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Biodiversità, la Cop16 fa il bis, ma gli organismi viventi sono sempre più a rischio

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Sospesa per mancanza del quorum necessario alle votazioni, la sedicesima Conferenza delle Nazioni Unite (Cop16) sulla biodiversità si riunirà alla FAO dal 25 al 27 febbraio per una seconda sessione di incontri. Per cercare di trovare un accordo sui temi chiave per fermare la perdita di biodiversità, rimasti in sospeso a novembre scorso a Cali: strategia finanziaria, mobilitazione delle risorse, pianificazione degli impegni e adozione del bilancio. Intanto, studi scientifici confermano l’aggravarsi continuo degli ecosistemi. E il riscaldamento globale mette a rischio un terzo delle specie viventi.

Mobilitazione delle risorse, meccanismo finanziario, monitoraggio e pianificazione del Kunming-Montreal Global Biodiversity Framework (KMGBF), l’accordo internazionale sulla biodiversità approvato nel 2022. Sono i punti, non di poco conto, rimasti in sospeso, a novembre scorso, in chiusura della Conferenza delle Nazioni Unite sulla biodiversità, la Cop16 di Cali. Per questo, dal 25 al 27 febbraio la Conferenza delle Parti della Convenzione sulla Diversità Biologica (CBD) si riunirà nuovamente, questa volta a Roma, presso la sede dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (FAO). Nel tentativo di raggiungere un punto d’incontro sulle questioni irrisolte. Peraltro necessarie al funzionamento del KMGBF.

Cop16 biodiversità, sospesa per mancanza del quorum

Il Kunming-Montreal Global Biodiversity Framework, approvato al termine della quindicesima riunione della Conferenza delle Parti della Convenzione delle Nazioni Unite per la Diversità Biologica fissa quattro obiettivi (goal) che stabiliscono una visione per il 2050 di un mondo che “vive in armonia con la natura” e 23 traguardi (target) “orientati all’azione”, da conseguire entro il 2030, per “arrestare e invertire il declino della biodiversità”, che di fatto va avanti inesorabilmente, come dimostrano diverse ricerche scientifiche.

In base all’accordo di Kunming-Montreal, i paesi sviluppati si sono impegnati a contribuire con 20 miliardi di dollari di finanziamenti all’anno entro il 2025, un obiettivo che finora sembra improbabile che venga raggiunto. Il sedicesimo incontro della COP, che si è svolto in Colombia, aveva lo scopo di negoziare e approvare una serie di decisioni per rendere operativo il KMGBF. Ma si è concluso con un giorno di ritardo sulla data prevista, la mattina del 2 novembre dopo una notte di negoziati, con la sospensione dell’incontro per la perdita del quorum necessario per le votazioni, a causa della partenza di numerosi delegati.

Cop16 biodiversità, i risultati ottenuti

Non che la Conferenza di Cali sia stata tutta un flop. Alcuni risultati positivi sono stati conseguiti. Come la creazione di un organismo sussidiario della CBD per i popoli indigeni e le comunità locali per garantire la loro partecipazione al KMGBF e il riconoscimento dei popoli di discendenza africana (African descents) come custodi della biodiversità.

Un altro risultato è l’adozione di un fondo finanziario globale, un meccanismo che dovrebbe favorire una equa redistribuzione dei benefici e dei profitti derivanti dall’uso delle informazioni relative al sequenziamento digitale (Digital Sequence Information) delle risorse genetiche, a lungo sfruttate dai Paesi del Nord del mondo senza un’adeguata condivisione con le nazioni da cui queste risorse venivano prelevate. Il cosiddetto Cali Fund distribuirà il denaro raccolto per metà ai Paesi e per metà alle popolazioni indigene, non contiene però elementi vincolanti e la base per i contributi monetari è indicativa. Inoltre, dopo otto anni la Cop16 ha approvato l’accordo globale per identificare e conservare le aree marine essenziali per la salute degli oceani. Sono stati evidenziati anche i nessi tra biodiversità e cambiamento climatico per affrontare congiuntamente le due crisi.

Cop16 biodiversità, le questioni chiave in sospeso

Ma restano aperte partite fondamentali. “Durante il nostro incontro di febbraio a Roma, lavorerò al fianco delle Parti per costruire la fiducia e il consenso necessari per raggiungere la pace con la natura, assicurando che gli obiettivi e i traguardi del Kunming-Montreal Global Biodiversity Framework si traducano in azioni tangibili”, ha dichiarato Susana Muhamad, ministra dell’ambiente e dello sviluppo sostenibile della Colombia e presidente della COP16 nel dare l’annuncio della seconda puntata di lavori della Cop16. “Garantire finanziamenti adeguati e prevedibili sarà fondamentale per i nostri sforzi, consentendo un cambiamento trasformativo per la biodiversità e garantendo al contempo benefici per le comunità e gli ecosistemi”. Le questioni chiave sono:

  • La mobilitazione delle risorse finanziarie per la biodiversità: una nuova strategia di mobilitazione delle risorse volta a garantire 200 miliardi di dollari all’anno entro il 2030 da tutte le fonti per le iniziative a favore della biodiversità e a ridurre gli incentivi dannosi di almeno 500 miliardi di dollari all’anno entro il 2030. Le Parti esamineranno anche la possibilità di istituire uno strumento di finanziamento globale per la biodiversità, progettato per mobilitare e distribuire efficacemente i finanziamenti.
  • Il quadro di monitoraggio: finalizzazione di strumenti che consentano alle Parti di misurare i progressi rispetto al quadro di monitoraggio dei 23 obiettivi del KMGBF.
  • Il meccanismo di pianificazione, monitoraggio, rendicontazione e revisione (PMRR): il quadro di monitoraggio degli avanzamenti degli impegni presi dai paesi (solo 44, tra cui l’Italia, hanno presentato piani nazionali aggiornati per la tutela della biodiversità). Le parti prenderanno in considerazione anche l’inserimento di impegni da parte di attori non statali, tra cui popolazioni indigene, comunità locali, società civile e settore privato.
  • Il meccanismo finanziario: si prevede che le Parti approvino i risultati del Global Environment Facility (GEF), il Fondo mondiale per l’ambiente.

Il riscaldamento globale mette a rischio un terzo delle specie viventi

Intanto, secondo uno studio pubblicato su Science, fino al 30% delle specie viventi, a livello globale, rischia l’estinzione a causa del cambiamento climatico provocato dall’uomo. Gli anfibi, le specie degli ecosistemi montani, insulari e d’acqua dolce e le specie che abitano il Sud America, l’Australia e la Nuova Zelanda sono le più minacciate.

“Si prevede che i cambiamenti climatici causeranno cambiamenti irreversibili alla biodiversità, ma la previsione di questi rischi rimane incerta. Ho sintetizzato 485 studi e più di 5 milioni di proiezioni per produrre una valutazione quantitativa globale delle estinzioni dovute ai cambiamenti climatici”, spiega Mark Urban della University of Connecticut, autore della ricerca.

“Questa meta-analisi suggerisce che le estinzioni accelereranno rapidamente se le temperature globali supereranno i 1,5°C. In linea con le previsioni, il cambiamento climatico ha contribuito ad aumentare la percentuale di estinzioni globali osservate dal 1970. Oltre a limitare i gas serra, individuare quali specie proteggere per prime sarà fondamentale per preservare la biodiversità fino a quando il cambiamento climatico antropogenico non sarà fermato e invertito”, aggiunge Urban nella sua introduzione.

L’analisi sfrutta approcci di modellazione che tengono conto della sensibilità e dell’adattabilità delle specie al cambiamento climatico. Secondo i risultati, sintetizzati su 30Science.com, con l’aumento delle temperature a 1,5 °C sopra i livelli preindustriali, obiettivo dell’accordo di Parigi, i rischi di estinzione vanno all’1,8 % e al 2,7% con un aumento a 2,0 °C. Con gli obiettivi di emissione internazionali effettivamente approvati che portano a un aumento previsto di 2,7 °C, una specie su 20 sarà a rischio. Al di là di questi livelli, i rischi di estinzione aumentano bruscamente: 14,9% a 4,3 °C e 29,7% a 5,4 °C.

Buona parte della vita marina rischia l’estinzione

Giunge a conclusioni altrettanto allarmanti anche un altro studio, guidato dall’Università di Bristol e pubblicato su Nature, sulle conseguenze del cambiamento climatico sulla vita marina. Attraverso l’analisi della vita del plancton – grazie a un modello messo a punto dai ricercatori, che ha consentito di analizzare il comportamento del plancton circa 21.000 anni fa durante l’ultima era glaciale, insieme a come potrebbe comportarsi in base alle future proiezioni climatiche – è emerso che buona parte delle forme di vita presenti nei nostri mari rischia l’estinzione a causa del riscaldamento globale.

I risultati hanno rivelato, infatti, che il plancton non è in grado di tenere il passo con l’attuale velocità di aumento delle temperature, mettendo in pericolo vaste fasce della vita marina, compresi i pesci che dipendono da questi organismi per il cibo. Secondo Rui Ying, autore principale della ricerca: “anche con le proiezioni climatiche più conservative di un aumento di 2°C, è chiaro che il plancton non riesce ad adattarsi abbastanza rapidamente per adeguarsi al tasso di riscaldamento molto più rapido che stiamo sperimentando ora e che sembra destinato a continuare. Il plancton è la linfa vitale degli oceani, supporta la rete alimentare marina e lo stoccaggio del carbonio. Se la sua esistenza fosse messa a rischio, rappresenterebbe una minaccia senza precedenti, sconvolgendo l’intero ecosistema marino con conseguenze devastanti e di vasta portata per la vita marina e anche per le scorte alimentari umane”.

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