Dalle soluzioni chimiche alla fitodepurazione, dalle sostanze adsorbenti ai metodi elettrocinetici: Barbara Casentini del CNR spiega quali sono i metodi più impiegati per bonificare suoli e acque dai metalli pesanti.
Arsenico, cadmio, cromo, mercurio, nichel, piombo, tallio, vanadio sono tutti metalli pesanti. Vuol dire che hanno una densità maggiore di 4,5 grammi per centimetro cubo e, anche se presenti nel suolo o nell’acqua in bassissime concentrazioni, i metalli pesanti possono avere effetti nocivi sull’ambiente e sull’uomo. Soprattutto per la spiccata tendenza ad accumularsi nei tessuti animali e vegetali. La loro presenza può essere originata da fenomeni naturali come l’erosione dei suoli o le eruzioni vulcaniche, oppure causata da attività industriali, come quelle minerarie, siderurgiche, petrolchimiche e, in generale, quelle basate sull’utilizzo di combustibili fossili. L’emissione di piombo causata dagli autoveicoli è fortunatamente stata ridotta con l’adozione delle benzine verdi.
La bonifica dei metalli pesanti
Cosa significa risanare le matrici ambientali (suoli, acque, aria) dai metalli pesanti ce lo spiega Barbara Casentini, ricercatrice dell’Istituto di Ricerca sulle Acque (CNR-IRSA). “La prima cosa da tenere presente quando si parla di bonifica è che, a differenza degli inquinanti di tipo organico (come farmaci, pesticidi, solventi clorurati) che possono essere degradati chimicamente o biologicamente fino alla completa trasformazione dell’inquinante in composti non tossici (come anidride carbonica ed acqua), il metallo durante la fase di rimozione può essere solo concentrato in volume minore o trasformato in altra specie, per ridurne la tossicità o migliorarne la rimozione”. La persistenza dei metalli pesanti nell’ambiente è praticamente perenne e qualsiasi bonifica deve considerare un costo ambientale dovuto all’installazione di barriere o allo smaltimento delle matrici nelle quali sono accumulati i metalli.
I metodi più utilizzati per bonificare i suoli dai metalli pesanti
Se l’obiettivo è liberare un suolo da metalli pesanti, si possono utilizzare diversi approcci:
- Metodo chimico – questo approccio ha il fine di immobilizzare gli inquinanti, grazie all’aggiunta di sostanze come il cemento o l’argilla che li fissano, oppure grazie a sostanze che sono in grado di indurre una precipitazione dei metalli, come gli ossidi o i solfuri. Il vantaggio di questa opzione è che si rende il metallo meno biodisponibile, cioè meno assimilabile dagli organismi. “La tossicità infatti – spiega Casentini – deriva anche dalla biodisponibilità: più il metallo è mobile e viaggia, più è pericoloso”. Immobilizzandolo o facendolo concentrare grazie alla precipitazione se ne riduce la biodisponibilità. “Fermandolo in un composto in cui è poco mobile, gli ossidi e i solfuri sono tra questi, la sua tossicità è ridotta notevolmente”.
- Impiego di agenti chelanti o complessanti – gli agenti chelanti sono macromolecole organiche in grado di stabilire più di un legame chimico con uno ione metallico, stabilizzandolo e incrementandone la solubilità; riescono inoltre a concentrare il metallo in un volume minore, riducendo la porzione di suolo interessata dalla contaminazione.
- Metodi elettrocinetici – se in un suolo dove è presente acqua, che funge da mezzo di trasporto, applico degli elettrodi, i metalli, che in forma solubile sono elettricamente attivi, (cioè si muovono tra i poli di una batteria) sono spinti a migrare “inducendo in questo modo nel suolo una mobilizzazione delle sole sostanze che ci interessano”.
- Fitodepurazione – è un’opzione di bonifica che utilizza la grande capacità di assorbimento dei metalli pesanti di alcune piante, i cosiddetti iperaccumulatori, che possono catturare anche grammi per chilo di biomassa. Come la pteris vittata, iperaccumulatore di arsenico; oppure i pioppi, che riescono a trattenere cadmio, piombo e altri metalli pesanti anche pescando, con le radici, in profondità. Dopo aver assorbito gli inquinanti, la biomassa contaminata delle piante diventa rifiuto e va gestita come tale. Anche se i benefici del processo sono indubbi: “sicuramente la fitodepurazione ci permette di accumulare in uno spazio molto minore gli inquinanti” spiega Casentini.
- Soil washing – nel caso di contaminazioni limitate, si può prelevare parte del suolo contaminato e, ex situ, fare un lavaggio con sostanze chimiche o con batteri che facilitino la mobilizzazione degli inquinanti. Quando il terreno è pulito si può riportarlo in situ.
- Barriere adsorbenti – su aree circoscritte, al solo fine di evitare che i metalli pesanti si spostino dall’area contaminata ad aree limitrofe o alla falda, si possono realizzare barriere di materiali absorbenti che catturino i metalli pesanti, come argille o zeoliti. In questo modo le aree interessate dalla contaminazione vengono confinate e si evita il rischio di percolazione nella falda.
I metodi più utilizzati per bonificare le acque dai metalli pesanti
Se ad essere contaminate dai metalli pesanti sono le acque, anche in questo caso ci sono diverse tecniche, da scegliere in base alla situazione di partenza:
- metodi di adsorbimento – l’acqua contaminata viene fatta passare attraverso un materiale adsorbente, come il carbone attivo: molto efficace per gli inquinanti organici ma con una media capacità adsorbente anche per i metalli pesanti, con cui crea legami non specifici, quindi non selettivi. Sempre più spesso si utilizzano materiali innovativi e sempre meno costosi come il biochar, carbone organico prodotto da pirolisi (degradazione termica) di biomasse animali e vegetali in ambiente privo di ossigeno, che sta riscuotendo grande successo per la stabilizzazione dei metalli nei suoli. Oppure i nanotubi di carbonio o il grafene, con buone proprietà adsorbenti ma ancora in fase di studio, con applicazioni commerciali limitate.
- Trattamenti a membrana – l’acqua viene fatta passare attraverso una membrana che trattiene gli inquinanti. Dato che i metalli hanno molecole molto piccole, richiedono membrane con pori minuscoli: membrane a nano filtrazione oppure ad osmosi inversa. L’osmosi inversa è un processo col quale, grazie all’uso di energia, si forza il passaggio di molecole attraverso una membrana, dalla soluzione più concentrata a quella meno concentrata; la parte trattenuta dalla membrana va gestita come un rifiuto. “L’osmosi inversa ha efficienze elevatissime di rimozione per quasi tutti i metalli – spiega Casentini – ma resta la questione del refluo: se vengono trattati 100 litri di acqua, 50-70 litri passano, il resto diventa refluo”.
- “La nuova frontiera della bonifica delle acque dai metalli pesanti – racconta Casentini – è unire il trattamento di adsorbimento, per esempio su nanomateriali, con membrane da ultrafiltrazione, con pori più larghi: in questo modo la membrana viene arricchita di un materiale adsorbente capace, durante la filtrazione, di trattenere i metalli mediante legami chimici e non solo con processo fisico di esclusione”.