La rigenerazione di terreni che in passato hanno ospitato attività industriali può essere una delle soluzioni al consumo di suolo. La prima, però, è chiedersi se le nuove costruzioni siano davvero necessarie
L’Agenzia statunitense per la protezione dell’ambiente (EPA) definisce un brownfield come “una proprietà la cui espansione, riqualificazione o riutilizzo può essere complicata dalla presenza o dalla potenziale presenza di una sostanza pericolosa, di un inquinante o di un contaminante”. Per la corrispondente agenzia europea (EEA) i brownfield sono quei “terreni all’interno dell’area urbana in cui c’è stata una precedente fase di sviluppo”.
Si tratta in genere di ex aree industriali da bonificare. La mancanza di definizioni stringenti rende difficile quantificare il numero e l’estensione di queste aree. Uno studio, non recente, dell’Agenzia regionale per la protezione ambientale della Toscana (ARPAT), pur ammettendo forti limitazioni conoscitive, stimava ad esempio 128.000 ettari di territorio in Germania, 39.600 ettari nel Regno Unito e così via. In Italia, dopo un sondaggio rivolto alle ARPA regionali e alle Regioni, APAT affermava che sarebbero circa un migliaio i brownfield nazionali.
Brownfield e consumo di suolo
La comunità scientifica ha discusso la relazione tra brownfield e consumo di suolo.
Mentre l’ultimo rapporto a cura del Sistema Nazionale per la Protezione dell’Ambiente (SNPA) ci dice che, nonostante una leggera flessione rispetto all’ano precedente, “complessivamente il consumo di suolo rimane ancora troppo elevato […] e continua ad avanzare al ritmo di circa 20 ettari al giorno“, il recupero e la riqualificazione dei brownfield sono considerati strategie per ridurre questa inarrestabile cementificazione. Ad esempio uno studio cofinanziato dall’Unione europea (“Brownfield redevelopment as an alternative to greenfield consumption in urban development in Central Europe“) afferma che riqualificare questi siti e destinarli allo sviluppo urbano interno “potrebbe essere un modo importante per limitare la pressione su aree verdi preziose intorno alle città”. E nel 2019 la Commissione Europea ha organizzato la conferenza “Brownfield redevelopment in the EU” proprio per promuovere la riqualificazione di questi terreni come strategia per limitare la conversione di spazi verdi o terreni agricoli in aree residenziali, commerciali o industriali.
Se dunque, in presenza di nuove costruzioni, l’impatto sul territorio e sul suolo è decisamente minore quando queste costruzioni vengono realizzate in ex aree industriali depurate degli inquinanti ereditati dall’attività produttive (col duplice vantaggio della bonifica e dell’azzeramento del consumo di suolo), vale sempre la pena chiedersi se questi nuovi metri cubi di cemento siano necessari o meno. La questione non è semplice: qui ricordo solo che diversi studi hanno analizzato il fenomeno degli immobili non utilizzati nel nostro Paese, evidenziando una significativa presenza di abitazioni e di un ampio patrimonio immobiliare pubblico in attesa di un adeguato impiego.
A Milano un convegno per promuovere l’uso dei brownfield
Nel febbraio scorso, il tema della valorizzazione dei brownfield è stato al centro del convegno “Rigenerare per costruire: il futuro dell’edilizia parte dal Brownfield”, organizzato a Milano da GSE Italia, società specializzata nella fornitura “chiavi in mano” di immobili d’impresa. Oggetto dell’incontro sono state le “difficoltà incontrate dalle aziende che vogliono operare secondo questo modello” e “la necessità di unificare in una sola legge una serie di normative e regolamenti vigenti sul tema”.
“I tempi lunghi e soprattutto imprevedibili per ottenere i permessi a costruire su terreni brownfield mettono a rischio gli investimenti”, ha detto Valentino Chiarparin, country manager di GSE Italia. “Questi terreni presentano un intrinseco pericolo connesso alla presenza di eventuali inquinanti, la cui classificazione non è spesso né immediata né univoca. Questo aspetto, assieme alla scarsità dei centri di conferimento adatti al loro trattamento, genera un importante impatto economico, temporale ed ambientale”. Altro tema segnalato è quello delle burocrazia e della fiscalità: “Al momento – aggiunge Chiarparin – non esiste alcuna premialità fiscale o procedurale per chi sceglie di realizzare degli edifici su aree di recupero che di fatto non sono inserite in nessuna corsia preferenziale rispetto a quelle greenfield”.
Durante lo steso convegno, Erica Mazzetti, deputata di Forza Italia e responsabile del Dipartimento lavori pubblici del partito, ha rispolverato l’annosa questione di un nuovo testo unico delle costruzioni. Qualche mese prima, a dicembre dello scorso anno, il Ministro delle infrastrutture ha annunciato l’intenzione di presentare un disegno di legge per il riordino e la semplificazione della disciplina in materia di edilizia e costruzioni. E fino a tutto febbraio, sul sito web del ministero, si poteva partecipare ad una consultazione pubblica per raccogliere suggerimenti proprio in vista della revisione del Testo unico.