Lo si può chiamare fashion swap, clothing swap, o più semplicemente swapping. È un modo intelligente ed ecologico di liberare gli armadi dai capi di abbigliamento che non indossiamo più per ottenerne in cambio altri, in maniera gratuita. La tendenza arriva dagli Stati Uniti, da quell’alta società di Manhattan che abbiamo imparato a conoscere bene in tv e al cinema. Ormai diffuso in tutto il mondo, il fashion swap riscuote buon successo anche nella nostra Italia.
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Le origini del fashion swap
Il fenomeno mondiale dello swapping è nato come iniziativa delle élite newyorchesi della moda. Dapprima era un rito che si svolgeva privatamente, alla presenza di persone selezionate e legate da stima e amicizia. I cosiddetti swap party da salotto hanno poi attraversato gli oceani, diffondendosi tanto in Europa quanto in Oriente. Quando poi siti internet e negozi hanno cominciato a proporre lo scambio di vestiti, il fenomeno ha lasciato la sfera privata e conquistato quella pubblica.
Con testimonial come Gwyneth Paltrow e Victoria Beckham, il fashion swap ha fatto subito presa tra le cosiddette fashion victim, tutte quelle persone appassionate di moda e attente al proprio look. In effetti, questa iniziativa può aggiornare rapidamente, e in maniera economica, ogni guardaroba, risolvendo due problemi considerevoli a chiunque desideri indossare frequentemente qualcosa di nuovo. Non è poi certo sottovalutabile il fatto che questi indumenti non vengono acquistati, bensì rimessi in circolo, limitando la produzione di nuovi vestiti, specie di quelli figli dell’inquinante filiera della fast fashion.
Se volessimo semplificare, potremmo definire il fashion swap come un vero e proprio baratto di indumenti. To swap, infatti, in inglese significa proprio scambiare. Perché spendere per acquistare nuovi capi e gettare via i vecchi quando posso scambiarli con persone che avranno piacere di indossarli? Barattare i vestiti che non indossiamo più, per altri nella stessa condizione, fa bene sia al portafoglio sia al pianeta.
Il fashion swap in Italia
Il fashion swap ha attraversato l’Atlantico per giungere nel nostro Paese – e prettamente nelle grandi città: Milano, Torino, Roma, Napoli… – cavalcando l’onda dell’economia di condivisione. La sharing economy è infatti molto popolare tra i giovani adulti e gli adolescenti. A persone abituate a condividere appartamenti, auto ed esperienze non dà alcun problema riutilizzare abiti e accessori.
Swappers: chi sono?
Il target principale di queste iniziative è femminile e giovane. Gli swappers – così si chiamano i partecipanti a uno swap party – sono tendenzialmente donne interessate alla moda e allo stile, tra i 25 e i 55 anni.
Studentesse, casalinghe, libere professioniste, frequentatrici di mercatini dell’usato e appassionate di vintage clothing… Indipendentemente dal percorso di vita di ognuna, molte donne sono attratte da questi eventi. E la platea delle swappers si sta allargando. Sempre più spesso, si incontrano anche diciottenni che frequentano gli swap party con dedizione.
Organizzare uno swap party
Il buon successo di un fashion swap party, o soltanto swap party, ovvero una serata dedicata allo scambio di vestiti e accessori tra i partecipanti, si deve principalmente al numero di intervenuti. Perché l’evento risulti quanto più piacevole e gratificante possibile, è infatti necessario che vi sia un buon numero di oggetti tra cui poter scegliere.
Secondo le regole più diffuse, ogni partecipante porta un numero di elementi da barattare che non sia inferiore ai 3 e superiore ai 6, per garantire un buon equilibrio tra facilità di trasporto e completezza dell’offerta proposta. All’infuori di questa norma pressoché universale è lo swap manager, ovvero colui o colei che organizza e coordina il party, a stabilire le misure della valutazione e redarre il regolamento degli scambi. È possibile barattare a seconda della categoria dell’oggetto, del suo valore, o di altri meccanismi di punteggio stabiliti di iniziativa in iniziativa.
Questi eventi sono spesso organizzati nel cambio stagione, quando c’è più necessità di capi di abbigliamento, e seguono un galateo dettato principalmente dal buon senso. A una iniziativa di fashion swap si portano soltanto indumenti puliti e in buono stato e si evitano vestiti troppo personali come intimo, lingerie o costumi da bagno.
Tutti i vantaggi ambientali del fashion swap
I vantaggi ambientali del fashion swap sono considerevoli. La rivista Fashion Network ha calcolato, in un focus pubblicato nel 2022, che in Europa, ogni anno, vengono gettati via circa 6 milioni di abiti, qualcosa come 11,3 kg di indumenti per ogni abitante del vecchio continente. Un simile dato è sufficiente per illustrare come i vestiti che indossiamo ogni giorno, la nostra seconda pelle, rappresentino un problema per il pianeta.
Dobbiamo cambiare le nostre abitudini e migliorare il rapporto con l’abbigliamento, smettendo di considerarlo usa e getta. Barattare quanto indossiamo è un valido modo per farlo. Adottando un sistema basato sullo scambio e riciclo di indumenti, come il fashion swap, risparmiamo milioni di litri di acqua – indispensabile in catena di produzione – ed emettiamo tonnellate di CO2 in meno. Pensiamoci, la prossima volta che adocchiamo quel capo che ci starebbe proprio così bene.
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