In natura esistono fortunatamente anche molte altre fonti di energia rinnovabili molto meno inquinanti rispetto a quelle fossili, ovvero il gas, il petrolio e il carbone: tra le fonti green troviamo l‘energia eolica, quella marina, quella geotermica, quella solare e anche un tipo di energia di cui solitamente si parla più raramente, quella proveniente dalle biomasse. In quest’ultimo caso in modo particolare un ruolo particolarmente interessante lo giocano gli scarti di falegnameria. Ma di cosa stiamo parlando esattamente? Vediamolo insieme.
Cosa sono le biomasse?
Prima di entrare più nel dettaglio del merito della questione può certamente essere utile spiegare a cosa ci si riferisce quando si parla di “biomasse“: si tratta in sostanza di un insieme di organismi vegetali o animali presenti in una determinata zona. Fin dall’inizio del secolo scorso, le biomasse sono state sfruttate come importante fonte di energia rinnovabile e in particolare come combustile per i riscaldamenti, e questo discorso vale in modo particolare per Paesi come la Cina e continenti come l’Europa. Il pellet, da questo punto di vista, ha svolto un ruolo centrale.
Che cos’è il pellet?
Parlando degli scarti della lavorazione del legno risulta evidentemente necessario approfondire il tema del pellet, che rappresenta una preziosa fonte di energia proprio in questo contesto. Per produrlo, la segatura del legno viene compressa ad alta pressione e trasformata in piccoli cilindretti. La materia prima utilizzata è un legno vergine, che può avere due origini: può provenire direttamente dai boschi (secondo specifici piani di gestione forestale) o in alternativa può derivare proprio dagli scarti delle segherie, anche se in questo caso è molto importante che non contenga sabbia o altri composti chimici come possono per esempio essere le vernici o delle colle che potrebbero poi risultare nocivi.
Dopo l’essiccazione della materia prima (il pellet deve raggiungere un’umidità finale sotto al 10%) e dopo essere stato compresso attraverso dei fori del diametro desiderato, il pellet viene inserito, trasportato e poi venduto in grossi sacchi. Può capitare che durante la fase di trasporto il prodotto finale rimanga sfuso a bordo di un camion o di un altro mezzo di trasporto adeguato.
I suoi vantaggi sono innumerevoli e lo rendono un tipo molto efficiente di biomassa da scarti di falegnameria. Prima di tutto è un prodotto del tutto naturale, che può essere facilmente reperito anche a chilometro zero e non richiedere necessariamente un dispendioso trasporto com’è nel caso di petrolio o carbone. Si tratta com’è ovvio anche di un prodotto molto conveniente, perché non richiede di piantare nuovi alberi sfruttando al contrario degli scarti. Inoltre è molto ecologico e vanta un rendimento molto più di alto di altri sistemi (le stufe a pellet hanno rendimenti superiori del 90% di altri tipi di riscaldamenti). Immagazinare il pellet, in aggiunta, è un’attività sicura, pulite e a basso livello di emissioni. Si tratta inoltre di una scelta molto utile per le tasche dei consumatori: il costo del pellet è infatti di gran lunga inferiore rispetto a quello del metano e del gasolio.
A proposito del pezzo, comunque, va ricordato che esso può variare a seconda della sua provenienza, ma anche dalla sua qualità, dal tipo di utilizzo che se farà (potrà per esempio essere usato nelle caldaie, o nelle stufe) e ovviamente anche dalla quantità acquistata.
Per quanto riguarda la qualità va ricordato che è piuttosto difficile, anche per un occhio esperto, riconoscere quale pellet sia migliore di un altro. Soprattutto, non è possibile rendersi conto ad occhio nudo se esso sia composto come dovrebbe di materia prima legnosa e vergine al 100% e non trattata chimicamente (si tratta di standard definiti dal Testo Unico Ambientale, DLgs. 152/2006). Il fatto è che la materia legnosa originaria già di per sé è molto varia, per cui è difficile definire degli standard di qualità del pellet generali. Ci sono, in effetti, mille fattori che ne possono determinare le caratteristiche, come la provenienza della pianta, o la parte della pianta utilizzata per la sua produzione, per esempio. In ogni caso, sui sacchi di pellet sono sempre indicate le classi di qualità del prodotto, che aiutano molto sia i consumatori ma anche gli stessi produttori. I pellet di qualità superiore, per esempio, quelli di classe A1, devono vantare un potere calorifico (o PCI) non inferiore a 4,6 kWh (o 16,5 MJ) per kg di pellet tal quale.
Le altre varietà di combustibili legnosi e la situazione in Italia
Al momento ci sono quasi 5 milioni di nuclei familiari italiani che sfruttano quotidianamente il legno e i suoi derivati a fini energetici. Oggi l’Italia risulta inoltre essere uno dei principali importatori di pellet a livello mondiale, nonostante il 30% del nostro territorio nazionale sia occupato da foreste. Il pellet, ad ogni modo, non è l’unica soluzione possibile.
Tra le biomasse da scarti da falegnamerie ovviamente è altrettanto importante citare la classica legna da ardere e utilizzabile per riscaldare le abitazioni attraverso camini, stufe, caldaie o termocucine attrezzate. Esistono però anche molti impianti a cippato: si tratta di uno degli svariati modi in cui il legno può essere trasformato, in questo caso specifico sminuzzandolo meccanicamente in quelli che in termine tecnico vengono definiti “chips“, piccoli pezzi di dimensioni uniformi.