In un futuro non troppo remoto, lo spazio potrebbe essere costellato da enormi centrali solari orbitali. Queste innovative infrastrutture saranno in grado di fornire energia verde e illimitata, senza avere una sede fissa, sul pianeta Terra. La tecnologia piace a molti. Il governo britannico ha recentemente manifestato interesse per supervisionare alla costruzione di uno di questi impianti, come ha riportato il Times. Vediamo che cosa siano queste centrali e spieghiamo come funzionino.
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La centrale solare orbitale
Il progetto che ha in mente Downing Street è quello messo su carta da un gruppo di ingegneri e investitori legati al settore della transizione energetica. Si tratta di una proposta da 16 miliardi di sterline (oltre 19 miliardi di euro) che appare rivoluzionaria. Tanto da sembrare difficile da realizzare in tempi brevi. Quando parliamo di centrale solare orbitale non ci riferiamo a nulla più che un impianto elettrico, in grado di incanalare energia solare e trasferirla dallo spazio alla Terra. Non si tratta di un sogno, bensì di una possibilità cui l’ingegneria sta pensando fin dagli anni ’70. I costi esorbitanti, è il caso di dirlo, di queste infrastrutture, però, ne hanno sempre scoraggiato la fase esecutiva.
Le principali difficoltà nel perseguire un’apertura su vasta scala di queste centrali stanno nelle dimensioni, nel peso e nel numero di lanci necessari per la realizzazione di un impianto in orbita. Si tratterebbe di spese enormi, piuttosto difficili da autorizzare e avallare per un singolo governo. L’investimento sarebbe riassorbito soltanto in qualche decennio. Ciò non è esattamente ideale per chi debba giustificare le proprie spese al contribuente che quei soldi li mette a disposizione. Per tal motivo, a oggi, il sogno della centrale orbitale è rimasto tale e non si è mai avvicinato a diventare realtà. Oltre ai costi, bisogna tenere in considerazione anche altre incognite che mettono in dubbio l’attuale fattibilità del progetto.
La direttrice della Scuola di Ingegneria Meccanica e del Design presso l’Università di Portsmouth, nel Regno Unito, Jovana Radulovic, ha redatto un articolo su The Conversation nel quale tratteggia le principali caratteristiche della centrale solare orbitale. Tale documento è il più semplice approfondimento disponibile sul tema e traduce in parole e concetti comprensibili, anche per il profano, l’intuizione di Peter Glaser, il quale brevettò l’equazione di funzionamento di questi impianti nel 1974.
Componenti della centrale e loro funzionamento
La centrale solare orbitale consta di tre componenti. Il nucleo dell’impianto è una vera e propria navicella spaziale, ricoperta di celle solari e capace di orbitare nello spazio. Su di essa è posta un’antenna di dimensione notevole, atta a convogliare verso la Terra l’energia immagazzinata dai pannelli sotto forma di microonde. Sul nostro pianeta,in posizione strategica, saranno poste una o più rectenne, ovvero antenne terrestri (anche queste gigantesche) con il compito di catturare le microonde, convertirle e inviarle sulla rete nazionale. Il processo di funzionamento è indubbiamente affascinante, ma non occorre essere ingegneri energetici per capire di quali costi si stia parlando.
Vantaggi e svantaggi di una centrale solare orbitale
Tra i principali benefici legati a un impianto come questo vi è il fatto che la cattura dell’energia non presenterebbe gli stessi limiti terrestri. Nello spazio è possibile accumulare radiazione solare senza sosta, se facciamo eccezione per gli equinozi e le eclissi solari, che sono fenomeni piuttosto rari nell’economia di un impianto energetico. Il sole è sempre presente e non si verificano mai gli eventi atmosferici che possono interrompere la raccolta dell’energia, come le perturbazioni. Sarebbe energia totalmente pulita, ma bisogna considerare che i lanci avrebbero un impatto ambientale davvero significativo.
A questo, aggiungiamo che il trasferimento sarebbe effettivamente possibile soltanto per una frazione dell’energia immagazzinata dalle celle. I pannelli lavorerebbero senza sosta né interruzione, diversamente da come fanno sulla Terra. Ciò che cosa significa in termini di usura? Quanto spesso andrebbero sostituiti?
In termini di efficienza, le dimensioni ottimali per la navicella sarebbero di un diametro pari a 1,7 chilometri, per un peso stimabile in 2mila tonnellate. Per mettere in prospettiva questo dato, si pensi che parliamo del 400% delle dimensioni della Stazione Spaziale Internazionale ISS. Oggi l’immissione di un solo chilogrammo di materia nello spazio costa circa 10mila dollari. Eseguendo una semplice moltiplicazione, si comprende bene quanto costerebbe un singolo lancio di questo mastodonte dei cieli. La compagnia di Elon Musk, SpaceX, sta realizzando una navicella che promette di riuscire ad abbattere il costo al chilo fino a soli 13 dollari, ma non è ancora pronta per solcare l’atmosfera.
Chi costruirà le infrastrutture necessarie?
Resta poi il problema di chi si occuperà della costruzione della navicella e della sua manutenzione, che potrebbe essere necessaria nello spazio. È possibile, dal punto di vista teorico e con la tecnologia attuale, incaricare unità robotiche di questo arduo compito. Naturalmente, però, non è mai stato sperimentato nulla del genere e tra pratica e teoria c’è una differenza notevole.
Anche costruire una rectenna è gravoso: si tratta di realizzare una struttura lunga 13 chilometri e larga quasi 7, da collocare verosimilmente in mare, al largo, che dovrà poi essere manotenuta e gestita per un periodo di tempo piuttosto lungo, al fine di ammortare i suoi esosi costi. Si stima che tra il 2035 e il 2040 potremmo assistere alla messa in orbita della prima centrale solare orbitale, ma potrebbe essere un auspicio troppo ottimistico.
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