Sul territorio della Città metropolitana di Torino sono in corso 500 bonifiche e sono stati portati avanti, negli ultimi 20 anni, significativi interventi di riqualificazione urbana simultanea ai procedimenti di bonifica, alcuni ancora non terminati. Oggi, per fare questo, esiste l’articolo 242-ter introdotto dai decreti Semplificazioni 2020 e 2021. Ne abbiamo parlato con Gian Luigi Soldi, responsabile dell’Ufficio Discariche e Bonifiche della Città metropolitana di Torino.
Nella Città metropolitana di Torino negli ultimi 25 anni oltre mille siti sono stati sottoposti a procedure di bonifica. Di questi, un centinaio sono siti certificati, casi chiusi, mentre circa 500 bonifiche sono attualmente in corso. Tante o poche? “Una punta di iceberg” secondo Gian Luigi Soldi, geologo, responsabile dell’Ufficio Discariche e Bonifiche della Città metropolitana di Torino, a cui abbiamo chiesto d’illustrarci l’avanzamento dei procedimenti e di chiarirci il funzionamento dell’articolo 242-ter, introdotto con i decreti semplificazioni del 2020 e del 2021: una norma che consente di iniziare a costruire nelle aree sottoposte a procedura di bonifica prima della fine delle operazioni, cioè a bonifica ancora in corso.
Partendo da esempi concreti sul territorio torinese. Anche perché, nonostante non fosse ancora disponibile questo strumento normativo, negli ultimi due decenni nel territorio della Provincia di Torino, oggi Città metropolitana, si sono portarti avanti significativi interventi di riqualificazione urbana simultanea ai procedimenti di bonifica. Dagli ex mercati generali al Palaoval, ex area ferroviaria e industriale, riqualificata per ospitare le gare olimpiche di pattinaggio. Ad altre strutture delle Olimpiadi 2006, come il Campus Einaudi, oggi area universitaria, allora villaggio per i giornalisti, dove il procedimento di bonifica è ancora in corso, così come nelle OGR, le Officine Grandi Riparazioni ferroviarie, oggetto d’intervento per un ampliamento del politecnico di Torino e altre strutture a uso pubblico.
Mille siti registrati, una punta di iceberg
Tornando ai numeri, “se si pensa a tutte le attività produttive a rischio di inquinamento, ai depositi carburante, ai serbatoi interrati presenti sul territorio della città metropolitana di Torino, mille siti sottoposti a procedura di bonifica sono pochi”, spiega Soldi. “Nella realtà i siti da bonificare potrebbero essere molti di più. Però per un motivo o per l’altro non sono ancora stati scoperti o sono stati scoperti ma non denunciati dai responsabili o dai proprietari, e non sono state pertanto avviate le procedure di bonifica.
Per fare un esempio banale: se qualcuno avesse, a casa o in azienda, un serbatoio di gasolio da riscaldamento interrato e a un certo punto lo trovasse bucato, con dispersione di idrocarburi nel sottosuolo, potrebbe avviare correttamente le procedure di bonifica oppure decidere, violando la legge, di tenere nascosto l’evento, limitandosi a gestire il materiale di risulta come rifiuto. Quindi tale situazione all’Anagrafe dei siti contaminati non risulterebbe mai, con il rischio che gli interventi svolti di nascosto siano incompleti e senza il controllo degli organi preposti”.
L’attivazione della procedura di bonifica
La bonifica è un obbligo di legge. Il soggetto attuatore dell’intervento può essere il responsabile dell’inquinamento o un proprietario non responsabile che ha acquisito un’area inquinata a scopo edificatorio. Se tali soggetti non si attivano di propria iniziativa, l’ente deputatoa emanare un’ordinanza nei confronti del responsabile dell’inquinamento è la Provincia o la Città metropolitana.
Nei fatti, prosegue Soldi, a parte gli incidenti in ambito industriale, l’attivazione delle procedure di bonifica è per lo più determinata dalla volontà di riqualificazione di un’area industriale o da attività legate alla sua riconversione. “Perché nell’ambito dei lavori di riqualificazione, si scopre spesso una situazione d’inquinamento, che è quasi sempre storica, legata alle pregresse attività industriali. Gli episodi recenti di inquinamento sono pochi, principalmente legati a incidenti stradali, perdite di oleodotti o casi simili che determinano inquinamenti improvvisi delle matrici ambientali”.
Le principali fonti d’inquinamento a Torino
Secondo i dati della Città metropolitana di Torino, il 17% dell’inquinamento dei siti inquinati mappati deriva da attività industriali dismesse e il 12% da attività industriale attiva. La percentuale di gran lunga superiore a tutte le altre è il 31% attribuito alla vendita e al deposito di idrocarburi. “Parliamo di depositi quasi sempre attivi, pochi sono quelli dismessi, prevalentemente grossi depositi di idrocarburi, presenti magari dagli anni 60 -70, e in parte minore di depositi medio piccoli, come quelli che commerciavano combustibile da riscaldamento.
Poi ci sono i punti vendita, i benzinai, che sono tantissimi e costituiscono a livello mondiale una delle più frequenti sorgenti d’inquinamento delle matrici ambientali e quindi spesso siti soggetti a procedimenti di bonifica. Questo perché hanno una diffusione capillare sul territorio e perché fanno tutti uso di serbatoi interrati, che sono molto vulnerabili a eventuali perdite, soprattutto quelli usati fino agli anni 90, e possono frequentemente rilasciare idrocarburi nel sottosuolo”.
Come funziona l’articolo 242-ter
Su mille siti da bonificare nell’area della Città metropolitana di Torino, solo il 10% è stato certificato. Ciò significa che, qualora la legge non desse disposizioni in materia, sui 500 siti dove sono in corso le bonifiche – vuoi perché sono ancora presenti sostanze inquinanti nelle matrici ambientali, vuoi perché i lavori di bonifica in corso necessitano la presenza d’impianti – le amministrazioni potrebbero richiedere di attendere la conclusione e la certificazione dell’intervento di bonifica, prima di poter realizzare eventuali opere sul sito.
Ma l’articolo 242-ter, recentemente introdotto, stabilisce la possibilità e le modalità per poter realizzare un’opera all’interno di un sito con procedimento di bonifica in corso. Consentendo sostanzialmente di accorciare i tempi di costruzione volti alla riqualificazione e all’avvio dell’attività nella nuova destinazione del sito. Secondo Soldi, “uno strumento normativo a favore della sostenibilità della bonifica”. Una chiave di volta contro la lamentata lentezza dei tempi di certificazione di avvenuta bonifica, poiché consente di realizzare e utilizzare le opere “senza dover attendere la lenta approvazione del progetto di bonifica o la lenta conclusione degli interventi di bonifica e la loro certificazione”.
L’articolo, precisa Soldi, “stabilisce che l’autorità competente, che è quella che poi approva il progetto di bonifica, possa valutare la compatibilità delle nuove opere previste all’interno di un sito sottoposto alla procedura di bonifica, verificando che le stesse non impediscano la conclusione dell’intervento di bonifica e che non ci siano dei rischi per gli operatori e per i successivi fruitori dell’area”.
L’articolo 242-ter, strumento ancora da migliorare
Attualmente, sul territorio della Città metropolitana di Torino, i casi in cui è stato applicato il 242-ter sono circa 15. Non molti, ma lo strumento “sta prendendo sempre più piede”. Non è l’unico strumento, peraltro, che consenta d’intraprendere i lavori di costruzione e riconversione con l’intervento di bonifica in corso. C’è, per esempio, la possibilità di svolgere gli interventi di bonifica per fasi, introdotta in precedenza in normativa; o la possibilità di certificare separatamente il terreno e le acque sotterranee (certificando quindi prima gli interventi di bonifica fatti sul suolo e svincolandolo dai tempi più lunghi dei procedimenti di bonifica delle acque sotterranee).
Per accorciare i tempi delle riqualificazioni e sfruttare appieno il 242-ter sarebbero, però, secondo Soldi, necessarie due ulteriori cose. Una modifica dell’articolo stesso, che ne estenda l’applicazione a tutte le tipologie di opere che riguardano i siti con bonifica in corso, senza limitazioni. Perché attualmente la sua applicabilità “non è completamente chiara” ed è prevista solo per alcune, come, per esempio, gli interventi Pnrr e le opere di manutenzione. E poi, come ha già fatto il ministero dell’Ambiente per i Siti di Bonifica d’interesse nazionale (SIN), occorrerebbe che le Regioni e le Provincie autonome definissero le opere per le quali non sia necessaria la valutazione di compatibilità (quindi un’istruttoria complessa) da parte dall’autorità competente. Le opere più piccole e meno impattanti potrebbero essere valutate mediante una procedura semplificata, che preveda una relazione tecnica asseverata volta ad attestare la compatibilità dell’opera stessa con l’intervento di bonifica in corso.