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Comunità energetiche in Italia: problemi e potenzialità

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La realizzazione delle comunità energetiche è un passo importante verso la transizione energetica. Ma per raggiungere gli obiettivi europei di decarbonizzazione dell’economia abbiamo bisogno anche di grandi impianti rinnovabili da decine di MW.

Costituiscono un importante passo avanti verso uno scenario energetico basato sulle rinnovabili, la generazione distribuita e le reti intelligenti. Le comunità energetiche, possibili nel nostro Paese grazie alla conversione in legge del Decreto Milleproroghe 162/2019, sono associazioni tra cittadini, attività commerciali, pubbliche amministrazioni o piccole e medie imprese che decidono di unire le proprie forze per dotarsi di uno o più impianti condivisi per la produzione e l’autoconsumo di energia da fonti rinnovabili. In Italia era in effetti già possibile, per i singoli cittadini o per gruppi di aziende, unirsi per finanziare l’installazione di un impianto condiviso e alimentato da fonti rinnovabili, ma non era previsto che tale impianto potesse fornire energia a più utenze. Kyoto Club è un’associazione no profit interlocutore di decisori pubblici, nazionali ed europei, impegnati nel raggiungimento degli obiettivi di riduzione delle emissioni di gas-serra assunti con il Protocollo di Kyoto, con le decisioni europee e con l’Accordo di Parigi del dicembre 2015, promotrice di azioni e proposte di intervento nel settore energetico-ambientale. Facciamo il punto della situazione sulle comunità energetiche con il suo vice presidente, Francesco Ferrante.

Francesco Ferrante, siamo a buon punto con lo sviluppo delle comunità energetiche dopo l’aggiornamento delle regole tecniche di aprile?

“No, non basta. Siamo in attesa del bando del MiTe per i piccoli Comuni previsto dal Pnrr: una misura esplicitamente dedicata a loro, per un totale di 2,2 miliardi di euro. E di questo bando ancora non abbiamo notizie. Per altro, non solo su questa partita ma, più in generale, non si stanno facendo consultazioni preventive. E questo non va bene. Il Governo, invece di confrontarsi preventivamente con i Comuni, che sono quelli che poi parteciperanno, emanerà – non sappiamo quando e non sappiamo come – un bando. Bisognerà vedere com’è fatto, sperando che sia fatto bene e le esperienze precedenti non vanno in questa direzione. Il bando per i piccoli Comuni di sostegno alle iniziative culturali emanato dal Ministero della Cultura, per esempio, ha sollevato parecchie critiche”.

Tempi di pubblicazione del bando del Mite: cosa si sa?

“Le aspettative sono che venga pubblicato alla fine del mese di giugno. Oggi, però, non sono affatto certo che questo tempo sia rispettato. Anche perché questa mancanza si incrocia con un’altra: quella del decreto che stabilirà in via definitiva la quantità degli incentivi e le modalità di erogazione. Ad oggi esistono soltanto quelli che erano previsti nella norma, diciamo sperimentale, che riguardava le piccole comunità, quelle che si potevano legare alla cabina secondaria, previste dal Decreto milleproroghe di qualche anno fa”.

Manca la cifra dell’importo globale stanziabile?

“L’importo globale per i piccoli Comuni è fissato in 2,2 miliardi di euro. Poi però le comunità energetiche non è che si possono fare soltanto nei piccoli Comuni, si fanno ovunque: manca l’importo dell’incentivo riconosciuto per tutte le comunità energetiche. Adesso è vigente l’incentivo provvisorio, previsto per le comunità energetiche sperimentali. Non c’è quello per le comunità energetiche definitive, quindi ci si basa sui vecchi incentivi. Però è evidente che tutti quanti stanno aspettando la definizione dei nuovi incentivi, quelli che verranno previsti per le comunità energetiche più grandi, che si legheranno alle cabine primarie, ossia quelle che possono arrivare ad 1 MW di potenza. È una potenza importante, che potrà collegare molti cittadini e molte imprese, mentre le comunità sperimentali erano piccole: erano sperimentali, lo dice il nome stesso. Siamo ancora in mezzo al guado. Questo non significa che si stia fermi, perché sono molti quelli che si stanno preparando, sia dal lato delle imprese, sia da quello dei Comuni, sia da quello del terzo settore, che stanno provando a organizzare le comunità energetiche. Nel momento in cui sarà tutto definito si potrà finalmente partire”.

Chi avrebbe dovuto sentire il Mite, per le consultazioni preventive sul bando per i piccoli Comuni?

“Innanzitutto avrebbe dovuto sentire i Comuni, che sono i beneficiari, e le loro rappresentanze di interesse, a partire dall’Anci a quelle delle reti informali come i Borghi più belli d’Italia e i Borghi autentici e altre, che possono spiegare quali sono le difficoltà, in questo caso amministrative, che sarebbe bene lo Stato centrale sentisse, prima di emanare il decreto. Poi, a mio avviso, sarebbe opportuno consultare anche gli operatori per conoscere direttamente da loro le criticità, le difficoltà tecniche. Sarebbe altrettanto importante”.

A regime, le potenzialità delle comunità energetiche sono alte?

“Le potenzialità in termini di diffusione sono molto alte, e sono alte anche in termini di crescita culturale. Anche per affrontare problemi di povertà energetica in alcune situazioni particolari, soprattutto nei Comuni marginali, le comunità energetiche possono essere molto importanti. Deve essere chiaro, però: per i numeri di cui abbiamo bisogno per la transizione ecologica e la sostituzione delle fonti fossili con fonti rinnovabili non possono bastare le comunità energetiche. Abbiamo bisogno anche di grandi impianti, quelli che si chiamano utility scale”.

Che tipo di grandi impianti per la transizione ecologica?

“Per esempio, gli impianti di eolico off-shore sono indispensabili, così come i grandi impianti agrovoltaici che prevedono l’utilizzo dei terreni per fare agricoltura ed energia da fotovoltaico. Tutti impianti che avranno taglie dell’ordine di alcune decine di megawatt, quindi non compatibili con le comunità energetiche. Saranno impianti più tradizionali, ma altrettanto indispensabili per raggiungere gli obiettivi che ci siamo dati, con l’Europa, di sostituzione delle fonti fossili”.

A che punto siamo con la realizzazione di questi impianti di transizione ecologica?

“Siamo molto indietro, perché i processi autorizzativi sono molto farraginosi. Rispetto agli otto, nove gigawatt – che sarebbero otto, nove migliaia di megawatt – che bisogna realizzare ogni anno, stiamo facendo a stento un migliaio di megawatt. Quindi siamo molto distanti dagli obiettivi. Il ministro Cingolani ha detto ultimamente che hanno sbloccato molte utilizzazioni; lo speriamo tutti”.

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