L’istituzione di un fondo loss and damage per la riparazione dei danni causati dal cambiamento climatico ai Paesi più poveri e vulnerabili è la vera novità portata dalla COP27 di Sharm El-Sheikh. Intervista con Mauro Albrizio, Ufficio europeo di Legambiente.
Alle politiche e ai meccanismi di mitigazione e adattamento, la COP27 (la Conferenza delle parti della Convezione Onu sul climate change) che si è da poco conclusa in Egitto ha aggiunto un terzo pilastro per lottare contro il mutamento climatico: un fondo loss and damage, un meccanismo risarcitorio per la riparazione, da parte dei Paesi industrializzati, dei danni avvenuti o da venire nei Paesi più poveri e vulnerabili. Ne abbiamo parlato con Mauro Albrizio, direttore dell’Ufficio europeo di Legambiente a Bruxelles, che segue dalla loro istituzione le conferenze internazionali delle Nazioni Unite sul clima.
Albrizio, al Summit di Rio nel 1992 si stabilisce il principio delle responsabilità comuni ma differenziate e già a Bali, nel 2007, compare l’espressione loss and damage. Ma finora non se n’era fatto niente. Perché?
“L’istituzione del fondo loss and damage, sino allo storico accordo di Sharm El-Sheikh, era stata osteggiata con la infondata motivazione che esistevano già altri strumenti finanziari per aiutare i Paesi più poveri e vulnerabili colpiti dai disastri climatici. Aiuti che, purtroppo, non sono mai arrivati”.
Il progetto del loss and damage dovrà essere presentato alla prossima COP, con l’ulteriore attesa di un anno. Un altro modo per prendere tempo?
“No. Con l’accordo di Sharm El-Sheikh il fondo è stato finalmente istituito. Nei prossimi mesi si dovranno definire i criteri di eleggibilità per l’accesso alle risorse del fondo e l’allargamento della base dei donatori anche alle economie emergenti, oltre che a quelle industrializzate. Una prima importante tappa dei negoziati per l’operatività di questo meccanismo sarà la sessione preparatoria di Bonn del prossimo giugno”.
Non è troppo tardi e troppo poco? Quanti soldi servono?
“Senza dubbio ci sono stati forti ritardi. Ma non va sottovalutata la portata storica dell’istituzione del fondo loss and damage, atteso da 30 anni; ora si deve recuperare il tempo perduto e renderlo operativo al più presto. Il fondo sarà alimentato da diverse fonti di finanziamento viste le considerevoli risorse finanziarie necessarie: si stima che entro il 2030 siano necessari circa 290-580 miliardi di dollari aggiuntivi agli aiuti per l’adattamento. Come ha proposto il Segretario generale Guterres all’ultima Assemblea delle Nazioni Unite, queste risorse possono essere reperite anche attraverso la tassazione degli extra-profitti delle imprese fossili, tenendo presente che tra il 2000 e il 2019 hanno realizzato profitti per oltre 30mila miliardi di dollari”.
È vero che sono state avanzate da parte delle ong richieste di modifica dei meccanismi di compensazione perché in realtà non sono efficaci?
“I Paesi in via di sviluppo, sostenuti da tutte le organizzazioni della società civile, si sono battuti in tutti questi anni per una riforma dell’architettura finanziaria che sia in grado di dare risposte concrete alla crescente domanda di giustizia climatica. Non solo aiuti per la mitigazione e l’adattamento, ma anche un nuovo strumento finanziario per sostenere la ricostruzione economica e sociale delle comunità povere e vulnerabili messe in ginocchio dai disastri climatici sempre più frequenti. Obiettivo finalmente raggiunto a Sharm El-Sheikh”.
Hai seguito tutte e 27 le COP. Qual è il tuo bilancio complessivo?
“L’indisponibilità della Presidenza egiziana a includere nell’accordo finale alcun riferimento sul phasing-out dei combustibili fossili, sostenuta soprattutto da Arabia Saudita ed Iran, con il supporto di oltre 600 lobbisti dell’industria fossile, ha portato la COP27 sull’orlo del fallimento. Si è solo riusciti a confermare l’impegno minimalista assunto a Glasgow nel novembre 2021 di una riduzione graduale dell’utilizzo del carbone in impianti senza la cattura e lo stoccaggio di CO2. È stata salvata ai tempi supplementari grazie allo storico accordo per istituire il fondo loss and damage”.
La guerra in Ucraina quanto è pesata nel dibattito della COP27?
“La crisi energetica dovuta alla guerra russa in Ucraina è stata senza dubbio l’alibi dietro il quale si sono nascosti gli interessi della lobby dell’industria fossile, che non hanno consentito alcun passo in avanti sul phasing-out dei combustibili fossili. Nello stesso tempo va sottolineato l’isolamento della Russia durante tutti i negoziati. E soprattutto il rinnovato rapporto di fiducia tra Paesi ricchi, emergenti e poveri, grazie all’accordo sul nuovo fondo loss and damage. Accordo che dimostra che solo con l’azione collettiva di un rinnovato multilateralismo è possibile vincere le sfide globali che abbiamo di fronte e dare un contributo concreto alla costruzione di un futuro di pace e sicurezza. A partire dall’impegno comune per fronteggiare l’emergenza climatica”.