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Cop29: le conclusioni della conferenza sul clima

Cop29: un'aula con sedie vuote
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A fine novembre si è tenuta la conferenza sul clima denominata Cop29. Il vertice annuale ha lo scopo di porre le basi per la transizione energetica planetaria, a partire dalle considerazioni basate sulla scienza, la quale afferma che non possiamo più basare il nostro sistema sociale ed economico su stili di vita tanto impattanti per il pianeta Terra. Il summit è andato in scena a Baku, capitale dell’Azerbaigian, uno degli Stati più dipendenti dal petrolio al mondo. Già questa considerazione ci fa capire la serietà dell’appuntamento. Nella notte dell’ultimo giorno si è trovata la quadra sulla finanza climatica a partire dal 2026. Le misure, però, sono contestatissime da attivisti e comunità scientifica.

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Cop29, una conferenza molto discussa

La COP29 ha deciso un nuovo obiettivo di finanza per il clima. Lo ha fatto al termine di 2 settimane di negoziati spesso molto tesi. L’esito scontenta molte delegazioni. Sono stati concessi appena 300 miliardi di dollari l’anno alle economie meno salde, a partire dal 2035. Secondo gli esperti dell’Onu, il minimo per consentire a questi Paesi di riconvertire il loro sistema economico sarebbe 390 miliardi. Il secondo obiettivo, quello complessivo, è la racimolazione di 1.300 miliardi. A contribuire saranno tutti i Paesi. Si tratta di una novità considerevole: fin dal 1992 è sempre stato ribadito che solo i paesi ricchi avrebbero sostenuto la finanza climatica.

Cosa significa, in termini concreti? Per la prima volta nella storia delle COPora potrebbe (e dovrebbe) contribuire anche un Paese come la Cina. La sua economia rivaleggia con gli Stati Uniti, ma il suo bilancio di emissioni di gas serra è più di 3 volte quello dell’Europa. E che dire dei Paesi mediorientali produttori di petrolio e gas, come l’Arabia Saudita? Anche questi potrebbero sostenere le spese necessarie. Il loro contributo sarà oltremodo necessario se Donald Trump farà di nuovo uscire l’America dall’Accordo di Parigi, come ha già promesso durante l’ultima, trionfale campagna elettorale.

La principale decisione presa

La finanza per il clima era il tema principale nell’agenda della COP29. L’ordine del giorno non comprendeva molte altre voci. A Baku si doveva decidere il quadro della finanza climatica post 2025. In particolare, come modificare l’obiettivo di 100 miliardi di dollari l’anno che i Paesi più ricchi si erano impegnati a versare a quelli ancora in via di sviluppo entro il 2020, e fino al 2025. Tale cifra, tra l’altro spesso non versata, appare oggi chiaramente insufficiente a fare da volano alla transizione energetica planetaria.

La conferenza sul clima in Azerbaigian è riuscita, pur con molta fatica, a definire il nuovo target. Esso è stato definito, in gergo, come il Nuovo Obiettivo Collettivo Quantificato (New Collective Quantified Goal, NCQG). In definitiva, come ci si poteva attendere, l’hanno spuntata i Paesi industrializzati. Gran parte dell’accordo finale è in linea con le loro richieste e ciò non lascia ben sperare, visto che la situazione è la medesima che abbiamo avuto finora e siamo già in colpevole ritardo su ogni obiettivo.

Si può parlare di rivoluzione di approccio?

Cop29: una donna semina nel suo campo
Sebbene non si siano visti grandi risultati, a Cop29 va riconosciuto il merito di aver cambiato paradigma, responsabilizzando di più i Paesi in via di sviluppo

Questa decisione sul NCGQ non va sottovalutata e, per alcuni analisti, sarebbe addirittura storica. Essa rivoluziona infatti l’impostazione di 30 anni di conferenze sul clima. Nell’ambito della Convenzione Quadro Onu per il contrasto del cambiamento climatico (UNFCCC), dal 1992 gli Stati membri si suddividono in 2 gruppi: sviluppati e in via di sviluppo. Finora, nel rispetto di un principio fondatore dei negoziati sul clima detto delle responsabilità comuni ma differenziate (CBDR), erano esclusivamente i Paesi industrializzati, dunque quelli sviluppati, ad avere l’obbligo di contribuire alla finanza climatica.

Con l’accordo raggiunto ora, si è sancito che anche chi si trovi in via di sviluppo debba contribuire alla finanza climatica, qualora ne abbia la capacità. In questo modo, sarà più semplice spingere paesi come Cina e Arabia Saudita, dalle adeguate potenzialità contributive, a fare la loro parte. Non vi è nessun obbligo, beninteso, almeno per ora, ma la loro posizione è drasticamente cambiata.

Novità e contestazioni di Cop29

Gli accordi trovati a Cop29 rivoluzionano la finanza climatica. Essi includono finalmente tutti i Paesi come potenziali contributori. La roadmap da Baku a Belem (in Brasile, dove si terrà Cop30) prevede di mobilitare rapidamente i fondi e revisionare gli obiettivi già nel 2030. Tuttavia, la concertazione resta controversa per via del basso livello di ambizione e della mancanza di obblighi chiari.

Svariate delegazioni del Sud globale, Nigeria e India in primis, lo giudicano inadeguato. Esse accusano la presidenza di aver ignorato il principio del consenso con cui si approvano gli accordi sul clima. La cifra di 300 miliardi è ritenuta troppo bassa e il testo manca di equità, trascurando decisamente le necessità di chi è più vulnerabile.

Non serve un occhio esperto per determinare quanto il testo finale appaia debole e privo di impegni concreti. Non si citano mai gli obiettivi chiave di Parigi, le emissioni nette zero o il taglio del 43% delle emissioni entro il termine del decennio. Si ignorano riferimenti ai combustibili fossili e non sono state incluse misure specifiche per la riduzione delle emissioni globali.

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Mattia Mezzetti

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