“Salviamo il Liri” è la sigla nata dalla mobilitazione di cittadini e associazioni in difesa del loro fiume. Un impegno prezioso, visto che in Italia solo il 43% dei corsi d’acqua ha un buono stato di salute.
Uniti per difendere il fiume Liri. La mobilitazione è partita dai cittadini della Valle Roveto, tra Lazio e Abruzzo, che nel 2017 hanno promosso una campagna sui social in difesa del corso d’acqua che attraversa interamente la loro valle. E che, in pochissimo tempo, ha raccolto l’adesione di oltre mille persone, attivatesi in seguito ad una moria di pesci e all’avvistamento di schiuma bianca in vari tratti del fiume. Stessi problemi tra maggio e giugno dello scorso anno, hanno portato le richieste di cittadini e associazioni ambientaliste, unite sotto la sigla “Salviamo il Liri”, all’attenzione delle istituzioni regionali: intensificare le campagne di monitoraggio condotte da Arta e utilizzare tecnologie di analisi che consentano un monitoraggio continuativo degli inquinanti. Inoltre, mappare tutti gli scarichi, per risalire all’origine del problema e mettere in atto delle soluzioni.
Le campagne di monitoraggio
Tra luglio 2020 e giugno 2021 Arta realizza una campagna di monitoraggio, concludendo che il Liri subisce una significativa pressione antropica. Lungo tutto il suo corso insistono scarichi di impianti di depurazione di acque reflue urbane, alcuni a servizio di agglomerati superiori ai 2000 abitanti, e numerose aziende agro–zootecniche che influiscono sui carichi di azoto e fosforo. La situazione più critica si registra nel tratto intermedio del fiume, dove gli insediamenti antropici sono più consistenti. Ma “dal punto di vista della qualità ambientale, si può rimarcare il permanere, dello stato complessivo Buono e Sufficiente per le due stazioni di monitoraggio” si legge nelle conclusioni del rapporto. Anche Arpa Lazio, quasi nello stesso periodo, conduce una campagna di monitoraggio sullo stato di salute delle acque, realizzata su sei stazioni in provincia di Frosinone. L’indagine rileva la presenza di metalli pesanti: alluminio, arsenico, nichel e ferro. Tensioattivi di origine industriale e domestica, seppur in modesta quantità e il batterio escherichia coli, indicatore di contaminazione fecale di origine agricola, zootecnica o da reflui di depurazione. “Ci sono tante cose che non vanno – racconta Fabrizio Petroni, volontario del comitato Salviamo il Liri – A iniziare dagli scarichi, perché i depuratori evidentemente non funzionano come dovrebbero. Grazie al nostro comitato però è aumentata l’attenzione”. Il contributo dei cittadini e l’attenzione delle comunità è fondamentale, dato che secondo il Sistema nazionale di protezione dell’ambiente in Italia solo il 43% dei fiumi e il 20% dei laghi raggiunge un buon obiettivo di qualità. Rispetto agli obiettivi comunitari fissati nel 2000 dalla direttiva Acque, che miravano al raggiungimento di un buono stato ecologico e chimico dei corpi idrici al 2015, c’è ancora molto da fare.