari al 12%. Nel 2022 ha raggiunto il 50%. Non appena avremo i dati 2023, potremmo verificare se, com’è probabile, la popolarità del marchio sia aumentata ulteriormente. In Europa la potenza di fuoco di SHEIN sembra essere meno dirompente, ma il fatto che la valutazione dell’e-commerce abbia raggiunto i 100 miliardi di dollari (una cifra superiore alla somma dei valori di Inditex ed H&M, due dei suoi principali competitor, messi assieme) ci fa capire di che tipo di business stiamo parlando.

Gli utenti mondiali del solo SHEIN sono 150 milioni. Il sito propone ogni 24 ore 6mila nuovi prodotti, tra capi di abbigliamento e accessori. Il prezzo medio di un articolo sulla piattaforma è di circa 7 euro. Se consideriamo che l’azienda ha poco più di 10 anni di vita, ci accorgiamo di quanto sia stato esplosivo il suo successo. Non solo. Gli obiettivi aziendali ci parlano di un fatturato di circa 60 miliardi di dollari per il 2025, derivante da una clientela di 261 milioni di consumatori. Imprenditorialmente, il caso SHEIN racconta di un’azienda vincente. Quello che però questi invidiabili numeri non ci narrano è quanto costi all’ambiente un’operatività del genere.

Fast fashion: due ragazzi provano dei cappelli da cowboy
Vestiti e accessori di fast fashion si caratterizzano per un prezzo basso e una qualità scadente.

Fare tendenza inquina

Non è più un segreto per nessuno che l’industria della moda sia tra le più inquinanti al mondo. Si stima che le vada associata una quota vicina al 10% delle emissioni di gas serra prodotte ogni anno a livello globale. Il consumo d’acqua di cui si rende colpevole ammonta a 93 miliardi di metri cubi ogni 12 mesi. L’impatto dell’indotto era preoccupante da anni. Ora, con l’avvento del fast fashion, si è fatto catastrofico. Questo modello di business ha portato allo stremo il consumo di risorse e la produzione di rifiuti.

Teniamo in considerazione che produciamo, in un anno solare, tra gli 80 e i 100 miliardi di nuovi capi. Ciò significa che ognuno di noi potrebbe acquistare 14 nuovi articoli ogni 12 mesi. Va da sé che la loro qualità deve essere piuttosto scadente, se si vogliono spingere le persone a continuare ad acquistarne di nuovi. Se un numero così elevato di vestiti e accessori entra sul mercato, quanti ne vengono gettati via? I dati della Commissione Europea sono piuttosto impietosi. Annualmente, i rifiuti da calzature e abbigliamento ammonterebbero a 5,2 milioni di tonnellate. Parliamo di 12 chili per ogni cittadino europeo.

Se qualcuno tra chi legge fatichi a visualizzare una tale quantità di indumenti, pensi che, di fatto, è come se ogni secondo svuotassimo nei rifiuti un camion colmo di vestiti. Nella sola discarica a cielo aperto cilena, situata nel deserto di Atacama, troviamo 741 acri coltivati, per così dire, a magliette, jeans, camicie e altri abiti. La maggior parte di essi sono stati indossati e dismessi ma una buona parte è nuova, gettata perché rimasta invenduta.

Dal fast fashion alla moda sostenibile

Questi dati stridono moltissimo con la pianificazione ambientale che sentiamo continuamente ripetere dalla politica. L’Unione Europea ha messo per iscritto una strategia che dovrebbe portare a un’industria più sostenibile, entro la fine del decennio. A oggi, appare davvero difficile che tale risultato possa essere raggiunto. E siamo già nel 2024, sebbene soltanto da qualche giorno.

Numerosi brand del segmento fast fashion hanno affermato di volersi conformare alle crescenti esigenze di sostenibilità. Sono stati varati programmi di riciclo, nonché processi produttivi più attenti all’ambiente e si è posto l’accento su una maggiore responsabilità sociale. A oggi, però, la situazione resta ancora quella descritta nel paragrafo precedente. Sarà difficile non considerare queste intenzioni soltanto proclami di greenwashing, almeno finché non vedremo tali aziende mettere in pratica qualcosa di più concreto.

Leggi anche: “Fashion swap: alla scoperta del fenomeno eco-friendly del momento

Condividi l'articolo
Mattia Mezzetti

Ultime Notizie

Cerca nel sito