L’acqua dissalata in Italia rappresenta il 6% della produzione giornaliera europea. La dissalazione può diventare un importante fattore di approvvigionamento idrico. Ma gestione degli scarti e consumi energetici vanno migliorati.
In Italia grazie alla dissalazione delle acque marine si ottengono circa 650 mila metri cubi di acqua dolce al giorno: si tratta dei consumi medi di quasi 3 milioni di italiani. L’acqua dissalata in Italia rappresenta il 6% della produzione giornaliera europea e lo 0,6% di quella mondiale (che vale 108 milioni di metri cubi al giorno). Arriva da 340 impianti di dissalazione, quasi tutti localizzati nelle piccole isole (poco meno della metà realizzati dopo il 2000) e viene impiegata in larghissima parte, il 68%, dall’industria. Di dissalazione si occupa il think tank The European House – Ambrosetti che sta lavorando alla realizzazione della quinta edizione del libro bianco “Valore Acqua per l’Italia”. “La dissalazione ha le potenzialità per diventare una delle soluzioni di un sistema integrato di approvvigionamento idrico nel nostro Paese – spiega Valerio De Molli, Managing Partner e CEO di The European House-Ambrosetti – Ma non può essere l’unica soluzione al problema delle siccità: va inserita in una rosa di soluzioni per uscire da una logica emergenziale e trattare il tema dell’acqua con un respiro di lungo periodo”.
Dissalazione: cosa è e dove viene impiegata
La dissalazione è l’insieme dei processi che privano l’acqua di mare del suo sale e la rendono acqua dolce. Sono diverse, e sempre in evoluzione, le tecnologie per la dissalazione: da una parte quelle a membrana (osmosi inversa, elettrodialisi, nanofiltrazione), dall’altra la dissalazione termica, conimpianti che fanno evaporare e poi condensare l’acqua.
La capacità globale di dissalazione, ricorda ancora The European House-Ambrosetti, si basa su quasi 23 mila impianti attivi ed è concentrata soprattutto in Medio Oriente (con il 39% del totale), davanti a Stati Uniti (18%), Unione europea (11%) e Africa (8%). Il mercato della dissalazione vale oggi 13,6 miliardi di euro, per una capacità produttiva che aumenta di poco meno del 7% all’anno.
Quali sono i limiti della dissalazione
Desalinizzare l’acqua marina è una delle soluzioni da mettere in campo, ma il processo non è immune da problemi. Produzione di salamoia e consumo energetico sono le principali barriere all’espansione della desalinizzazione, secondo uno studio del 2019 firmato da ricercatori della United Nations University, dell’olandese Wageningen University e dello Gwangju Institute of Science and Technology (GIST) coreano e pubblicato su Science of The Total Environment.
“Una delle principali sfide associate alle tecnologie di desalinizzazione – si legge nello studio – è la gestione di un concentrato tipicamente ipersalino (la “salamoia”) che deve essere smaltito, il che è sia costoso che associato a impatti ambientali negativi”. Lo studio stima una produzione globale di salamoia di circa 142 milioni di metri cubi al giorno, il che rende necessario migliorare le strategie di gestione della salamoia, per limitare gli impatti ambientali negativi e ridurre il costo economico dello smaltimento. Uno studio firmato da ricercatori dello NYUAD Water Research Center della New York University di Abu Dhabi e del Centre for Water Advanced Technologies and Environmental Research (CWATER) della britannica Swansea University afferma che “l’utilizzo dell’acqua di mare per scopi potabili è limitato dall’elevato consumo energetico specifico delle attuali tecnologie, sia termiche che a membrana”. Nel 2016, l’Agenzia internazionale per l’energia (IEA) spiegava che nei Paesi del Medio Oriente la desalinizzazione ha rappresentato il 3% dell’approvvigionamento idrico ma il 5% del suo consumo energetico totale. In più, in virtù dei bassi prezzi di petrolio e gas, due terzi dell’acqua prodotta dalla desalinizzazione nell’area medio-orientale provengono oggi da una desalinizzazione termica basata su combustibili fossili.
La siccità si contrasta anche con il recupero dell’acqua piovana e il riuso delle acque di depurazione
Per combattere la siccità, The European House promuove un approccio integrato alla tutela della risorsa idrica, che oltre alla dissalazione prevede:
- potenziamento degli invasi per la raccolta delle acque meteoriche;
- riutilizzo delle acque di depurazione a fini irrigui e industriali;
- riduzione degli sprechi.
L’Italia ha la capacità oggi di recuperare solo 5,9 miliardi di metri cubi di acque meteoriche (11% del totale) a fronte di una disponibilità potenziale di 54 miliardi di metri cubi. Le grandi dighe sono le infrastrutture più datate del nostro territorio: hanno un’età media di 58 anni, ma in alcuni casi raggiungono i 92 anni (in Liguria) e oltrepassano gli 80 (in Valle d’Aosta e Piemonte). Le più recenti sono in Puglia e Molise, con un’età media di 41 e 35 anni. Negli ultimi 10 anni sono state attivate solo 2 dighe di grandi dimensioni.
“Un’altra dimensione su cui agire – aggiunge De Molli –è il riuso. Rispetto alla gestione pubblica, quella industriale favorisce il riuso delle acque depurate per oltre 23 punti percentuali in più. I 18.000 impianti di depurazione raddoppieranno nel breve-medio periodo, ma rimane da gestire il tema della destinazione delle acque reflue: solo il 4% è oggi destinato al riuso diretto, 6 volte in meno della Spagna e 4 volte in meno rispetto alla Francia”.