In un mondo sempre più popolato e attanagliato dalla stretta morsa del cambiamento climatico, come si può produrre energia per tutti e in maniera pulita, senza impattare sul pianeta? Un valido metodo è quello di realizzare e sfruttare a pieno regime stabilimenti capaci di convertire e riutilizzare rifiuti biologici non nocivi. Questi stabilimenti sono le bioraffinerie.
Le bioraffinerie
Per indirizzare i numerosi settori altamente impattanti della nostra società verso soluzioni più ecologiche, è possibile affidarsi alle bioraffinerie. Al fine di soddisfare le copiose esigenze produttive ed energetiche della popolazione si deve promuovere un utilizzo più efficiente delle risorse biologiche.
All’interno di una bioraffineria è possibile convertire biomassa – ovvero piante, alghe oppure altri rifiuti biologici – in combustibile. Le risorse sfruttate infatti non sono fonti fossili come quelle che vengono bruciate in una raffineria tradizionale, bensì rinnovabili, e non incidono sull’ecosistema. Ciò significa che presso le bioraffinerie si riducono le emissioni di gas serra e si valorizzano rifiuti organici che, altrimenti, non avrebbero altro destino se non quello di finire dritti in discarica.
I processi di trasformazione della biomassa all’interno delle bioraffinerie sono più di uno. I principali sono la fermentazione, l’idrolisi e la pirolisi. A trasformazione completata, i rifiuti biologici diventano biocarburanti, materiali bioplastici, acidi organici e altri prodotti chimici derivati, enzimi, nutraceutici o additivi alimentari. Le bioraffinerie rappresentano un tassello di grande rilievo nel puzzle della transizione verso un’energia più sostenibile e della economia circolare. Impianti di questo tipo rappresentano un’avanguardia nella gestione sostenibile del residuo nonché nell’ottimizzazione dei processi di conversione.
Bioraffinerie e sostenibilità
Mobilità sostenibile
I biocarburanti giocano un ruolo importante all’interno del percorso di decarbonizzazione del settore dei trasporti, che è una tappa fondamentale all’interno del tortuoso sentiero verso la transizione energetica. L’Agenda 2030 delle Nazioni Unite e la carta di Parigi del 2015 esplicitano chiaramente l’importanza di ripensare il settore del trasporto e della mobilità, che oggi è troppo impattante. Per poterlo fare non basta muoversi in una sola direzione ma occorre sfruttare tutte le possibilità aperte dalla tecnologia attuale: elettrico, idrogeno, e-fuel, biometano e biocarburanti.
Al fine di decarbonizzare questo settore, sarà necessario impiegare tutte queste soluzioni, in modo complementare e sinergico. Oltre alle auto e i veicoli infatti, si considerano in questo insieme anche l’aviazione e la trazione pesante. Se un’automobile può essere riconvertita in mezzo elettrico, per un Boeing che fa voli intercontinentali non è così semplice. Per l’ambito del trasporto pesante, il passaggio ai biocarburanti non è negoziabile e per produrre tali miscele occorre fare uso delle bioraffinerie.
Nel nostro Paese, ENI ha ben chiaro quale ruolo possano svolgere questi impianti e non a caso ha aperto un importante polo di bioraffinerie. Quella sorta a Porto Marghera di Venezia è in esercizio dal 2014. Si tratta di un esempio virtuoso in quanto precedentemente era una raffineria avviata alla trasformazione di fossile mentre oggi tratta materie prime biogeniche.
Il ruolo delle biotecnologie nell’industria
Tutti i tradizionali processi chimici impiegati nell’industria possono risolvere numerosi problemi endemici riscontrati in produzione grazie a un impiego sistematico delle biotecnologie. Emissioni di anidride carbonica, gestione degli scarti prodotti, delle risorse idriche e di quelle energetiche, risparmio sul trattamento dei residui: tutti questi inevitabili processi possono abbassare considerevolmente il loro impatto grazie alla proliferazione delle bioraffinerie. Partendo da materiali di scarto, o comunque rinnovabili, come materia prima si possono ottenere prodotti da lavorazione in maniera sostenibile.
Dal momento che anche i costi si abbassano sul medio-lungo termine (si stima fino a un 40% in meno per un’azienda di medie dimensioni secondo INAIL), non sono poche le aziende che integrano biotecnologie nei loro processi produttivi. Ciò vale anche per quelle che operano nei settori più tradizionali.
Una normativa per agevolare la nascita delle bioraffinerie
Il governo Meloni non fa mistero di preferire i biocarburanti alla sostituzione del parco circolante a scoppio con quello elettrico o a idrogeno, come la premier ha ripetuto a Bruxelles in sede di discussione dell’accordo sulla neutralità climatica entro il 2050, e ha dunque interesse a promuovere il settore. A questo proposito, il Ministero dell’Ambiente e quello dello Sviluppo Economico hanno siglato un regolamento che mira a semplificare in maniera sensibile le procedure di autorizzazione per la messa in funzione delle bioraffinerie.
Si vuole infatti incentivare il settore, promuovendo la produzione biotecnologica sull’intero territorio nazionale e facilitando gli investimenti in questo ambito. La strategia appare sensata: in Italia stiamo già assistendo a una riconversione dei principali stabilimenti esistenti per la lavorazione del fossile in bioraffinerie. Quella di Porto Marghera è la storia di un successo e numerosi imprenditori ne sono rimasti tanto affascinati da volerla riproporre.
Il sistema produttivo nazionale sta già mettendo in campo azioni capaci di ridurre progressivamente l’impatto ambientale, ma non è ancora sufficiente. In questa fase della transizione energetica stiamo facendo troppo poco. Iniziare a riadattare gli impianti inquinanti, che sfruttano risorse finite e nocive, e convertirli in poli che fanno uso di risorse naturali non invasive, è un buon modo per ribaltare questa prospettiva.