I consumi europei sono responsabili del 10% della deforestazione che avviene a livello globale. Per questo il Parlamento europeo ha approvato una legge che impone alle aziende di garantire che i prodotti commercializzati all’interno dell’Unione non causino deforestazione.
Cacao, caffè, olio di palma, soia, bestiame, legno, gomma, carbone e carta stampata: per la commercializzazione in Europa di questi prodotti sono in arrivo nuove norme. Nell’elenco anche una serie di derivati o di prodotti realizzati a partire da quelli citati, come mobili e cuoio, cioccolato e derivati dall’olio di palma. Il Parlamento europeo ha, infatti, approvato in via definitiva e a larga maggioranza una legge che impone alle aziende di garantire che i prodotti venduti nell’Unione europea non siano all’origine di deforestazione. Un provvedimento volto a contrastare i cambiamenti climatici e la perdita di biodiversità, che cerca di mettere un argine alla piaga dell’abbattimento delle foreste che ha raggiunto proporzioni gigantesche e continua a ritmo incessante, nonostante gli avvertimenti scientifici sul fatto che ecosistemi come quello amazzonico potrebbero presto collassare. Tra il 1990 e il 2020, secondo dati FAO, la deforestazione ha interessato una superficie più grande di quella dell’intera Unione europea, con 420 milioni di ettari di foreste convertiti in terreni per uso agricolo. E l’argine che ha intrapreso di costruire Bruxelles è piccolo ma non irrilevante: sempre secondo stime FAO, i consumi europei sarebbero responsabili di circa il 10% della deforestazione globale.
Contrasto alla deforestazione: cosa prevede la normativa europea
Secondo la nuova normativa europea, le imprese potranno vendere solo i prodotti per i quali sia stata rilasciata dal fornitore una dichiarazione che attesti che il prodotto non proviene da terreni deforestati e non ha contribuito al degrado di foreste, comprese le foreste primarie insostituibili, dopo il 31 dicembre 2020. Ma non solo. I deputati hanno richiesto anche l’introduzione dell’obbligo, per le imprese, di verificare che i prodotti siano conformi alla legislazione dei Paesi di produzione in materia di diritti umani e che siano stati rispettati i diritti delle popolazioni indigene interessate. È stata, inoltre, ampliata la definizione di degrado forestale, che ora comprende la conversione delle foreste primarie, o di quelle rigenerate naturalmente, in piantagioni forestali o altri terreni boschivi. I controlli avverranno in base al rischio attribuito a ogni Paese (o parte di esso) dalla Commissione europea, in base ad una valutazione da realizzare entro 18 mesi dall’entrata in vigore del nuovo regolamento. La Commissione attribuirà ai vari Paesi un livello di rischio basso, standard o alto; per i prodotti provenienti da Paesi a basso rischio sarà prevista una procedura di due diligence semplificata. I controlli sugli operatori avverranno in funzione del livello di rischio del Paese: 9% per quelli ad alto rischio, 3% per i Paesi a rischio standard e 1% per quelli a basso rischio. Le sanzioni in caso di violazione delle nuove regole prevedono un’ammenda massima pari al 4% del fatturato annuo totale dell’operatore all’interno dell’Unione europea.
Quanto costa fermare la deforestazione
La Commissione mondiale per le transizioni energetiche (ETC) ha pubblicato il rapporto Financing the Transition: the costs of avoiding deforestation che conferma l’importanza del contrasto della deforestazione: per proteggere le aree di foresta tropicale più a rischio, entro la fine del decennio sono necessari almeno 130 miliardi di dollari all’anno, oltre alla riduzione del consumo di carne e latticini e divieti governativi sulla deforestazione. Attualmente, i finanziamenti per la protezione delle foreste si aggirano in media, secondo il rapporto, tra i 2 e i 3 miliardi di dollari all’anno. Ma devono essere rapidamente incrementati se i Governi vogliono raggiungere l’obiettivo di arrestare la deforestazione entro la fine di questo decennio; un obiettivo non vincolante, concordato da più di 140 leader mondiali alla Cop26 nel 2021, fondamentale per limitare il riscaldamento globale al di sotto dei 2°C e arrestare la perdita di biodiversità. Il rapporto stima che eliminare l’incentivo economico a distruggere le foreste per l’allevamento del bestiame, l’agricoltura e altri usi costerebbe almeno 130 miliardi di dollari all’anno. Il denaro potrebbe arrivare dai mercati del carbonio, dai governi ricchi e da donazioni filantropiche, ma è anche necessario intraprendere azioni urgenti come il divieto di disboscamento delle foreste, lo sviluppo di imprese legate alle foreste in vita e la riduzione della domanda di prodotti di base legati alla deforestazione. Il cambiamento di destinazione d’uso dei terreni è la seconda fonte di emissioni umane di gas serra e uno dei principali fattori di perdita di biodiversità e di degrado degli ecosistemi. “Finché il mondo consumerà sempre più carne rossa, ci sarà un incentivo a disboscare altre aree di foresta tropicale. Se arrivassero quei 130 miliardi di dollari, potrebbero fare una differenza sostanziale, ma non si porrebbe completamente fine a questa situazione. Il rischio è che si ripresenti negli anni futuri” ha dichiarato al Guardian il presidente della Commissione per le transizioni energetiche, Adair Turner. “Questo è un settore in cui quantificare ciò che si spende e ciò che si ottiene è molto più difficile che in altri. Se si volesse davvero spendere per arrestare la deforestazione, con un trilione di dollari all’anno probabilmente ci si riuscirebbe. Ma se si stanziano 10 miliardi di dollari, che è la cifra emersa dal G7, non ci si può illudere”, ha aggiunto Turner. Molte aziende leader acquistano crediti di carbonio basati sulla protezione delle foreste pluviali e i Governi stanno perseguendo sempre più accordi a livello nazionale per prevenire la perdita di foreste, come l’accordo del 2022 tra Norvegia e Indonesia. Ma l’analisi ha rilevato che molti progetti di compensazione delle foreste pluviali hanno avuto scarso successo nel fermare la deforestazione.